La svolta tra Cina e Vaticano sempre più vicina

La svolta tra Cina e Vaticano sempre più vicina

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di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it
 
Il pontefice Francesco non piace molto al candidato repubblicano Donald Trump alle prossime presidenziali statunitensi? Poco male. Il problema, più per il successore di Pietro che per noi, è che le sue ultime due iniziative di politica estera – così vanno senza dubbio classificate – probabilmente non gli hanno attirato le simpatie di quella parte dell'establishment Usa e Europeo – potremmo riassumerlo con la sigla Nato – impegnato a trattenere il mondo sotto il ricatto della propria potenza di fuoco e, quindi, della guerra perpetua che stiamo vivendo da ormai troppi lustri. Sì, perché l'attenzione di Francesco si è rivolta a due Paesi che, in diversi contesti, sono oggetto della denuncia occidentale: da una parte la Russia di Putin che torna a mostrare i muscoli nella sua periferia e aspira a proiettare la sua forza anche nel Medio Oriente e nel Mediterraneo, dall'altra la Pechino popolare che pratica una politica sempre più aggressiva nel Mar cinese meridionale mettendo in pericolo la libertà di navigazione. Ebbene, i recenti interventi di papa Francesco fuoriescono da questa logica di contrapposizione, per privilegiare il dialogo e la collaborazione in una prospettiva di progressivo, per quanto contraddittorio, passaggio ad un equilibrio multipolare.
 
Quanto all'abbraccio cubano con il patriarca di Mosca Kirill, rinvio alle considerazioni di Bruno Steri qui pubblicate, per concentrarci più sul messaggio che la diplomazia Vaticana ha inviato alla Cina. L'intervista che Francesco ha rilasciato a Francesco Sisci e pubblicata sulla rivista di Hong Kong “Asia Times” (Francesco Sisci, Pope Francis urges world not to fear China’s rise: AT exclusive, Asia Times, 2 febbraio 2016), ennesimo gesto lungo il filo di un dialogo che diventa sempre più robusto e che ci porta a dire che una svolta nei rapporti tra le due realtà potrebbe essere vicina e che, proprio per questo, sia in atto un negoziato per riallacciare una comunicazione spezzata nel 1951 – in piena guerra di Corea e con la Cina minacciata di nuclearizzazione – a favore della Taiwan nazionalista.
 
Ebbene gli auguri che il Pontefice ha inviato al presidente Xi Jinping alla vigilia del capodanno lunare cinese, oltre a forme di rito e cortesia, contengono espressioni che aprono scenari assai interessanti per chi è interessato alla pace. La Cina – si legge nell'intervista – è “fonte di saggezza e storia. È una terra benedetta in molti modi.

E la Chiesa cattolica, che tra i suoi compiti ha il rispetto di tutte le civiltà, ha più che mai il dovere di rispettare questa civiltà”. Seguo un invito chiaro – e anche una tirata d'orecchie ad un Europa che pare essersi accodata alla politica di contrapposizione di Washington rinunciano ad un ruolo di ponte – a considerare Pechino una pedina fondamentale per la ridefinizione di una nuova architettura dell'ordine mondiale: “In altre parole, non dobbiamo temere nessuna sfida, dal momento che tutti, maschi e femmine, abbiamo dentro di noi la capacità di trovare modi di coesistere, di rispettarci e di ammirarci reciprocamente. Ed è ovvio che tanta cultura, tanta saggezza e tanta conoscenza tecnica – pensiamo solo alle pratiche mediche e alla loro storia secolare – non possano restare chiuse in un paese.

Esse tendono a espandersi, a diffondersi, a comunicare. L’uomo tende alla comunicazione, una civiltà tende alla comunicazione. È evidente che quando si comunica usando toni aggressivi per difendersi scoppiano le guerre. Ma non sarei spaventato. È una grande sfida mantenere la pace. Qui abbiamo nonna Europa, come ho detto a Strasburgo. Sembra che non sia più mamma Europa. Spero che sarà nuovamente in grado di recuperare questo ruolo. Essa riceve da questo antico paese un contributo sempre più ricco. È quindi necessario accettare la sfida e correre il rischio di bilanciare questo scambio per la pace. Il mondo occidentale, il mondo orientale e la Cina sono in grado di mantenere l’equilibrio della pace e hanno la forza per farlo. Dobbiamo trovare un modo, sempre attraverso il dialogo. Non c’è altra via”. Messaggio, quindi, recapitato anche all'amministrazione Usa – presente e futura – che più volte ha negato il diritto di Pechino proprio alla riscrittura delle regole del gioco.
 
Senza dubbio gli ostacoli da superare in questo dialogo sono molti e con solide radici nella storia dell'impatto dell'imperialismo occidentale sulla Cina e, quindi, delle esigenze di quest'ultima in tema di sovranità, integrità e sicurezza perché – occorre ricordarlo – la Chiesa cattolica è percepita in Cina, dove agisce una Chiesa patriottica con nomine governative - ancora come una realtà subordinata a un centro di potere esterno. Tuttavia anche in questo aspetto della questione qualche apertura si è registrata: nell’estate del 2015 il reverendo Joseph Zhang Yinlin è stato nominato vescovo ausiliario di Anyang (Henan) con l’approvazione – anche se non ufficiale – della Santa Sede.
 
Dicevamo prima del peso della storia. Quello di una storia che ha visto l'intervento delle cannoniere occidentali in Cina – dalle guerre dell'oppio in avanti - proprio in nome della libertà di movimento dei missionari cattolici, e la stretta alleanza tra trono e altare nella riduzione dell'ex Celeste impero a “ipocolonia” (Sun Yat-sen) di un cartello di potenze imperialiste. All'indomani della seconda guerra dell'oppio (1858) che aveva portato alla piena libertà di movimento per i missionari, Rutherford Alcock, plenipotenziario britannico per la Cina, avvertiva quest'ultimi che “la causa del cristianesimo ci avrebbe guadagnato se non avesse goduto dell'appoggio di governi stranieri, e che se gli stessi missionari avessero usato una maggiore pazienza e moderazione nello svolgere la loro attività i cinesi non avrebbero guardato a loro come a strumenti politici ed agenti di una propaganda rivoluzionaria, ma come a insegnanti di religione”.

Al pari di una delle tante potenze impegnate nel “break up of China”, il Vaticano, in pieno svolgimento della rivolta dei Boxer (1899-1901), spinse un governo imperiale cinese sempre più in difficoltà a emanare un decreto che riconosceva pari dignità e stessi diritti dei funzionari cinesi a vescovi e sacerdoti. Sempre negli stessi anni il Kaiser tedesco Guglielmo II, dopo l'uccisione di due missionari nello Shandong, fece seguito ad una solenne promessa al “partito cattolico” tedesco inviando questa lettera a von Bulow: “migliaia di cristiani respireranno più liberamente quando sapranno che le navi da guerra dell'imperatore di Germania sono vicine […] centinaia di migliaia di cinesi tremeranno quando si sentiranno sul collo il pugno di ferro della Germania” [1]
 
1. Si rinvia al testo di Purcell V., La rivolta dei Boxer, Rizzoli, 1962

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