C. Onana: "Oggi, 19 dicembre, è una tappa fondamentale nella guerra neoliberista contro le ricchezze del Congo"

C. Onana: "Oggi, 19 dicembre, è una tappa fondamentale nella guerra neoliberista contro le ricchezze del Congo"

Intervista al giornalista investigativo autore di Europe, crimes et censure au Congo

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di Marinella Correggia e Stefania Russo


La campagna Break the silence chiede di rompere il silenzio sul Congo che la comunità internazionale mantiene, malgrado la mattanza in atto da decenni ad opera principalmente del Ruanda. Oggi,19 dicembre, potrebbe essere una data cruciale. Abbiamo rivolto alcune domande a Charles Onana, giornalista investigativo francese di origine camerunense, autore di numerosi libri sui conflitti armati e la giustizia internazionale e profondo conoscitore della guerra in Ruanda e nella Repubblica Democratica del Congo.
I Suoi libri più noti sull’argomento: Les secrets du génocide rwandais : Enquête sur les mystères d'un président (2001); CES TUEURS TUTSI Au coeur de la tragédie congolaise (2009); Europe, crimes et censure au Congo (2012); La France dans la terreur rwandaise (2014)


Charles Onana

Che cosa succederà? E perché la RdC è vittima di tanta aberrante violenza da parte dei paesi limitrofi?

La data del 19 dicembre non è una data cruciale per il popolo congolese. È stata lanciata da un ex membro del partito di Joseph Kabila al Parlamento europeo lo scorso settembre. Non si tratta dunque di una data significativa per il popolo congolese. In compenso, lo è per quelli che hanno interesse a creare ancora più caos, più violenza e più confusione nella Rdc. Hanno un’agenda che solo loro conoscono. Non hanno mai spiegato che cosa dovrebbe succedere nelle due ipotesi, che Kabila lasci il potere oppure no. Ci sono effettivi problemi politici riguardo alla gestione del mandato presidenziale, alla credibilità delle elezioni, alla preparazione delle schede elettorali, al censimento della popolazione congolese (non effettuato), all’occupazione dell’Est da parte di truppe straniere, soprattutto ruandesi, ecc. Tutti questi problemi possono forse essere regolati il 19 dicembre? Non credo che si possano affrontare problemi gravi e seri con slogan tipo «il 19 dicembre Kabila se ne deve andare». Credo piuttosto che si tratti di un invito a un golpe, un invito davvero improprio per un Parlamento europeo … Non è un buon esempio per i parlamentari europei, che del resto hanno validato le elezioni truccate del 2006 e del 2011 nella Rdc.



Durante una conferenza sul Congo, che si è tenuta a Roma lo scorso 2 dicembre, è stato spiegato che ora la “comunità internazionale”, soprattutto Stati uniti ed Europa, si esprime più dei congolesi sulla necessità che Kabila rispetti la scadenza del suo mandato e i dettami della Costituzione; è stato anche detto che l’ambasciatore statunitense sostiene l’opposizione e si riunisce con questa come fosse uno degli attori del contesto congolese. Non riconosce lo stesso iter delle famigerate primavere arabe e delle rivoluzioni colorate?

Le pressioni statunitensi per il rispetto del mandato presidenziale e delle norme costituzionali da parte di Kabila sono semplicemente insensate. Fu il presidente Usa George W. Bush a insediare Kabila nel 2001 senza un processo elettorale e senza rispettare la Costituzione della Rdc. Washington ha anche validato a due riprese (2006 e 2011) elezioni fraudolente che hanno permesso a Kabila di rimanere al potere. Sono dunque molto mal piazzati oggi per chiedere a Kabila di rispettare la Costituzione.
L’altro aspetto riguarda l’ingerenza degli Stati uniti nella Rdc. È una costante di Washington in questo paese africano, dove dal 1962 sostennero Mobutu contro il primo ministro Patrice Lumumba, e poi Laurent-Désiré Kabila contro Mobutu e ora l’opposizione contro Kabila. Occorre notare che ogni volta, in una prima fase hanno sostenuto Mobutu e poi Kabila 1 e Kabila 2, per poi successivamente operare per la loro eliminazione dal campo politico. Insomma, la RDC è piuttosto abituata ai cambiamenti di regime in stile statunitense.



In questa situazione così difficile, la popolazione congolese che si oppone a Kabila si sente sola: non mi pare che altri Paesi africani siano al suo fianco, nemmeno l’Unione Africana. Il sostegno degli Usa è una grande tentazione. Potrebbe essere davvero difficile rinunciarvi.

È vero che i paesi africani fanno prova di una vigliaccheria inqualificabile e hanno molte esitazioni nel denunciare quel che accade in Congo. Tuttavia la soluzione non può essere il ricorso a Washington che ha scatenato l’incendio nella regione dei Grandi Laghi africani. È stato Clinton a destabilizzare questa regione orchestrando la caduta del maresciallo Mobutu che gli Usa avevano sostenuto per 32 anni considerandolo un buon bastione contro il comunismo.
Incoraggiando le truppe ruandesi e ugandesi nell’occupazione del Congo e nel saccheggio delle sue ricchezze, gli Stati uniti hanno deciso di rendere fragile un paese molto ricco in minerali rari per controllarlo meglio. Chiamare in soccorso gli Stati uniti è come mettere il lupo a guardia delle pecore.



Nel suo libro “Europe, crimes et censure au Congo”, spiega come nel 2001 la Comunità Internazionale, essenzialmente gli Stati Uniti, legittimarono Kabila come presidente per assicurare la transizione, quando egli non era né parlamentare né primo ministro, ma un semplice soldato. Afferma inoltre che le elezioni in Congo del 2006 furono finanziate dall’Unione Europea, e segnate da massicce frodi e una netta parzialità da parte della Comunità Internazionale a favore di Kabila. Il cambiamento di atteggiamento e l’insistenza solo ora sui diritti umani si spiegano forse con i contratti che Kabila ha firmato con la Cina?


Molto probabilmente, la minaccia cinese innervosisce i dirigenti statunitensi e li spinge alla violenza; hanno l’abitudine di prendere decisioni molto violente. Il vero problema è che considerano la Rdc una loro riserva di caccia. Lì presero l’uranio per la loro bomba atomica nel 1942. E da lì, con imprese specializzate nell’elettronica, aviazione e nuove tecnologie, estraggono a piene mani i minerali necessari alla loro attuale potenza economica. Non possono dunque vedere di buon occhio concorrenti che cercano di approvvigionarsi presso gli stessi giacimenti. C’è soprattutto il fatto che pensano che Kabila debba loro tutto, anche l’aria che respira, e che un personaggio di questo tipo non abbia il diritto di dimenticare i suoi mentori, qualunque cosa gli offrano la Cina o altri partner.


La Fao ha detto che il Congo potrebbe nutrire due miliardi di persone. Perché invece i congolesi sono alla fame? Secondo lei quanto di questo incredibile paradosso – un Paese ricchissimo con la sua popolazione che vive nella miseria – dipende da interferenze esterne e quanto da fattori interni: istituzioni corrotte e una popolazione sfiancata anche politicamente?

Il Congo non solo potrebbe nutrire due miliardi di persone; sarebbe in grado di essere economicamente autosufficiente e una grande potenza industriale. Un geologo e ingegnere belga diceva, riferendosi alle risorse minerarie del paese, che si tratta di un vero «scandalo geologico» perché ci sono troppe ricchezze concentrate nello stesso paese. Il paradosso del Congo deriva semplicemente dal fatto che c’è un’efficace e costante alleanza fra i dirigenti della Casa bianca e la «mediocrazia» locale per saccheggiare il paese senza mai dare priorità al suo sviluppo o agli interessi dei congolesi. Perché pensate che l’unione europea preferisce mantenere un soldato ignorante alla guida della Repubblica democratica del Congo piuttosto che un congolese competente e attento alle esigenze del suo paese? Perché questo permette all’Unione europea di effettuare operazioni finanziarie fraudolente con fondi pubblici europei in un paese in rovina e di far su molto denaro grazie a dirigenti corrotti e mediocri alla testa della Rdc come di altri Stati. È molto più difficile realizzare gli stessi profitti con dirigenti seri che abbiano a cuore la difesa degli interessi delle loro popolazioni e del loro paese.


La guerra che ha fatto milioni di morti e di sfollati, che cos’è? Una guerra civile, etnica, un’aggressione esterna?

È una guerra di predazione o una guerra neoliberista che si serve dell’aggressione esterna per controllare e saccheggiare le ricchezze del Congo assoggettando le popolazioni. C’è chi tende, non appena si parla di un conflitto in Africa, a mettere in avanti il concetto di « guerra tribale ». È un argomento facile, ma semplicistico e decisamente invecchiato, ormai. Le guerre tribali in Africa sono finite molto tempo fa, anche se c’è chi cerca sempre strumentalmente di contrapporre alcuni gruppi ad altri. È la strategia del divide et impera. Quando vi dicono che in qualche Paese dell’Africa è scoppiata una guerra, fatevi subito questa domanda: che cosa c’è nel sottosuolo di quel determinato paese, o dei suoi vicini?
 

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