Alberto Bagnai: "E' stato un NO ai media. Le vittorie dimostrano che la Storia è con noi"

Alberto Bagnai: "E' stato un NO ai media. Le vittorie dimostrano che la Storia è con noi"

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Pubblichiamo ampi stralci dell'ultimo articolo di Alberto Bagnai sul suo blog Goofynomics, condivendone in pieno lo spirito, le emozioni e la speranza finale

Da IL NO AI MEDIA - Goofynomics

di Alberto Bagnai

[...] questione politica cruciale, perché è cruciale per il nostro ordinamento politico democratico: quella di un giornalismo che è totalmente appiattito di fronte ai grandi interessi economici, che è puro veicolo di propaganda e non di lecita espressione di opinioni, che è showbusiness e non laboratorio di elaborazione e confronto di idee, che è completamente privo di qualsiasi rappresentatività rispetto a una società civile cui non solo non dà voce, ma della quale denigra e combatte le voci migliori per mezzo di sicari prezzolati, che si costituisce, in tal modo, come ostacolo alla democrazia impedendo la maturazione della coscienza dei lettori, e che però, proprio per questo, si sta avvitando su se stesso, e constata con uno stupore commovente (ma inquietante) la propria crescente incapacità di incidere sull'opinione pubblica, la propria vertiginosa perdita di credibilità e di autorevolezza.

Qualche sera fa, a cena con uno degli esponenti del più prestigioso fra questi megafoni del potere, a valle della mia osservazione che un certo articolo sulle banche che sarebbero fallite a causa del no era lievemente impreciso (se avesse vinto il sì, voi oggi comprereste azioni MPS, nonostantestiano per ovvi motivi recuperando mentre scrivo!?), raccoglievo con commossa e partecipe solidarietà le sue parole: "Ma tanto oggi non contiamo più nulla, la gente non legge noi, legge il Daily Mail...". Lo sanno che si stanno condannando all'irrilevanza, come lo scorpione sa che annegherà, al punto che usano questa crescente coscienza della propria incapacità di raggirare i lettori come meccanismo autoassolutorio: "Possiamo dire qualsiasi scemenza ci venga chiesto di dire da chi ci paga, tanto non siamo più in grado di far danno perché non siamo più credibili". E dormono sonni tranquilli (agli Hamptons).

Ma attenzione, non è affatto un bene che i media si stiano palesando per quello che sono: meri strumenti di propaganda unidirezionale, nemici del pluralismo, nemici della democrazia, apertamente ostili al suffragio universale, pronti a denigrare (al netto degli ipocriti mea culpa à la Rampini) gli elettorati che si pronuncino in modo contrario agli interessi percepiti dei propri editori, i quali, a loro volta, non sembrano poi tanto in grado di percepire quali siano i loro reali interessi, come la vicenda fallimentare del Sole 24 Ore dimostra. Il metodo fascista dei media, quello che ho chiamato in tempi non sospetti "il fascismo dell'opinione" (a pag. 283 de "L'Italia può farcela), il metodo consistente nel presentare come fatti le porche e disinformate opinioni dei loro mestieranti (Lombroso reconnaitra les siens...), sta determinando due derive pericolosissime, dalle quali tutti, loro per primi, rischiamo di venire schiacciati.

La prima pericolosa deriva  è quella di aver disabituato i cittadini a ragionare in termini di fatti, in particolare di serena e fattuale valutazione del dato economico, e di quanto esso incida sui propri e sugli altrui interessi. Nel mondo dell'opinione totalizzante, i fatti diventano fattoidi, e chiunque può costituirsi fonte statistica nel dibattito, tenendo sempre aperta la porticina del "l'economia non è una scienza", da usare come uscita di sicurezza nel caso in cui venga messo di fronte alle proprie responsabilità e alla propria incompetenza. Se l'economia non è un scienza, chiunque può parlarne, giusto? Parlare di medicina senza averne titolo può costituire reato, mentre di economia chiunque può parlare, come di calcio, perché... non sono scienze! Eppure la cattiva economia uccide quanto e più della cattiva medicina: uccide i corpi, ma soprattutto le anime: priva di futuro, di prospettiva, di speranza...

Lo scopo di chi si costituisce epistemologo della domenica è esattamente questo: accreditare nel dibattito opinioni totalmente infondate, partendo dal presupposto (falso) che tanto una valga l'altra, che un economista non sia più legittimato a pronunciarsi in materia economica di un simpatico laureato in lettere. Va notato un paradosso: i centri dai quali parte questa denigrazione della dignità scientifica dell'economia sono, come chi è nel dibattito sa bene, esattamente quelle grandi università connesse alle reti transnazionali di elaborazione del pensiero unico, i cui aderenti sono così puntigliosi nel rivendicare e nel pretendere scientificità (da misurare secondo parametri autoreferenziali). Sì, insomma, paradossalmente i bocconiani della pirreviù sono anche quelli de "l'economia non è una scienza". Ma il paradosso è solo apparente: loro, infatti, sono quelli che più hanno mentito, e che quindi più di tutti, perfino più dei giornalisti, hanno necessità di potersi assolvere, portando avanti l'idea che le loro menzogne sarebbero state ininfluenti, perché, dato che l'economia "non è una scienza", dire a un governo che in recessione l'austerità fa bene non è come dire a un adolescente che fumare fa bene.

Purtroppo non è così: il nesso causale esiste, è stabilito dalla letteratura scientifica, e un economista che porta avanti certe tesi smentite dalla sua stessa scienza è del tutto equivalente a certi medici dal comportamento poco scrupoloso. Questo blog è testis fidelis ac verus del fatto che l'economia è una scienza, perché quanto abbiamo scritto o si è già realizzato (a partire dalle crisi di Finlandia e Francia) o si realizzerà (e qui sapete di cosa parlo), e questo è il motivo del suo successo (e del fallimento altrui).

Torniamo ad occuparci di media... 



Le idiozie profferite da questi ultimi in tema di "svalutazzioneinflazzionebbrutto" (di cui qui vi ricordo un esempio) sono solo la punta di un iceberg che galleggia perché fatto non di ghiaccio, ma di un'altra materia dallo scarso peso specifico (e dall'odore più penetrante). Questo simpatico iceberg marrone, a differenza del dirigibile cui ci parla Elio, un'elica e un timone ce l'ha: il suo scopo è molto trasparente, e l'ho descritto qui: costruire una società orwelliana dove il controllo del passato, da parte di chi controlla il presente, sia strumento di controllo del futuro (non è un caso se Elio parla di "Nubi di ieri sul nostro domani odierno": l'arte, se è arte, ci parla dell'uomo e quindi della società più di intere legioni di "scienziati").

Sì: i media, o meglio i loro editori, vogliono farci credere che quando ieri ci autodeterminavamo stavamo peggio di oggi, perché è loro intento negarci ulteriore autodeterminazione domani.

Dobbiamo opporci, e ieri lo abbiamo fatto, in assoluta coerenza con un lavoro che qui stiamo portando avanti da cinque anni.

La seconda deriva che i media, i "fascisti dell'opinione", hanno messo in moto, è ancora più pericolosa. Presentando opinioni come fatti, hanno talmente screditato il diritto alla libertà di opinione, che se una deriva autoritaria si manifestasse (come potrebbe) e mettesse un bavaglio a questi che ormai sono collettivamente percepiti come servi cialtroni, l'opinione pubblica accoglierebbe questa decisione non con preoccupazione, ma con sollievo. La reazione sarebbe: "Ci avete mentito per anni, mentito sui dati fattuali (quanto fosse la disoccupazione nel 1977, quanto fosse l'inflazione nel 1992), ci avete mentito sugli scenari, riportandone di totalmente scissi dai risultati della ricerca scientifica (ad esempio sulla Brexit): se ora vi mettono un bavaglio, ce ne faremo una ragione!". Sbaglierebbe, certo, chi pensasse così, e non condivideremmo, come non condividiamo, nessun vincolo al diritto di opinione come ad altri diritti costituzionalmente garantiti.

Ma una domanda dobbiamo pur porcela: oggi è realmente possibile esercitare in modo sostanziale, non puramente formale, questo diritto?

Sui media, oggi, non esiste alcun confronto di opinioni. Attuare la Costituzione oggi vorrebbe dire, prima di ogni altra cosa, garantire una rappresentazione equilibrata delle opinioni prevalenti nella società civile. Non è così. Mentre in Europa si procede a tappe forzate verso una criminalizzazione del dissenso degna delle migliori teocrazie (da quella pontificia a quelle orientali), qui, nella periferia, i merdia continuano ad articolare trasmissioni basate sull'uno contro tutti, dove, per di più, l'uno viene estratto da un insieme di cardinalità due: o è il sottoscritto, o è Claudio Borghi (che se con la sua scelta politica, che rispetto, ha tatticamente guadagnato diritto di tribuna, d'altra parte ha anche prestato il fianco alle critiche degli imbecilli che "quello non lo ascolto perché è leghista"). Con le uniche tre eccezioni che conoscete (Il Fatto Quotidiano, TgCom24, e le trasmissioni di Andrea Pancani su La7), sui media oggi di opinioni ne esiste una sola, la loro, e una delle possibili voci di dissenso, la nostra, è stata sistematicamente denigrata e conculcata, nonostante fin dall'inizio fossimo stati molto scrupolosi nel mettere in evidenza come essa, al netto del delirio dei servi cialtroni che infestano anche la mia, di professione (come sopra ho ricordato), fosse scientificamente solida e condivisa dagli esponenti più autorevoli della scienza economica. Il j'accuse di Marco (uno dei due) mette in evidenza, non so quanto volontariamente, questo dato. Soprattutto Travaglio lo dice esplicitamente: nella società si agitavano altri conflitti, altre esigenze, e voi non avete saputo dar loro voce, non avete saputo rappresentarli.

La verità è che forse non hanno voluto, ma il risultato è comunque lo stesso: così facendo, i fascisti dell'opinione si stanno condannando all'irrilevanza e questo, purtroppo, non è un bene. Loro, e chi li paga, possono riprendere il sopravvento solo alzando i toni dello scontro, a costo di esplicitarne il contenuto reale, ovvero la regressione a una società neofeudale. Questo è quello che ormai non hanno paura di dirci, a partire dai guitti locali, tutto sommato irrilevanti nel loro patetico provincialismo,per arrivare a esponenti più rilevanti della fabbrica del falso.

Guardate ad esempio questi due: la simpatica consulente della McKinsey che vorrebbe che le politiche pubbliche fossero certificate da agenzie "indipendenti" (come la sua):


(McKinsey, la patria di Yoram "il problema è l'Italia" Gutgeld, by the way...) e alla quale mi è occorso ricordare l'abbecedario della democrazia:


e il simpatico collega di Cornell:



Dopo averci tolto una parola che non ci hanno mai dato, vogliono toglierci un diritto di voto che la maggioranza non ha mai avuto reali opportunità di esercitare con consapevolezza.

Ecco cosa lega le due vittorie che mi proponevo di commentare: il rifiuto di questo metodo, la resistenza a questa aggressione. Le vittorie dimostrano che la Storia è con noi. Ma questi sono momenti terribili, pericolosi. Esorto tutti alla calma. La deriva autoritaria è alle porte, visibile nei documenti della Commissione che vi ho citato, e in tutte le riverite opinioni che vi ho documentato. La nostra risposta è efficace, ma potrebbe esserlo di più con più mezzi (e questo è un altro problema, del quale parleremo in altra sede). Intanto, ci sia di ausilio nella nostra lotta l'aver individuato il nemico immediato e prossimo della nostra: il sistema dei media. Dobbiamo contrastarlo con gli strumenti che ci offre non tanto la democrazia, che con questi media, appunto, non può esistere (non ci può essere democrazia sostanziale dove predomina il fascismo dell'opinione), quanto il capitalismo, quello sì reale, perché condannato a esserlo dalla sua stessa logica interna, quella del profitto.

Sarebbe così bello se ve la smetteste di guardare trasmissioni di merda alzando la loro share e portandole nei trending topic! Quando capirete questo, avrete cominciato a votare col portafoglio, e avremo fatto un piccolo passo avanti. Sarebbe così bello se smetteste di comprare i giornali che vi mentono! Quando cominceranno a fallire, dedicheremo loro un commosso e partecipe epicedio, e ci diremo che quando si spegne una delle tante voci che ripetono la stessa menzogna, il pluralismo si arricchisce e la democrazia ne guadagna. Sarebbe così bello se ve la smetteste di assumere sui social media toni esagitati che si rivelano infallibilmente un boomerang! Ora che sono loro, i servi delle élite, ad assumerli, nel loro smarrimento, voi servitevi a piene mani del nostro dizionario, marcando così lo scarto antropologico che esiste fra un uomo libero e un servo, fra un patriota e un verme, fra un partigiano e un repubblichino. La metà delle persone che ho bloccato su twitter (si parla di parecchie migliaia) erano cretini che credevano di stare dalla mia parte e che invece, pagati o meno, mi stavano oggettivamente mettendo in difficoltà.


Bene: questo deve essere il fulcro della nostra riflessione politica: come riappropriarci di reale rappresentatività politica. Mi sembra chiaro che il discorso non è circoscritto ai media e al loro tentativo fascista di soffocare la nostra voce, ma investe il ruolo di tutti gli altri corpi intermedi: sindacati, partiti, associazioni di categoria.

Il tempo a mia disposizione, però, è scaduto, e vi lascio con una nota biografica: per la prima volta da parecchi, troppi anni, ieri sono riuscito a dormire. Eppure, quella di ieri non è assolutamente una vittoria definitiva: è solo l'inizio di una lotta da combattere con un nemico più insidioso e più pericoloso perché sa che ora il suo avversario (la democrazia, noi!) ha dalla sua la pericolosa illusione di poter cambiare le cose col proprio voto. Ci volevano sfiduciati, sconfitti.

Abbiamo ritrovato fiducia.

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