In Venezuela la costituzione non si calpesta, ma si discute e si applica

In Venezuela la costituzione non si calpesta, ma si discute e si applica

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Perché un paese del sud globale che fa tante cosa buone ma viene ignorato, improvvisamente balza in prima pagina di tutti i giornali del mondo? L'articolo di oggi sul manifesto. Altro punto di riflessione contro la propagande di guerra: in Venezuela la costituzione non si calpesta, ma si discute e si applica, in quanto strumento di difesa delle classi popolari nata dalla volontà collettiva.
 

di Geraldina Colotti* - Il Manifesto


«È falso che ci sia un colpo di Stato in Venezuela». Il governo venezuelano reagisce così alle accuse di aver voluto organizzare un «auto-golpe» contro il Parlamento venezuelano, a maggioranza di destra. Un comunicato del ministero degli Esteri accusa anzi alcuni paesi neoliberisti della regione di voler attentare alle istituzioni bolivariane e allo stato di diritto «diffondendo falsità e ignominie». La situazione è deflagrata giovedì dopo una sentenza del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj) che ha deciso di avocare a sé le funzioni del Parlamento, considerato «en desacato» (in ribellione) dal 5 gennaio del 2016: per aver voluto accreditare tre deputati dello Stato Amazonas, la cui elezione – a dicembre del 2015 – era stata impugnata per frodi comprovate.


UNA DECISIONE che interviene al culmine di uno scontro di poteri cadenzato dal continuo diniego del Parlamento di riconoscere l’autorità dell’Alta corte – ago della bilancia nell’equilibrio dei 5 poteri esistenti nella repubblica presidenziale – e le sue sentenze. La questione dei tre deputati non è affatto ininfluente perché darebbe alle destre la maggioranza assoluta, con la quale poter decidere su questioni cruciali. Innanzitutto, l’economia del paese petrolifero e il governo delle risorse. Il Venezuela, che custodisce le prime riserve di greggio al mondo, ha deciso di impiegare gran parte dei proventi per il welfare (il 74% del Pil) e negli scambi paritari con i paesi del sud globale.
 

UN AFFRONTO insopportabile per le oligarchie legate ai grandi gruppi econonomico-finanziari e ora in fibrillazione dopo l’arrivo di Trump e dei suoi petrolieri. Quello che realmente ha scatenato l’attacco del Venezuela all’Osa e la levata di scudi delle destre di mezzo mondo, sono proprio gli interessi petroliferi che animano la geopolitica internazionale. Dopo l’ultimo vertice dei Non Allineati, di cui il Venezuela ha la presidenza, la diplomazia bolivariana ha ottenuto importanti risultati: prima di tutto la diminuzione del numero di barili prodotti, e poi la firma di importanti accordi per lo sfruttamento delle risorse petrolifere soprattutto con la Russia e la Cina: per neutralizzare la guerra economica. Durante il nostro ultimo viaggio in Venezuela, abbiamo assistito a vaste consultazioni con le popolazioni indigene, deputate al controllo diretto dei territori interessati. Per gli accordi, però, occorre anche il controllo del Parlamento, notoriamente contrario all’economia «partecipata» di Maduro, che «mette al centro l’essere umano e non il mercato».


DA QUI LA RICHIESTA del ministero del Petrolio all’Alta corte, e la prima sentenza, che autorizza Maduro e il ministero a «creare imprese miste» e a renderne conto al Tsj. Da qui l’ira funesta di Trump, via Almagro, e l’approvazione del parlamento di una richiesta di «intervento esterno» e di sanzioni contro il paese, portata direttamente a Trump dai deputati di Voluntad Popular (partito più estremo dell’arco di destra). «Che nessuna forza straniera si immischi negli affari interni del Venezuela», ha avvertito il ministero degli Esteri russo.


MA I PAESI ormai neoliberisti – Argentina, Brasile, Paraguay – che ora governano il Mercosur, hanno convocato una riunione urgente del blocco regionale. Invece, il Parlasur ha praticamente ritenuto nulla la decisione del Mercato comune del sud di sospendere il Venezuela onde avanzare nelle trattative per un Trattato di libero commercio con l’Europa. E dall’Europa arriva il coro di condanna più compatto al Venezuela. Capofila, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, che ha chiamato il presidente dell’Assemblea nazionale del Venezuela, Julio Borges: per garantire il sostegno dell’Europarlamento, che martedì dibatterà il tema a Strasburgo.
 



GLI EURODEPUTATI della sinistra, come Eleonora Forenza, di Rifondazione Comunista, insieme a quelli spagnoli, francesi, portoghesi, annunciano battaglia. Anche dal congresso di Rc, il segretario Paolo Ferrero, dopo un minuto di silenzio dedicato alla memoria di Fidel Castro, ha espresso solidarietà al Venezuela bolivariano e al presidente Nicolas Maduro. Appoggio «incondizionato» a Maduro anche dai paesi dell’Alba, Cuba in testa. L’Ecuador – che denuncia manovre analoghe delle destre al ballottaggio presidenziale di domani – ha respinto «ogni intento di destabilizzare il Venezuela promosso da istanze internazionali». Il presidente boliviano, Evo Morales, ha chiesto la rimozione di Almagro e ha annunciato che porterà la discussione al Consiglio permanente dell’Osa, di cui il suo paese assumerà la presidenza il primo aprile.
 

IN VENEZUELA, la situazione è incandescente. Alcuni deputati di opposizione hanno cercato di entrare al Tsj e sono stati respinti, ci sono stati tafferugli e qualche arresto. Ferve anche il dibattito tra costituzionalisti. Perché il Parlamento non è stato disciolto, la decisione del Tsj non è definitiva, riguarda solo alcune prerogative, decàde se i tre deputati fraudolenti vengono esclusi e viene riconosciuta la legalità costituzionale. Ma «bisogna far finire lo scontro di poteri», altrimenti si viola la costituzione – ha detto la Procuratrice generale Luisa Ortega Diaz, illustrando il profilo garantista del suo ministero. «È una sentenza controversa, ma conforme al diritto e l’Assemblea è tenuta a rispettare le decisioni del Tsj», ha affermato l’ex Procuratore generale Isaias Rodriguez, attuale ambasciatore del Venezuela in Italia. Borges, però, ha strappato pubblicamente la sentenza del Tsj, arroventando il clima. Applaudito dall’ex presidente colombiano Uribe, sponsor dei paramilitari e nemico degli accordi di pace, contro i quali manifesterà il 1 aprile.

*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autrice

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