In Siria i terroristi stanno perdendo. Il Fatto Quotidiano quando si arrenderà?

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Di Shady Hamadi  e della credibilità dei  suoi articoli ci eravamo già occupati tempo fa quando ci raccontava dei “ribelli” di Aleppo est  che allestivano biblioteche per poter far leggere alla popolazione libri di Gramsci  sulla dittatura e la rivoluzione.


Ora che Aleppo è stata interamente liberata dai tagliagole che l’occupavano, con il ritorno di centinaia di migliaia di siriani che non erano certo “scappati dalla dittatura di Assad”,  Shady Hamadi passa al vintage pubblicando su “Il Fatto Quotidiano” l’articolo “Siria, il racconto della tortura: “Alcuni impazzivano e si spaccavano la testa. I cadaveri gettati in fosse comuni” sulle torture che, anni fa, sarebbero state inflitte nelle celle della “sezione 215 dei servizi segreti militari” ad un anonimo carcerato, denominato nell’articolo “Ismail”.




Intendiamoci. Che nelle carceri siriane non vengano rispettati i diritti umani è estremamente probabile. Anzi, è certo. Ci sarebbe da meravigliarsi del contrario considerando la guerra (400.000 morti) che da anni bande di terroristi al soldo dell’Occidente e delle petromonarchie stanno conducendo in Siria.


Nonostante ciò riteniamo che ogni brutalità in carcere debba essere denunciata anche quando colpisce un efferato terrorista. È questo il caso di “Ismail”? Shady Hamadi si guarda bene dal dire perché mai i servizi segreti lo cercassero limitandosi a pubblicare quello che lui gli racconta senza porgli nemmeno una domanda che potrebbe servire a rivelare una storia completamente diversa.


Nessun domanda, ad esempio sulla storia dei due cadaveri che “ogni giorno” i detenuti nella cella di “Ismail” dovevano portare fuori (“Ogni giorno, morivano due persone in cella con noi.”). Considerando che la detenzione di “Ismail” è durata tre mesi fanno almeno 180 cadaveri. Ma visto che I detenuti stipati ogni giorno nella cella nella cella sono , a detta dell’articolo, stabilmente 11 (immaginiamo  che i morti venissero continuamente rimpiazzati dall’arrivo di nuovi prigionieri) come è possibile che con quel tasso di mortalità “Ismail” , pure sottoposto “quotidianamente” alle più orrende torture e considerato dai compagni di cella “il più debole”, abbia potuto farcela? Certo. È una domanda cinica ma qualsiasi giornalista degno di questo nome avrebbe dovuto porsela e porla.


 Anche la dinamica dell’arresto di “Ismail” avrebbe meritato qualche domanda. “…. i servizi segreti rastrellano tutto il quartiere. Quando sono entrati in casa nostra, sono scappato sul tetto” (a proposito, ma perché? N.d.r.) . Poi i servizi segreti “… hanno cominciato a portare fuori tutto: il televisore, il frigorifero e i mobili. Hanno rubato ogni cosa”. Ma davvero i servizi segreti effettuano i rastrellamenti con i camion per portarsi via anche i mobili degli arrestati?


E ancora: “Il fratello di Ismail riesce a tirarlo fuori pagando 15mila dollari a un ufficiale dei servizi segreti. (…) “Davanti al giudice ho visto mio fratello e sono scoppiato, finalmente, a piangere. Mi avevano prosciolto, fino ad allora ero stato dentro senza sapere il capo di accusa” Quindi, un processo pubblico (visto che in aula c’era il fratello di “Ismail”). E un ufficiale dei servizi segreti per liberare fraudolentemente un prigioniero deve ricorrere ad un pubblico processo? Strana storia per un paese definito “una orrenda dittatura”.
 

Francesco Santoianni
 
 

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