La strage canadese distrugge la narrativa corrente sul terrorismo

La strage canadese distrugge la narrativa corrente sul terrorismo

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PICCOLE NOTE


Un altro lupo solitario, che magari tanto solitario poi non è, firma un’altra, ennesima, strage, stavolta in Canada. Si tratta di tal Alexandre Bissonnette, che ha attaccato una moschea uccidendo sei persone, tra cui l’imam locale.

 

Anche questo assassino ha urlato “Allah Akbar” come riferiscono testimoni, ma stavolta, secondo gli inquirenti, solo per depistare (sarebbe istruttivo capire se altre volte analogo depistaggio è invece riuscito).

 

Non è la prima volta che il Terrore prende di mira le moschee, anzi: di attentati contro i luoghi di culto islamici sono piene le cronache degli ultimi decenni. Ma in fondo di tali stragi non è mai importato nulla a nessuno, nonostante abbiamo causato migliaia e migliaia di morti.

 

Crimini derubricati a faide interne all’islam, un breve cenno in cronaca, con consueto breve commento teso a inquadrarle con malcelata sufficienza nell’ambito dello scontro tra sciiti e sunniti.

 

Perché piangere tutti quei poveri morti equiparandoli alle vittime d’Occidente avrebbe posto domande scomode e forse incrinato la narrativa corrente, quella che vede un islam strutturalmente feroce lanciato a bomba contro l’Occidente cristiano (che cristiano poi non è).

 

Il crimine avvenuto nella moschea canadese, invece, ha fatto il giro del mondo. Per la prima volta gli islamici uccisi rappresentavano una notizia degna di esser riportata con grande evidenza. E questo non solo perché il fatto è avvenuto in Occidente.

 

Il fatto è che il mondo sta conoscendo uno scontro epocale: la vittoria di Trump sta suscitando opposizioni fortissime. In particolare da parte di quegli ambiti che sognavano di spingere a fondo il pedale dello scontro con la Russia e di conservare la struttura planetaria secondo l’attuale schema dettato dalla globalizzazione.

 

Da qui l’ostracismo di cui è fatto segno Trump, che invece incarna l’ipotesi di un’altra ricomposizione della crisi, basata sul protezionismo e sul dialogo con Putin in funzione stabilizzante.

 

Un ostracismo a tutto campo quello di cui è fatto segno il nuovo presidente americano, che in particolare si concentra sui punti del programma e della sua personalità che più si prestano ad attirare e coagulare la critica popolare e populista.

 

Da qui, ad esempio, la marcia delle donne, protesta totalmente populista perché fondata unicamente sull’indignazione, più o meno pompata artatamente, per alcune battute infelici appartenenti al passato del tycoon, e non per protestare contro una qualche iniziativa legislativa di stampo sessista, che peraltro non sono neanche all’orizzonte.

 

Di diverso spessore le proteste per le misure contro l’immigrazione, basate sulla costruzione del Muro al confine messicano e sulla restrizione degli ingressi di cittadini di alcuni Paesi islamici.

 

Per quanto ciò sia più o meno deprecabile, sul punto Trump sta semplicemente attuando il punto del suo programma sul quale ha ricevuto i maggiori consensi. Sta cioè attuando il mandato per il quale è stato eletto.

 

Certo il tema solleva critiche fondate su solide ragioni umanitarie, però è altrettanto evidente che a tali ragioni se ne sommano altre molto meno commendevoli, che strumentalizzano tali ragioni umanitarie per ben altri fini.

 

Né si può tacere che sul punto c’è molta demagogia. Basti pensare che anche i predecessori dell’attuale presidente, tra cui alcuni degli attuali contestatori, hanno intrapreso politiche restrittive dell’immigrazione di analogo segno (vedi anche nota precedente).

 

Come anche ricordare l’algida indifferenza degli attuali antagonisti europei del tycoon, che per decenni hanno usufruito con tacito compiacimento dei funesti servigi anti-immigrazione loro resi dal Muro marino che divide l’Europa dai disperati che vogliono approdarvi. Con un corollario di morti i cui numeri sono ben più tragici di quelli che potrebbe produrre il muro americano.

 

Né tale mondo liberal ha mai alzato il ditino per porre qualche domanda indiscreta su un altro e più solido muro, quello eretto tra Israele e la Palestina.

 

In questo acceso contrasto, che si snoda a più livelli, si è inserita, al solito, l’internazionale del Terrore, che ha in Trump un nemico esistenziale perché pare più che intenzionato a trovare un coordinamento con la Russia contro il flagello del terrorismo. Cosa che metterebbe in seria difficoltà le Agenzie del Terrore che oggi appaiono invincibili se non intoccabili (basti pensare che il livello finanziario di tali Agenzie non è mai stato sfiorato dalle forze dell’anti-terrorismo).

 

E però il Terrore, le cui strategie sono più che sofisticate, sapeva bene che il solito attentato made in Isis avrebbe sortito l’effetto opposto a quello desiderato. Avrebbe cioè finito per rafforzare Trump, dal momento che avrebbe giustificato agli occhi dell’opinione pubblica americana le politiche restrittive nei confronti degli islamici.

 

Da qui la necessità di un attentato di stile razzista, che invece avrebbe reso quelle misure ancora più odiose.

 

Certo, può sembrare azzardato accostare il terrorista di matrice razzista che ha colpito in Canada ai feroci assassini made in Isis. E però la storia insegna come mostri di diversa natura possono avere in comune lo stesso brodo di coltura. Basta ricordare la strategia del terrore che si abbatté sull’Italia, dove il terrorismo di destra e di sinistra ha partecipato di un’unica strategia destabilizzante.

 

A conferma di un qualche legame occulto tra il cosiddetto lupo solitario che ha fatto strage in Canada e i lupi solitari di marca islamista che hanno imperversato nel recente passato il fatto che a rivelare al mondo la natura dell’attentato sia stato il solito Site, l’agenzia specializzata nel rinvenire nel web filmati e prove riguardanti il terrorismo islamista (elementi che, a quanto pare, risultano invece invisibili alle intelligence dei Paesi occidentali).

 

È stato proprio il sito diretto da Rita Katz ad annunciare al mondo che l’attentatore, sulla sua pagina facebook, «inneggiava a Trump, Le Pen e alla Difesa israeliana».

 

In poco tempo tale narrativa è stata rilanciata in tutto il mondo, facendo di Alexandre Bissonnette un perfetto esemplare di homo trumpianus.

 

Analogamente, la strage canadese è assurta a cruento simbolo delle mostruosità che riserva al mondo il dipanarsi della nuova era trumpiana. Potenza del populismo dei sedicenti anti-populisti…

 

Ps. La pagina Fb dell’assassino risulta ancora aperta e accoglie commenti di ogni genere. Oltre a condivisibili condanne, purtroppo anche efferati emoticon simpatizzanti e stranianti attestazioni di stima. Una lettura istruttiva per prendere coscienza del livello di barbarie nel quale è precipitato questo povero mondo. E un ulteriore interrogativo circa l’opportunità di eternare quanto si esterna sui social network. 

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