Alberto Negri - "Guidare un passo in avanti, ma per scappare dal wahabismo le donne saudite l'auto non potranno comprarla"

Alberto Negri - "Guidare un passo in avanti, ma per scappare dal wahabismo le donne saudite l'auto non potranno comprarla"

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di Alberto Negri*  - Il sole 24 Ore


Non avremmo mai immaginato ieri alla festa nazionale dell'ambasciata saudita, con la banda dei carabinieri in gran spolvero sulla terrazza romana di Villa Miani, che stava per arrivare da Riad un annuncio storico: le donne in Arabia Saudita potranno guidare. Non subito, ma ormai la decisione è presa. Non potevamo immaginarlo ma forse potevamo intuire che si stava preparando qualche cosa di rilevante. C'era già stato un segnale importante e assai significativo: per la prima volta alle donne era stato concesso di accedere allo stadio re Fahd di Riad in occasione della festa nazionale.
 

Fino a poche ore da questo annuncio si riteneva che una donna alla guida potesse mettere in crisi non solo i costumi tradizionali ma la stessa casa reale. Vedremo adesso quali limiti avrà la patente femminile: il decreto reale, approvato anche dagli sceicchi custodi della sharia, non lo dice ancora.
 

In un Paese che aderisce alla versione più rigida dell'islam sunnita, il wahabismo, i diritti delle donne sono molto limitati anche se da qualche tempo era stato concesso il diritto di voto e di essere elette. Le donne restano comunque sottoposte alla tutela dei maschi, generalmente il padre, il marito o un fratello per poter studiare o viaggiare. Da due anni il governo ha avviato il piano di riforme Vision 2030 che punta a modernizzare lo stile di vita saudita ma tutto deve avvenire a piccoli passi.
 

La verità è che in Arabia Saudita sono in vigore leggi e prassi di segregazione, una sorta di “apartheid”, che limita pesantemente la condizione delle donne. È uno dei pochi paesi al mondo dove milioni di persone vengono discriminate sulla base di una loro caratteristica biologica, cioè quella di appartenere al sesso femminile. Se una donna avesse osato violare il divieto di guidare la pena era stata stabilita in 10 frustate: così aveva deciso nel 2011 il tribunale di Jeddah condannando una donna “colpevole” di aver sfidato il divieto.
 

Il regime di Riad, una monarchia assoluta custode dei luoghi sacri dell'Islam di Mecca e Medina, finora ha obbligato le famiglie abbienti ad avere un'autista mentre quelli che non possono permetterselo devono fare affidamento sui parenti maschi per accompagnare le donne a lavoro. L'unico mezzo concesso per avere una propria mobilità autonoma, a parte i mezzi pubblici, era fino a questo momento la bicicletta ma soltanto in alcune aree designate del Paese. E a certe condizioni: devono essere accompagnate sempre da un maschio, indossare obbligatoriamente un abaya islamico che le ricopre dalla testa fino ai piedi e possono circolare in alcune zone ben definite ma senza potersi spostare da un luogo all'altro.
 

Insomma la vita delle donne in Arabia Saudita è un percorso circolare, un perimetro esistenziale che l'uomo deve poter continuamente sorvegliare. In Arabia Saudita le donne non possono viaggiare senza l'accompagnatore o senza una espressa autorizzazione. Il divieto non vale solamente per quelle che hanno compiuto 45 anni di età. Le altre hanno due possibilità: essere accompagnate dal marito o dal padre oppure poter esibire un modulo di autorizzazione firmato da un tutore maschio. C'è da dire che non sono pochi i maschi che comprendono l'esigenza delle donne di poter uscire di casa e di compiere liberamente dei viaggi in piena libertà. Tuttavia la maggioranza della società saudita collega la libertà di movimento femminile all'immoralità e quindi impone il divieto assoluto di andare in giro da sole.
 

Guidare l'auto diventa quindi un passo avanti enorme, anche se l'autonomia delle donne fa paura: senza autorizzazione del marito non possono aprire neppure un conto in banca. L'auto, per correre lontano dal wahabismo più rigido, non potranno comprarla, da sole, a rate.


*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore 

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