Je suis.... ? Ecco cosa significa svolgere la professione di giornalista nella Palestina occupata

Je suis.... ? Ecco cosa significa svolgere la professione di giornalista nella Palestina occupata

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di Paola Di Lullo
 

 

"Non c'è nessun giornalista al mondo più minacciato di un giornalista palestinese, perché lui o lei non partecipa solo alla manifestazione, ma vive l'evento stesso".
Hamde Abu Rahma

 


Ci sono diversi problemi per svolgere la professione di giornalista in Palestina. Si inizia dalla fase pre-professionale quando si cerca di ottenere un'adeguata formazione per il mestiere. Le risorse scarseggiano, e gli studenti di giornalismo devono anche affrontare la difficoltà quotidiana di passare attraverso i checkpoint che limitano i loro movimenti.

Arrivare in classe in tempo diventa una lotta quotidiana.


Diventati giornalisti, ci si rende poi conto che vi è una totale mancanza della necessaria libertà per riuscire a coprire accuratamente gli eventi e trasmetterli al resto del mondo.

Se è vero un po' dappertutto che i media mainstream sono asserviti al padrone di turno, in Palestina, i giornalisti hanno ben altri problemi da affrontare Il Centro Palestinese per lo Sviluppo e le Libertà dei Media (MADA) ha pubblicato, il 10 febbraio, un rapporto in cui si afferma che, tra dicembre 2017 e fine gennaio 2018, sono state registrate 117 violazioni contro le libertà dei media palestinesi per mano delle forze israeliane.

Il MADA ha riferito che a gennaio c'è stata una diminuzione delle violazioni contro le libertà dei media rispetto a dicembre 2017. Si va dalle 89 violazioni , di cui 84 veri e propri attacchi, di dicembre, alle 31 di gennaio, tre delle quali commesse da forze dell'ANP.

Nonostante il calo tra dicembre 2017, mese caldo in cui si sono registrate la maggior parte delle proteste contro il riconoscimento americano di Gerusalemme come capitale di Israele, e gennaio 2018, il MADA ha dichiarato che le violazioni di gennaio sono state più alte dello scors gennaio.
 

Una delle principali violazioni di gennaio, riguarda un fotoreporter di Reuters a Gerusalemme, colpito alla testa con un'arma contundente che gli ha causato un'enorme ferita ed una commozione cerebrale.



 

I giornalisti palestinesi descrivono spesso il loro lavoro come una forma di "resistenza", poiché credono che le loro storie mostrino al mondo gli effetti devastanti delle politiche israeliane sui palestinesi e forniscano ai palestinesi un mezzo per far ascoltare le loro voci in un clima mediatico spesso offuscato dalla narrazione filoisraeliana. Infatti, durante i 70 anni di occupazione israeliana del territorio palestinese, il punto di vista israeliano ha forzatamente e deliberatamente dominato i media nazionali e globali. In tal modo, la parte israeliana ha oscurato la verità sulla Palestina. Israele si è concentrato maggiormente sugli Stati Uniti e sui paesi europei che hanno influenza riguardo il conflitto in corso.

Tuttavia, l'emergere di Internet - e di tutto ciò che consente una trasmissione rapida delle notizie - ha reso il mondo un villaggio più piccolo. Un giornalista Palestinese può sperimentare la libertà di espressione sul web. La verità sulla situazione non può più essere fermata. Al contrario, la trasparenza che Internet fornisce può portare ad ascoltare più voci che rappresentano la parte palestinese. 

Di oggi, la notizia di un altro arresto, il giornalista Mohammad Olwan, fuori al carcere di Ofer, dov'era in corso una manifestazione non violenta per protestare contro la detenzione dell'attivista palestinese Munther Amira, capo del capo del Comitato di coordinamento della lotta popolare (PSCC) in Cisgiordania, arrestato durante le proteste pacifiche di fine dicembre.




Il video dell'arresto :


https://www.facebook.com/eyeonpalestine2011/videos/1821154494573450/?t=6

La manifestazione è stata soppressa con lanci di gas lacrimogeni e l'uso dello spray al peperoncino.

Il video dell'intervento dell'IDF alla manifestazione :
https://www.facebook.com/eyeonpalestine2011/videos/1821081667914066/?t=1

A questo punto, come non ricordare i 17 giornalisti massacrati a Gaza nell'estate 2014, durante l'Operazione Protective Edge?

Come non ricordare, tra gli altri,
il palestinese Ali Shehda Abu Afash e l'italiano Simone Camilli, uccisi il 13 agosto 2014, mentre cercavano di filmare gli artificieri al lavoro per disinnescare un razzo inesploso a

Beit Lahia? Tre ore di tregua e poi morti, assassinati, 5 artificieri e 2 giornalisti. Un secondo, e fu buio. Israele uccide anche così.
Di Simone ci resta lo splendido documentario About Gaza 
https://youtu.be/ZjxB6qwa-oI
 

FONTI : Ma'an News Agency
Eye on Paletine

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