Ha ragione Netanyahu

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Ha ragione Netanyahu: il mondo deve capire che il problema è l’odio dei palestinesi che dopo 70 anni non si sono ancora rassegnati a sottomettersi al furto delle loro terre

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di Patrizia Cecconi
 

Attentato a Gerusalemme. Ha ragione Netanyahu: il mondo deve capire che il problema è l’odio dei palestinesi.


Il mondo forse sta cominciando a capirlo e sta cominciando a capire che l’odio è figlio dell’ingiustizia, è figlio dei crimini quotidiani che il popolo palestinese subisce nel silenzio assordante della maggior parte dei  media occidentali. E’ figlio di un’occupazione che dura da troppi decenni grazie al sostegno degli Usa e di tanti paesi sedicenti democratici.


Il problema è l’odio dei palestinesi, che dopo 70 anni non si sono ancora rassegnati a sottomettersi al furto delle loro terre, alla distruzione delle loro case, all’omicidio quotidiano dei loro figli spesso poco più che bambini, alla rapina della loro acqua, alla chiusura delle loro strade, alla mortificazione quotidiana visibile in ogni angolo dei cosiddetti Territori occupati, ovvero di quella terra palestinese che per Israele è solo un progetto di inglobamento, come delineato dai suoi padri fondatori prima ancora che lo Stato “ebraico” fosse autoproclamato.

 

È l’odio dei palestinesi che ieri ha spinto il giovane Fadi Ahmad Hamdan al-Qunbar  a investire un gruppo di militari israeliani? È probabile. Ma non è sicuro, perché potrebbe anche essere stato un reale incidente, ma questo non si saprà mai perché Israele non ama i processi e quando può uccide in diretta. Forse in questo caso i militari che hanno sparato all’autista avevano una giustificazione legittima: malore o attentato, l’autista andava fermato. Ma se di attentato si è trattato, forse l’odio che l’ha  reso possibile nasceva proprio da tutti gli omicidi impuniti commessi dai soldati israeliani o dai civili israeliani, o dai coloni israeliani. Tanti, centinaia, non accidentali ma voluti. E impuniti. 

 

Forse l’autista vedendo scendere da un bus il gruppo di soldati in divisa ha pensato al giovane Abdul-Fattah al-Sharif, ucciso per pura crudeltà dal soldato  Elor Azaria trattato come un eroe invece che come un sadico assassino. O forse la loro divisa lo ha portato a pensare alla giovane Maram Salih che sognava di andare per la prima volta a Gerusalemme e che è stata uccisa a distanza, ma con mira perfetta da soldati con la stessa divisa; o forse pensava all’adolescente ucciso pochi giorni fa da altri soldati, magari proprio quelli che si è trovato davanti!  Comunque il camion guidato da Fady al Qunbar ha investito un gruppo di militari occupanti e ne ha uccisi quattro. 

 

Non si deve giustificare un’uccisione, e poi non è il compito di chi si occupa di informazione quello di giustificare o condannare, ma capirne la ratio e provare a farla capire al lettore, questo sì. Perché, dato per quasi certo che si sia trattato di azione voluta, o si liquida il tutto inserendolo nella sfera del raptus di un folle, e questo è da escludere, o se ne cercano le ragioni.

 

Per capirne le ragioni partiamo dagli omicidi quotidiani commessi dai soldati israeliani. Per farlo non ci serviamo delle testimonianze palestinesi, ma di quelle di associazioni israeliane come B’Tselem, quella che è riuscita a portare in tribunale l’assassino Elor Azaria oggi osannato da migliaia di ebrei, o Breaking the silence. Quest’ultima è un’associazione di ex soldati che hanno lasciato l’esercito perché un certo giorno, quello strano sentire che chiamiamo comunemente coscienza, li ha spinti a uscire e a rompere il silenzio. Loro sono i primi a parlare del fanatismo e dell’odio verso i palestinesi di cui vengono nutriti durante il servizio militare. Il palestinese viene de-umanizzato  e percepito soltanto come un pericoloso nemico del popolo ebreo, per cui ucciderlo non crea solitamente neanche il rimorso per aver spezzato una vita, ma addirittura la fierezza di averlo fatto. Le uccisioni sono generalmente extragiudiziali perché il principio dell’habeas corpus che ha segnato il passaggio dalla brutalità del farsi giustizia da soli alla civiltà di riconoscere al presunto colpevole il suo diritto “di essere umano” e, quindi, di essere giudicato e poi semmai condannato, viene totalmente disconosciuto da Israele nei confronti dei palestinesi. L’habeas corpus non è certo un’invenzione  giuridica dell’ultim’ora emanata per condannare Israele! La sua prima affermazione la troviamo già nella Magna Charta e quindi parliamo del 1215, ma senza rifarne la storia, fino ad arrivare alla Dichiarazione universale del diritti umani del 1948, possiamo ricordare che questo importante istituto giuridico nasce come garanzia contro l’abuso e l’arbitrarietà di chi detiene il potere. Ma Israele è il paese delle eccezioni. E questo lo fa diventare il paese dell’arroganza e  dell’odio. Odio di Israele verso chiunque osi giudicarne i crimini e gli abusi. Odio che si riproduce specularmente creando una spirale che avrà fine solo se Israele verrà costretto a riconoscere i diritti del popolo di cui occupa la terra, a cui impone mortificazioni quotidiane, di cui arresta, detiene senza processo né capi d’accusa, o uccide i suoi membri. 

 

All’azione di Fadi  Ahmad Hamdan al-Qunbar sono seguite le dichiarazioni di Netanyahu e quelle di Hamas. Le dichiarazioni di Netanyahu sono affermazioni senza prova ma di grande impatto mediatico, manipolatorie ed efficaci per far crescere ciò che serve a terrorizzare e a trasformare la realtà. Non è un giudizio di valore ma un dato di fatto perche  Netanyahu, senza conoscere ancora neanche il nome dell’autista, lo dichiara affiliato all’Isis. L’equazione cui mira è semplice, l’esasperazione palestinese è figlia del cosiddetto stato islamico. La resistenza palestinese viene cancellata o inglobata nell’espressione massima del terrore che, seppur creato dall’Occidente, ha ormai preso una strada autonoma che, peraltro, ha come prime e più numerose vittime proprio i musulmani, ma questo passa in terzo piano.   Il meccanismo  è semplice: se l’attentatore è un musulmano tutto l’Islam è un pericoloso nemico dell’Occidente e Israele, per un gioco di fanta-geografia, viene considerato occidente. Quando una macchina di coloni si lancia su un gruppo di bambini palestinesi o su una famiglia palestinese a passeggio, nessun giornalista si sogna di definire l’integralismo ebraico come pericolosa forma di terrorismo per l’Occidente. Perché? i motivi sono almeno due: primo, questi fatti non fanno notizia e quindi vengono ignorati o relegati in cronaca di basso interesse. Secondo, non vengono percepiti come pericolo per l’Occidente perché vanno a colpire solo il popolo medio-orientale che è già stato adeguatamente disumanizzato e quindi lontano da ogni possibile empatia.

 

A dar manforte alle dichiarazioni di Netanyahu arrivano le dichiarazioni di Hamas che però, si badi bene, vengono spacciate per rivendicazioni che fanno impropriamente accostare Hamas all’Isis, in una semplificazione colpevole e fuorviante. Da Gaza arrivano dichiarazioni che “invitano” Israele e il mondo a rendersi conto che la resistenza contro l’occupazione esiste e che lo Stato occupante è chiamato a farci i conti in ogni momento. Del resto la legalità internazionale non solo ammette ma reputa legittima la resistenza di un popolo occupato contro il suo occupante.  

 

La stessa legalità internazionale condanna le azioni di rappresaglia che Israele pratica abitualmente e, quindi, la demolizione della casa dell’ attentatore e quella della sua famiglia, nonché gli arresti dei familiari, sono tutte azioni gravemente fuorilegge le quali, essendo ignorate, o tollerate e comunque non sanzionate, non vengono percepite dall’opinione pubblica nella loro gravità contro il Diritto universale che, volenti o nolenti, ci riguarda tutti e che, sommate ad ogni altra violenza, ad ogni altro arbitrio, ad ogni altro osannare del popolo israeliano verso soldati assassini invece che condannarli,  fanno crescere l’odio palestinese. Quello che Netanyahu indica al mondo. 

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