La liberalizzazione dei visti con l’Ucraina, alias lavoro a basso costo per la Germania

La liberalizzazione dei visti con l’Ucraina, alias lavoro a basso costo per la Germania

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Adesso, dopo tanti tentennamenti, molte promesse e infiniti rinvii, sembra davvero fatta. Perché per entrare in vigore, il regime senza visti all’interno dell’Unione Europea per i cittadini ucraini, ha bisogno solamente di una firma e di venti giorni per entrare in vigore.

Oggi, infatti, con una decisione ampiamente prevista, Il Consiglio UE ha approvato definitivamente la concessione del cosiddetto “Bezviza rezhim” per i cittadini dell’ex repubblica
sovietica. 

Il prossimo passo, l’ultimo, prevede la firma sul provvedimento del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, e del Primo ministro maltese, Joseph Muscat, presidente di turno
dell’Unione Europea. Dopodiché il documento verrà pubblicato in Gazzetta ufficiale e dopo 20 giorni entrerà ufficialmente in vigore con una piccola riserva, perché Bruxelles, spinta soprattutto dal fronte dei paesi del nord, sospenderà l’accordo nel caso in cui dovessero sorgere evidenti problemi di migrazione e sicurezza.

Le previsioni del governo ucraino, rese note qualche settimana fa da Volodymyr Groisman, dicono che ciò accadrà attorno all’11 giugno, giorno definito dal premier ucraino molto simile a quello della caduta del Muro di Berlino e ovviamente poco apprezzato dal governo il russo, con il ministero degli Esteri di Mosca che ha definito la decisione di Bruxelles “una carota sulla corda, la quale facilita il sistema esistente”.

Cosa significa nel concreto tutto questo è presto detto. Il regime senza visti consentirà la libera circolazione dei cittadini ucraini nello spazio Schengen, che attualmente comprende 22 paesi, nei 4 stati non Ue che però aderiscono all’accordo sulla libera circolazione (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) e in altri 4 paesi candidati a Schengen (Bulgaria, Cipro, Romania e Croazia). Una svolta non da poco per gli ucraini, ai quali sarà concesso di permanere sul territorio europei per un massimo di 90 giorni ogni 6 mesi per turismo, partecipazione a eventi culturali, visita di amici e parenti.

Per ottenere questo diritto basterà un passaporto biometrico e null’altro, se non alcuni documenti aggiuntivi che potranno essere richiesti ai valichi di frontiera, come una assicurazione medica, un invito di parenti o amici e la carte verde (nel caso di viaggio in auto).

L’approvazione di questo provvedimento, però, nei scorsi mesi ha sollevato molti dubbi per una serie di motivi che potrebbe spingere l’Europa a ricredersi molto presto. Il primo è che l’Ucraina, e ne abbiamo scritto anche qui tempo fa, per quanto la si voglia integrare all’interno del contesto europeo, soprattutto per quanto riguarda il rispetto delle regole e dei vincoli imposti da Bruxelles, è un paese attualmente in guerra, con tre milioni di sfollati e una crisi economica della quale non si vede minimamente la fine. Il secondo riguarda proprio il pericolo migrazioni. Lo scorso anno uno studio condotto dall’agenzia GfK Ucraina aveva rivelato come circa l’8% della popolazione ucraina in età lavorativa stesse progettando l’approdo
verso altri paesi. Parliamo di cifre importanti, che si possono stimare in 3 milioni di persone.



Una situazione critica nella quale viene quasi naturale pensare che non tutti, scaduti i 90 giorni, possano rientrare effettivamente nel loro paese. Ovviamente non è una questione di razzismo o meno, quanto più una riflessione logica sulla condizione umana. Cosa farebbe un uomo in difficoltà, in questi casi? Non tenterebbe la fortuna? La possibilità di una vita all’occidentale è una prospettiva molto succosa per un popolo che da tre anni a questa parte è stato convinto che dall’altra parte, verso ovest, c’è un mondo migliore rispetto alla grigia Russia.

Il sospetto è che dietro l’effettiva concessione del “Bezviza rezhim” ci sia un piano per importare quasi legalmente altra manodopera a basso costo, sicuramente molto più disposta ad integrarsi di quella che sbarca a sud dell’Europa e a rinunciare a diritti che non ha nemmeno nel proprio paese. Non è un caso che, secondo l’ultimo studio del gruppo sociologico Rating, il 23% degli ucraini disposti a lasciare il proprio paese per lavorare in Europa, andrebbe in Germania, mentre il 22% in Polonia. Paesi dove si produce molto proprio perché il lavoro costa poco.

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