Ma Afd è davvero un partito di estrema destra?

Ma Afd è davvero un partito di estrema destra?

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Il simplicissimus*


Martin Schultz è arrabbiato, non vuole più la grande coalizione, perché dopo 17 anni, di fronte al peggior risultato della Spd dalla fine della prima guerra mondiale, si è accorto che fare la politica delle destre ordoliberiste fingendo di essere un po’ a sinistra alla lunga non paga.  E infatti ha lasciato mezzo milione di voti all’Afd senza contare la miriade dei suoi astenuti. Ma anche la Merkel è incazzata nera perché in un certo senso ha vinto alla lotteria elettorale la propria sconfitta storica inaugurando la divisione del centro destra e rendendo assai arduo la formazione di un governo stabile a meno che i socialdemocratici non vogliano suicidarsi con la capsula di cianuro.
 

Con tutta chiarezza siamo alla fine di un periodo storico, plasticamente rappresentato dall’ascesa dell’ Afd, che l’informazione maistream tedesca definisce generalmente come radicale, ma che quella oltre i confini, meno tenuta a seguire un minimo lacerto di realtà, definisce tout court di estrema destra,  per disorientare e dunque meglio orientare l’elettore medio. Naturalmente si tratta di un’interpretazione neo liberista: l’Afd è nata dai lombi di alcuni economisti dissidenti che consideravano in maniera negativa l’euro e i suoi conseguenti trattati a cui si è aggiunto in secondo tempo il tema dell’immigrazione vista come fattore destabilizzante e moltiplicatore di precarietà più che in chiave in chiave propriamente razzista, cose del resto non aliena dal resto dello schieramento politico, Linke compresa.


Non voglio fare l’avvocato del diavolo e dio mi scampi dal dire che non ci sono più destra o sinistra, ma  creare i bastoncini dello Shangai usando l’accetta, significa non capire nulla, lasciarsi trascinare dal pilota automatico e demonizzare a piè di lista ciò che non entra nello schema della finanza liberista e dei suoi piani. Il fatto è che l’Afd come tante altre formazioni vecchie e nuove uscite man mano sulla ribalta dopo la crisi ha caratteri ambivalenti, presenta stigmate di conservazione e al tempo stesso di  contestazione della situazione di disuguaglianza creatasi  e di protesta contro il tradimento dei tradizionali partiti di sinistra.





E’ abbastanza naturale che sia così perché questi movimenti e raggruppamenti nascono per colmare il sempre più devastante vuoto politico delle forze tradizionali di fatto subalterne al potere economico, più che per affermare un’originale visione sociale o sostenere interessi di classe o di ceto. Ma nel caso di schieramenti tradizionali che si trascinano dietro ombre dense e inquietudini di ogni tipo, il potere può agire facilmente ottendo in qualche caso, come quello francese, anche un extra premio, mentre con quelli nuovi, senza demeriti storici, lo status quo deve affidarsi alle esecrazioni automatiche e sommarie che spesso vedono un alleanza tra il grande capitale e la sinistra residuale.
 

Ora chiediamoci cos’è successo rispetto al 2013, anno delle precedenti elezioni: quasi nulla se non l’aumento straordinario nei minijob con i quali non si campa e le avvisaglie geopolitiche che il Paese si sta mettendo in un cul de sac con la Merkel dittatrice in Europa, ma genuflessa a Washington. Ed è precisamente il voto dei precarizzati che si erano astenuti o avevano fatto un  ultimo tentativo con la socialdemocrazia, che si consolida il successo dell’ Afd: non è un partito di giovani (11% di voti dai 18 ai 29 anni), nè di anziani (10% dai 60 in su) ,ma di gente dai 30 ai 59 anni che ha perso le speranze o se le è viste strappare ed è anche il partito i cui consensi vengono al 20 per cento dagli operai. Sta di fatto che secondo i dati dei flussi elettorali quasi un milione di voti sono passati dallla’Spd e dalla Linke ad Afd.
 

Tutto questo si condensa in un fenomeno che in un certo senso mette anche in crisi l’unificazione tedesca: se infatti si va a vedere il voto nei Land appartenenti alla ex Ddr, e nei quartieri della vecchia Berlino est, la situazione è così differente dal  quadro generale che sembra di stare in uno stato completamente diverso: la Cdu di Merkel rimane in testa, ma con il 27, 6 per cento, l’Afd è seconda con il 22,9 (in Sassonia è addirittura il primo partito), terza con il 17,4 per cento è il la Linke, ossia il partito più a sinistra dello schieramento politico, la Spd ottiene un misero 14,3% , mentre i verdi non raggiungono il 5 per cento e sono destinati a fare comunella con i rinati liberali. Insomma esiste un orientamento politico tutt’affatto diverso da quello dell’Ovest oltre ad esserci la maggior percentuale di precarietà. Proprio questa polarità, aggiunta  al declino della Cdu nella sua terra promessa, ovvero la Baviera, alla sconfitta diretta della cancelliera nella sua circoscrizione e alla inedita frammentazione del quadro politico  con sette partiti in Parlamento al posti dei tre o al massimo quattro cambia molte cose e naturalmente l’impatto del voto si riverbera su tutta l’Europa che nelle sue forme fondamentali e ahimè più contestate, come ad esempio l’euro è di fatto una creazione dell’egemonia tedesca o comunque ha nella Germania la sua fondamentale impalcatura.
 

Cosa accadrà ora che questa stessa impalcatura è diventata meno solida? Certo gli interessi principali del Paese rimangono sempre quelli di  continuare sulla strada del disequilibrio dell’export dovuto alla sottovalutazione dell’euro rispetto a un ipotetico marco, ma il fatto è che tutto questo, mentre uccide i Paesi della periferia Sud, non va a vantaggio di tutti, ma solo della classe dirigente, mentre gli anziani si vedono scippare la pensione e i giovani un futuro che pareva assicurato. Insomma l’Afd è solo una scossa di avvertimento.



*FONTE: Il Simplicissimus2

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