In morte di monsignor Capucci, uomo di lotta e di fede.

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di Patrizia Cecconi - Pressenza
1 gennaio 2017

Monsignor Capucci ha lasciato questa terra mentre il 2017 nasceva. L’ha lasciata dopo 94 anni di vita di cui almeno 70 passati con un’idea precisa: ottenere giustizia per il popolo palestinese.

Capucci era un uomo di fede, un arcivescovo cristiano-melchita nato vicino Aleppo nel 1922 e fiero sostenitore dei diritti del popolo palestinese per la cui difesa ha passato alcuni anni nelle carceri israeliane. Accusato di cosa? Di trasportare armi per l’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. L’accusa era vera. Monsignor Capucci, interpretando il vangelo in modo corretto, portava armi per difendere un popolo schiacciato da un gigante che le armi, ben più sofisticate e abbondanti, le riceveva (e le riceve) dai suoi complici occidentali.

Fu condannato a 12 anni. Era il 1974 . Venne liberato da Israele dopo qualche anno e la sua condanna fu tramutata in esilio perpetuo per l’intercessione del pontefice Paolo VI. Per ottenere la sua liberazione vennero addotti motivi di salute. Oggi i sionisti godono della sua morte e ironizzano su motivi di salute che hanno consentito all’arcivescovo melchita di arrivare a 94 anni.

Dai nemici del Diritto universale, da coloro che calpestano le risoluzioni Onu e dai loro complici, monsignor Capucci era considerato un terrorista o quanto meno un sostenitore del terrorismo. Parola magica per distruggere ogni giusta lotta contro la barbarie dell’occupazione la quale, essendo garantita da esercito regolare e ben armato, pur se produce morte e terrore non viene catalogata come terrorista.

Monsignor Capucci portava armi all’OLP, è vero ed era un’azione non meno eroica di quella di chi portava armi ai partigiani nella seconda guerra mondiale o agli insorti durante il Risorgimento, tanto per restare in Italia, paese in cui monsignor Capucci ha vissuto in esilio per circa 40 anni. Fu rilasciato con l’obbligo di non occuparsi di politica, e i sionisti di destra e di sinistra e i loro compari hanno denunciato più volte il non essere stato ai patti dell’arcivescovo di Gerusalemme perché era palese la sua partecipazione a conferenze ed iniziative diverse in cui portava la sua voce a favore della resistenza all’occupante e al rispetto dei diritti umani che quest’ultimo conculcava a proprio arbitrio a danno del popolo palestinese.

Difendere i deboli dalla prepotenza dei potenti è una norma evangelica prima ancora che una scelta politica, ma questo non sempre risulta chiaro.

Famoso fu il suo saluto ad un’assemblea di piazza a Roma in cui il prelato, dopo aver invocato l’aiuto di Dio per ripristinare la verità – e di conseguenza la giustizia – alzò le braccia verso il cielo e gridò “intifada (che significa rivolta contro l’oppressore) fino alla vittoria”.

Ora che quest’uomo di fede e di lotta ha chiuso la sua vita, chi lo ha conosciuto da vicino e lo ha frequentato in questi anni, può dire che è morto un uomo che non è mai venuto meno agli insegnamenti della religione che professava, esattamente come l’abate di Moni Preveli nell’isola di Creta che imbracciò il fucile contro i nazisti per proteggere i partigiani greci durante la seconda guerra mondiale. A quest’ultimo è dedicata una statua per aver salvato la vita a circa 5000 persone. A monsignor Capucci potrà essere dedicata una statua per aver fatto capire – col suo esempio – a tutti gli uomini di buona volontà, in qualunque parte del mondo si trovino, la giustezza di opporsi all’oppressore a rischio di essere ucciso, imprigionato o tacciato strumentalmente di terrorismo. Quando e se questo sarà possibile, significherà che il Diritto universale avrà vinto sulla barbarie di chi finora si è impunemente rifiutato di riconoscerlo, rispettarlo e seguirne le prescrizioni.
 

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