In un Convegno dal titolo “l'Italia può farcela?” organizzato da A-simmetrie, PierGiorgio Gawronski ha affrontato il tema delle “riforme strutturali”. “E' un termine seduttivo, che riesce ad acchiappare dalla giustizia al lavoro, ma poi hanno uno scopo più preciso: non è solo liberalizzazione del mondo del lavoro, ma anche beni e servizi”, ha precisato.
Con una definizione generale di riforme strutturali come quelle che riducono il grado di monopolio ed oligopolio a favore della concorrenza nel mercato dei beni e servizi, l'economista sostiene come le motivazioni offerte da chi le vuole applicare sono principalmente quelle di ridurre le asimmetrie tra i paesi europei e promuovere la crescita. “I problemi della domanda si risolvono con politiche dell'offerta si dice”. Naturalmente queste tesi sono forti nell'opinione pubblica: le inefficienze e le asimmetrie sono notevoli nell'Ue. In tempi normali possono anche portare benefici come il recupero di efficienza e di competitività.
Ma il contesto macroeconomico di oggi è cambiato completamente, imponendo una rivisitazione di quello che venivano considerati i punti di riferimento tradizionali: è così emerso come l'austerità aumenta i debiti pubblici; la composizione del bilancio pubblico: ridurre la spesa è più depressivo di aumentare le tasse; aumentare massa monetaria non crea sempre inflazione; aumento dei deficit pubblici non aumenta necessariamente i tassi d'interesse. Tutto questo è una rivoluzione della politica economica. E' un mondo che non conosciamo. E in questo contesto, qual'è l'impatto delle riforme strutturali in questo quadro di recessione eccessiva? Se si liberalizza ora il mercato del lavoro, ogni italiano avrà paura di perdere il posto del lavoro e risparmierà ulteriormente, diminuendo ancora i consumi. “Se sono tutti a rischio, smettono di spendere tutti”, sottolinea l'economista.
In una grande recessione, il parametro di riferimento è il rischio: il rischio dell'aumento di essere licenziato non viene compensato dalla probabilità di essere assunto si crea un ulteriore effetto depressivo. Poi c' un secondo meccanismo da considerare: la riduzione dei prezzi che alimenta la deflazione, in una situazione di tassi a zero in cui la BC non può compensare. La deflazione aumenta i tassi d'interessi reali, deprimendo ulteriormente consumi e investimenti.
Il breve termine sta distruggendo il Pil attuale ma anche la capacità produttiva: oggi l'effetto espansivo non c'è e si parla correttamente di “stagnazione secolare”. Come si esce dalla crisi? Un modo per uscire è distruggere al punto la capacità produttiva da riportare in equilibrio il tasso d'investimento. Se poi queste riforme strutturali le fanno insieme la situazione si aggrava ancora di più.
Che si può fare oggi? Aumentare i salari, le protezioni sociali e aiutiamo Draghi a combattere la deflazione come ha chiesto, ma facendo il contrario di quello che ci sta chiedendo con le “riforme strutturali”. Oggi, conclude l'economista, ci sono tanti “pentiti” tra gli economisti che nel 2010 ne tessevano le lodi e oggi hanno iniziato a parlare di domanda. Anche lo stesso Draghi nel suo ultimo discorso a Jackson Hole ha sostenuto che il crollo del 2011 non fu un problema di debito pubblico ma un errore della Banca centrale. Lo ha detto. “Ma i pentiti non sono gli uomini giusti per farci uscire dalla crisi”.