Il Fallimento della Dottrina Militare Americana?

Il Fallimento della Dottrina Militare Americana?

Analizzare la crescente insoddisfazione dei generali statunitensi verso i vertici politici di Washington, permette di gettare una nuova luce sulla direzione in cui procede la macchina militare Americana. In particolare è interessante osservare la futura programmazione bellica nell’ambito delle forze di terra, mare, aria, spazio e cyberspazio

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di Federico Pieraccini


Terminata la guerra fredda le forze armate statunitensi si ritrovarono senza un vero e proprio avversario paritetico, decidendo quindi progressivamente di cambiare strategia ed investimenti in materia di guerra e conflitti. Passarono dal possedere una vasta forza numerica pronta a combattere avversari dello stesso livello (URSS), con una programmazione militare specifica, ad una strategia focalizzata su avversari ibridi (milizie o forze regolari) o di taglio inferiore (Iraq, Siria, Afghanistan, Jugoslavia, Libia). La forza militare degli Stati Uniti iniziava quindi a mutare programmazione e tattiche, assolvendo alle richieste dei nuovi inquilini della casa Bianca, i famigerati Neocon. Seguendo una dottrina militare incentrata sul concetto di mondo unipolare, miravano alla dominazione globale.

 

E’ da quando agli inizi degli anni 90’ i decisori politici (policy-makers) a Washington si prefissarono l’obiettivo utopico di egemonia planetaria, che le forze armate USA hanno dovuto espandersi per creare nuovi centri di comando (USAFRICOM, USNORTHCOM), oltre a quelli già esistenti (USEUCOM, USNORTHCOM, USPACOM, USSOUTHCOM, USSOCOM, USSTRATCOM, USTRANSCOM), dislocandoli in ogni angolo del pianeta.

 

Il tipico esempio di eccessiva estensione imperiale, storicamente fautore del collasso di svariati regni nel corso dei secoli.

 

Le capacità operative della macchina bellica USA dagli anni 90’ a metà degli anni 2000 sono rimaste più o meno invariate in tutti i conflitti principali: Jugoslavia nel 1999, Afghanistan nel 2001 e Iraq nel 2003. Tre conflitti in cui le forze di difesa delle nazioni aggredite risultavano essere nettamente inferiori alla potenza dell’aggressore. La caratteristica comune, nonché punto di partenza nella programmazione militare del Pentagono in Iraq e Afghanistan, era la superiorità aerea e la capacità di operare in contesti completamente indisturbati.

 

Bombardamenti a tappeto e missile cruise lanciati in quantità impressionanti rasero al suolo le difese anti-aeree di entrambi i paesi, spianando la strada ad un’invasione di terra o con truppe aviotrasportate in quantità notevoli. Un esempio che tutti ricordano vivamente fu l’intensità degli strike USA nei primi giorni della guerra in Iraq nel 2003: punte impressionanti ed inedite di morte e distruzione.

Eppure, persino in situazioni così favorevoli, la quantità di soldati Americani e alleati morti durante gli anni di occupazione sconvolse l’opinione pubblica americana cambiando forse per sempre la percezione dei conflitti bellici. Le conseguenze, prevedibili, furono enormi proteste popolari con un obbligato ritiro delle truppe dall’Iraq e una forte riduzione del contingente in Afghanistan.
La vecchia strategia di bombardare, invadere e soprattutto occupare i territori conquistati cessava la propria funzione dopo circa 70 anni di guerre.

 

Si cambia. Obiettivo: dominare il mondo.
 

Vista l’implementazione della nuova strategia globale, le necessità mutavano. Avere a disposizione una forza contenuta numericamente, ma attivabile senza preavviso ed in grado di operare in ogni angolo del mondo in poco tempo, diventava fondamentale. Iniziarono a svilupparsi nuove modalità operative e di addestramento, basate sulla rapidità di reazione e la facilità di raggiungimento del teatro di guerra. In questo senso le Forze Speciali USA, le operazioni con i Droni da ricognizione e attacco e il ruolo di NRO (National Reconnaissance office) e NSA (National Security Agency) finivano per rimpiazzare quasi totalmente le precedenti tattiche basate sulle truppe di terra da proteggere.

 

Questo cambiamento organizzativo, basato sulla concessione di un’elevata autonomia strategica e decisionale ai centri di comando regionali, ebbe conseguenze devastanti nell’aumento della complessità della macchina militare americana. Queste trasformazioni furono alla base delle motivazioni che portarono ad una riduzione nelle capacità dei centri di comando di rispondere alle minacce esterne come un’unica potenza militare, uniti sotto la stessa bandiera.

 

In quasi 10 anni gli Stati Uniti sono passati da una forza prettamente di terra, capace di invadere con grandi numeri paesi stranieri grazie ad un cielo non contestato, ad una forza militare organizzata in piccoli compartimenti a cui raramente è stato richiesto di intervenire direttamente in un conflitto. Questo ha determinato una minore ricerca di mezzi e tecnologie per proteggere i soldati sul terreno di battaglia.

 

Il potere aereo invece ha continuato, per svariati anni, a rappresentare l’arma in più negli scenari bellici, specie in Nord Africa e Medio Oriente. Nel 2011 in Libia, ultima dimostrazione di tale superiorità, la potenza della USAF unita a quella dei suoi alleati diede la necessaria copertura alle forze di terra (composta da terroristi che successivamente invaderanno la Siria e la penisola del Sinai) per conquistare e occupare i terreni contesi.

 

Agli occhi di un osservatore attento, spicca una caratteristica comune a tutte le nazioni finite nella morsa degli Stati Uniti negli ultimi anni: elevata incapacità di difendere il proprio spazio aereo. Una volta conquistati i cieli, garantendo protezione per le truppe durante l’invasione, la maggior parte del lavoro risultava terminato.


Un’equazione che non sempre ha avuto successo influenzando il corso dei combattimenti. Ucraina e Siria lo dimostrano pur essendo due situazioni molto diverse fra loro.

 

Una situazione inedita.

 

Per motivi completamente diversi, i due scenari hanno evidenziato le manchevolezze e le debolezze strategiche e strutturali del comando militare unificato. Nel caso della Siria, le capacità anti-aeree delle forze leali a Damasco, tra le prime dieci al mondo, spinsero gli analisti di Washington nel 2013 ad elaborare una strategia basata sulla necessità di distruggere i sistemi SAM con l’uso di missili cruise lanciati numerosi dalla flotta nel mediterraneo. Senza la rimozione dei sistemi missilistici terra-aria, la USAF non è in grado di operare impunemente sopra i cieli Siriani, senza riportare numerose perdite. I sistemi anti-aerei Siriani continuano a possedere elevate capacità di annientare un attacco composto non solo da aerei ma anche da cruise missile, rendendo l’offensiva USA enormemente dispendiosa (ogni Tomahawk costa circa 1mln di dollari), controproducente ed inefficace. Una situazione inedita che spinse Obama a chiedere l’aiuto di Mosca onde evitare un conflitto che avrebbe causato più di un grattacapo al Pentagono.


Nel caso Ucraino, con il cielo incontestato non avendo il Donbass forze aeree da contrapporre a quelle Ucraine, il piano era più che altro incentrato sulla combinazione efficace tra truppe di terra, mezzi pesanti e da ricognizione. L’obiettivo mirava ad ottenere avanzate tattiche e conquistare i territori contesi. Eppure, nonostante gli Advisor inviati da Washington e la tecnologia gentilmente concessa dagli Stati Uniti (NSA e NRO), l’esercito di Kiev non ha fatto che subire sconfitte ad opera di militari non regolari, con armamenti inferiori in termini di qualità e quantità.

 

Ben presto iniziavano a palesarsi una serie di situazioni inedite per gli Stati Uniti. Dal cielo negato in Siria all’incapacità di conquistare terreno in Ucraina dell’est, tutti sintomi rivelatori di un profondo malessere nelle capacità operative dell’esercito Americano e dei suoi alleati in situazioni belliche di non scontate e senza superiorità aerea o di ricognizione.

 

Si torna all’antico.

 

Nella mente dei generali e consiglieri militari americani, questi sviluppi hanno rappresentato un campanello d’allarme senza precedenti. In 70 anni di guerre e conflitti, gli Stati Uniti si sono trovati per la prima volta in situazioni in cui non potevano concedersi il lusso di intervenire direttamente (Ucraina) e senza avere a disposizione una soluzione concreta per invertire la tendenza (Siria). Tutto ciò ha generato preoccupazione, obbligando i vertici politici americani a riconsiderare complessivamente l’approccio al confronto militare e a riprogrammare un nuovo cambiamento strategico a trecentosessanta gradi per far fronte alle nuove sfide.


In alcuni incontri pubblici tenuti da Robert Neller (comandante del corpo dei Marines) e Joseph Dunford (capo di stato maggiore), entrambi hanno evidenziato la sfida più importante per il futuro militare degli Stati Uniti. La trasformazione, dopo appena 15 anni, delle forze militari in unità capaci di contrastare un nemico non solo ben attrezzato (come Siria e Ucraina dell’Est ad esempio) ma addirittura di pari livello (Russia e Cina). Una rivoluzione, o ancora più precisamente, un ritorno al passato.
 

Nel definire queste sfide, Dunford ha parlato di quello che viene definito in gergo militare il ‘4+1’, ovvero le nazioni che per il comando strategico americano rappresentano la maggiore sfida nei prossimi 10 anni: Russia, Cina, Corea del Nord, Iran + Terrorismo. Nel descrivere queste missioni, il capo di stato maggiore ha delineato il futuro scenario da guerra essenzialmente basato su armi balistiche a corto (SRBM), medio (MRBM) e lungo (ICBM) raggio, i sistemi anti-balistici (ABM), Cyber attacchi e capacità di violare/negare lo spazio aereo (A2/AD).


Ciò che sorprenderà il lettore è che per ammissione sia di Neller che di Dunford, gli Stati Uniti hanno delle criticità operative facilmente sfruttabili dagli avversari. Lo sviluppo tecnologico dei paesi avversari (peer competitor) negli ultimi dieci anni ha quasi chiuso il gap militare con gli Stati Uniti in settori vitali per i futuri scenari di guerra:

  • Aeromobili di quinta generazione (J-31 e PAK) con capacità stealth.

  • Missili balistici intercontinentali (R-37) e a corto/medio raggio (Iskander).

  • Vettori con velocità supersonica (imprendibili per gli ABM attuali e futuri).

  • Capacità di produrre danni cibernetici con effetti nel mondo reale.

  • Tecnologia sempre più avanzate di negare elettronicamente (EW) o meccanicamente (S-300, S-400, S-500) lo spazio aereo ad un avversario.

 

Tutte sfide in cui il vantaggio americano, una volta granitico, sta lentamente svanendo. Un altro aspetto preoccupante, di cui entrambi i comandanti sono consapevoli, è la necessità di avere a disposizione una rete Internet/Intranet per operare al pieno della potenza bellica. L’interconnessione tra uomini e mezzi rappresenta per gli Stati Uniti un fattore moltiplicatore delle forze, esattamente come la necessità di proiettare potere sulle coste avversarie, grazie alle forze navali. I mezzi per negare questi vantaggi sono componenti essenziali alla base delle dottrine militari di paesi come Russia e Cina.


I missili antinave di nuova generazione (DF-26, BrahMos II, Qader e P-900) sono un ottimo esempio per comprendere come Pechino e Mosca stiano reagendo al progressivo deterioramento dei frame work internazionale di pace. Negare un raggio di svariate centinaia di chilometri alla US Navy, necessario per manovrare navi e portaerei a ridosso della costa avversarie, rappresenta una novità assoluta per gli strateghi militari americani. In tal senso, i missili antinave sono un formidabile fattore di convenienza economica (costano poco ma possono affondare navi da miliardi di dollari) e altrettanto efficaci nel contrastare la superiorità americana in questo contesto (unico paese al mondo a possedere 10 Carrier Group). Nel completare questa strategia, Russia e Cina lavorano da tempo ai missili BVR (Missili Oltre L’orizzonte) che combinati con aeromobili Stealth (J-20 e PAK) negano agli Stati Uniti la capacità essenziale di prevedere un attacco letale, lanciato a distanza, alle sue portaerei.


L’obiettivo per Pechino, Mosca o Teheran è sempre lo stesso: negare l’avvicinamento alle coste o l’operabilità in acque internazionali a Washington, onde evitare l’uso delle immense portaerei come piattaforma di lancio per operazioni militari.


In tema di sicurezza strategica, la protezione dei cieli è nelle prime posizioni di qualunque pianificatore bellico. I sistemi ABM Cinesi o Russi come S-300, S-400 e S-500 hanno come obiettivo dichiarato di rendere impenetrabili i cieli a ICBM ed aerei Stealth di quarta o quinta generazione. Senza copertura aerea e senza piattaforme navali, le capacità funzionali dei soldati di terra si riduce drasticamente. Se a ciò aggiungiamo i vettori a corto o medio raggio come i missili Iskander, che possono annientare plotoni interi, si comprende facilmente come mai Dunford sia preoccupato di aver già perso il vantaggio tecnologico ed operativo rispetto ad un peer competitor (avversario di pari livello).

 

Certamente l’evoluzione del comparto militare-industriale americano non ha di agevolato il compito degli strateghi al pentagono. Programmi come l’F35 (aereo stealth di quinta generazione) che avrebbero dovuto competere con gli equivalenti Sino-Russi sono rimasti affossati da spese incalcolabili, probabilmente frutto di un sistema di corruttela diffuso, relegando gli Stati Uniti in una situazione di svantaggio nella futura sfida per la supremazia dei cieli.


Persino l’arsenale atomico statunitense (Nuclear Triade) necessiterebbe di un ammodernamento, se confrontato con quello Russo, stimato nell’ordine dei mille miliardi di dollari in 10 anni, una cifra che attualmente il tesoro americano non possiede (se non stampando ulteriore moneta, ma questo è un altro discorso). Recentemente Mosca ha effettuato numerosi test di vettori balistici capaci di raggiungere velocità senza precedenti (Mach 6-7), cambiare direzione dopo il lancio e un raggio operativo incrementato notevolmente (17.000km), il che rende tutti gli attuali e futuri sistemi anti-balistici inefficaci ed inutili.


 

Colmare il divario.


Il pensiero pratico, ma quasi filosofico, di Mosca e Pechino si basa sull’enorme differenza nella capacità di spesa bellica in confronto a Washington.  Ciò li ha obbligati ad ingegnarsi con sistemi poco costosi ma altrettanto efficaci.


 

Un esempio perfetto, già pienamente operativo, riguarda lo sviluppo e l’uso dei missili Kalibr, la risposta Russa ai cruise missile USA. Simili ai vettori americani, si differenziano principalmente grazie alla possibilità di essere lanciati da navi di piccole dimensioni. Per comprendere quanto siano in affanno a Washington, basterebbe analizzare la reazione di Washington al lancio dei primi missili Kalibr nel 2015 dal Mar Nero alla Siria. Il Pentagono si dichiarava sorpreso dalla ‘nuova’ acquisita capacità Russa di lanciare missili del genere, da migliaia di chilometri di distanza, da navi di dimensioni così ridotte (con conseguenti costi ridotti). Sintomi della mancanza persino di elementi basilari come la ricognizione delle capacità degli avversari.

 

Il missile Kalibr ha consentito a Mosca di ottenere un vantaggio tattico, che a detta dei consiglieri militari USA, tende a mutare l’equilibrio strategico in Medio Oriente. E’ bastato pareggiare una delle maggiori caratteristiche degli Stati Uniti: l’attacco con missili da crociera per indurre i top Advisor USA ad entrare nel panico parlando dell’immediata necessità di rispondere adeguatamente a questo gap che velocemente andava chiudendosi. Peraltro, la strategia di dotare navi di piccole dimensioni dai costi contenuti di missili Kalibr, ha permesso di produrre un numero elevato di corvette moltiplicando la potenza complessiva della flotta Russa. Attualmente Mosca possiede diversi gruppi navali, tutte dotate di capacità di questo genere.


Gli Stati Uniti preferiscono optare per una filosofia opposta in termini di progettazione miliare. Favoriscono progetti a lungo termine in cui la speculazione e la capacità di arrotondare i guadagni per i contractor e mediatori, sono immensi: navi stealth (USS Zumwalt), mega portaerei (classe Gerald R. Ford) e l’F-35 sono solo alcuni esempi. Pur non portando alcun avanzamento tecnologico nell’immediato, specie in relazione alle contromosse dei ‘4+1’, risultano essere il perno vitale dell’ammodernamento delle forze armate USA.


Paradossalmente, mentre gli USA non riescono nemmeno a schierare qualche F-35 funzionante, due nazioni come Korea del Nord e Iran hanno già implementato strategie atte a negare l’attuale supremazia americana, sia in termini operativi che di deterrenza. In questo senso, nonostante le sanzioni e il clima internazionale di ostilità, Pyeongyang è riuscita a produrre un sottomarino dotato di SLMB con armamento atomico. Un progresso notevole che pone amplia notevolmente gli orizzonti in merito alla capacità di deterrenza nei confronti degli Stati Uniti e della Corea del Sud. In Iran, la produzione in serie di armamenti sviluppati in casa (Bavar-373) simili al sistema S-300 (altrettanto efficaci), hanno caratteristiche atte a negare in un futuro immediato ogni capacità operativa sui cieli della Repubblica Islamica e dei suoi alleati (Hezbollah e Siria).


Una richiesta impossibile.


Washington chiede ai propri Generali di essere pronti ad un conflitto su larga scala con avversari di pari livello, ma la realtà dietro le quinte è preoccupante e le grida disperate di Dunford e Neller, opportunamente tenute nascoste dai media, ne sono la riprova. Basta una semplice comparazione in termini di traiettoria a lungo termine delle dottrina militari di Cina, Russia e Stati Uniti per comprendere che Washington, pur continuando a possedere un vantaggio numerico in termini di forze e mezzi a disposizione, manca della capacità necessaria per combinare i vasti elementi delle forze armate USA al fine di ottenere una supremazia nei confronti degli avversari diretti.


Probabilmente è anche per questi motivi che il generale Dunford ha recentemente dichiarato che la prossima programmazione strategica delle forze armate Statunitensi non sarà resa pubblica. Evidentemente, la necessità di nascondere queste debolezze endemiche rimane di primaria importanza per non compromettere uno dei principali pilastri delle forze USA: proiettare potenza ed intimidire gli avversari senza dover necessariamente agire preventivamente.


 

 

 

 

 

 

Conclusioni e conflitti odierni


 

E’ grazie ad un’efficace combinazione di tutti i fattori sopracitati che Russia, Iran e i loro alleati hanno raggiunto le necessarie capacità per evitare un intervento diretto degli Stati Uniti in svariati contesti, dalla Siria all’Ucraina.


Nell’analizzare ciò che in Medio Oriente o nell’Est Europa non ha funzionato, gli USA sono accecati dalla complessità del loro sistema militare, concentrandosi più che altro sull’incapacità di organizzare una strategia rapida, vincente e poco dispendiosa in termini di perdite subite. Questo è il principale motivo che ha obbligato Washington ad appoggiarsi ad attori esterni per influenzare gli eventi sul terreno di combattimento (battaglioni di mercenari in Ucraina, Salafiti e Wahabiti in Siria). Tutte scelte che come vediamo alla lunga non pagano, ma anzi consentono alle altre potenze in ascesa di imporre una nuova supremazia bellica nei confronti degli Stati Uniti, senza necessariamente ricorrere ad un confronto diretto.


Le guerre del terzo millennio passano anche e soprattutto da fattori psicologici e di deterrenza, oltre alle imprescindibili capacità di condizionare l’avversario con false informazioni. Prendiamo l’esempio della Siria e dell’intervento Russo. Nessuno al Pentagono o alla CIA è stato in grado di prevedere lo schieramento aereo e navale Russo, compiuto in meno di 48h. Nessuno, tantomeno Dunford, aveva quindi pronto un piano ben definito per reagire a questa mossa. Oltre alle inefficienze tecniche ed organizzative, vi è una chiara inadeguatezza nel decifrare le mosse degli avversari, come in una partita scacchi. La capacità di sorprendere l’avversario aveva già dato i propri risultati nel conflitto in Ucraina con la vicenda legata alla Crimea, passata sotto territorio Russo senza un colpo sparato e con piena volontà popolare.


Dunford e Neller hanno compreso che il futuro il campo di battaglia in cui dovranno operare presenterà loro condizioni ostili in termini di superiorità aerea, connettività Internet e gestione simultanea delle risorse su un ampio spettro geografico. E’ una sfida che per ammissione degli stessi generali è tutt’altro che scontata come esito. La politica di Washington, dominata dalle lobby e dalla corruttela, pretende un’inversione di tendenza dall’apparato bellico senza precedenti. Lo richiede per assolvere alle future sfide di un mondo multipolare con diverse nazioni (alleate fra loro) capaci di confrontare alla pari i mezzi bellici degli Stati Uniti.


La verità, difficile da accettare per i policy-makers USA, è che l’attuale impostazione del sistema Militare-Industriale (MIC) lascia pochi margini di manovra visti i progetti mastodontici avviati. L’F-35 difficilmente potrà essere messo da parte per una completa revisione progettuale, come invece necessiterebbe per poter realmente assolvere ai compiti che si richiedono a jet di quinta generazione. Stesso discorso andrebbe fatto in merito allo sviluppo delle costosissime navi USS Enterprise e USS Zumwalt i cui investimenti ammontano addirittura a diverse centinaia di miliardi di dollari


La spesa militare è uno degli ingranaggi che tiene in vita il sistema oligarchico statunitense, ma le conseguenze iniziano a pesare sulle future capacità belliche degli Stati Uniti. Gli avversari diretti recuperano terreno con mezzi più avanzati, più economici, più efficaci e meno difficili da adoperare o replicare. I vertici militari al Pentagono iniziano a dare segnali importanti di insofferenza, invocando un cambiamento che difficilmente avverrà, dato che richiederebbe un cambio completo ai vertici del paese invertendo una tendenza che lentamente sta prosciugando le casse di Washington, riducendo enormemente il vantaggio competitivo di Washington.


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