Security. Cos'è diventato il concetto di sicurezza nella nostra società?

Security. Cos'è diventato il concetto di sicurezza nella nostra società?

Stiamo assistendo ai primi passi di militarizzazione della società attraverso la parola magica “sicurezza” trasformata in “security”. Sul modello del "right to security" israeliano

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Metropolitana di Milano. Pomeriggio di un giorno qualunque. E’ lì al cenro del vagone. Postura tra Rambo e uomo che non deve chiedere mai. Pistola al fianco e giubbetto con scritta imperativa, ostentata con orgoglio: SECURITY .

Security o sicurezza? Non è una questione di poco conto, credetemi. Se fate una passeggiata su wikipedia immagini e cercate “sicurezza”, nelle prime figure vi apparirà qualche casco giallo di protezione per operai, o una famigliola con i genitori che proteggono i bambini, o un nonno che fa attraversare la strada agli scolari. Se poi fate una passeggiata sulle immagini di “security “vi appariranno lucchetti e sagome di maschi armati con la nobile scritta inglese sulla schiena. Lo capite vero che non è la stessa cosa?



Il termine italiano origina dal latino e significa non aver preoccupazione ma in realtà, in questi ultimi tempi, sta assumendo un significato particolare e anche Wikipedia presto lo mostrerà. Sicurezza è una di quelle
parole che possiamo definire storicizzate e non è più neutra e bonaria ma richiama a quel “security” impersonato dal maschio armato anche quando viene pronunciata in italiano. Ma come mai? Cos’è successo?

È successo che è diventata la parola del secolo e questo le ha tolto la sua innocenza. Basta rifletterci un poco per averlo chiaro, ma lo vedremo tra poco. Ora proviamo a pensare ad altre parole innocenti come ad esempio “spazio” o meglio ancora “spazio necessario a vivere”. Non ha nulla di strano o di inquietante a meno che non si provi a ricordare qualcosa tratto dai libri di storia contemporanea o non lo si legga nella lingua tedesca. Ecco che “lebensraum”, ovvero “spazio vitale” assume un suono che inquieta, anzi, che fa paura. Dietro quel suono si nasconde la teoria genocidaria di Hitler. Quindi ci si ferma inorriditi e si capisce che le parole dirigono o seguono o, comunque, s’intrecciano con le scelte politiche di un dato periodo e in un dato contesto.

La parola “sicurezza”, quindi, ancora per poco verrà rappresentata da un casco giallo o da una famigliola protettiva. Presto non ci sarà più neanche bisogno di sostituirla con la più minacciosa “security” perché i due termini si identificheranno, solo che, in omaggio alla lingua dell’impero, sarà più elegante, e forse anche più efficace, pronunciarla all’anglosassone.



Ma chi ci ha regalato tutto questo? Si potrebbe dire l’America, intendendo con ciò gli Stati Uniti, e l’uso della lingua porterebbe immediatamente in questa direzione.

E invece no. Non è dall’America che ci viene questo regalo ma da un paese molto più vicino a noi. Un paese che della “security” ha fatto una narrazione falsa ma protettiva più di uno scudo portentoso e magico e dietro quello scudo è riuscito e riesce a compiere ogni crimine garantendosi l’impunità. Così, pian piano, visto che i nostri opinion maker si fanno ossequiosi ripetitori del messaggio israeliano con sottofondo di “right to security”, fino a confondere vittima e carnefice, oppressore e oppresso, occupante e occupato, è diventato moderno e indispensabile anche per noi garantirci comunque e ovunque la sicurezza. Non quella del nonno che fa attraversare la strada agli scolari o quella che salva gli operai dal cancro per amianto o i braccianti dallo sfruttamento, no!

Quella è roba da prima repubblica! La security è altro! E’ l’uomo – e siccome siamo moderni e femministi forse anche la donna – che gira armato per garantire agli utenti dei trasporti ATM la dovuta sicurezza.

L’arroganza con cui questi ometti indossano il loro giubbotto, e l’ostentazione di virilità conquistata attraverso la scritta bianca e la pistola al fianco, a qualcuno farebbe venire in mente un altro termine,
 sempre in inglese per essere moderni e sufficientemente sudditi dell’impero, e quel termine sarebbe “danger” e, insieme, verrebbe alla mente una piccola riflessione che prende il nome di Cucchi, Aldrovandi, o
scuola Diaz, o tanto altro che abbiamo visto fare da altre divise. Ma erano divise militari e ben separate dai civili. In tutti i sensi! Invece, i Rambo che indossano il giubbotto ATM (cioè azienda trasporti Milano) con la scritta security e la pistola al fianco destro non sono militari. Il loro essere civili armati significa che Israele, anche stavolta, ha fatto scuola. Là, in Israele, si vedono civili di tutte le età, bambini compresi, addestrati all’uso delle armi e liberi di portare un mitra in spalla. Ma Israele è un paese democratico, lo si può emulare! Però noi abbiamo leggi che non lo consentono. E allora assistiamo ai primi passi di
militarizzazione della società attraverso la parola magica “sicurezza” trasformata in “security”.

Speriamo che come è diventato un tabu il termine lebensraum lo diventi anche security perché l’unica vera sicurezza la si ha quando si è in sintonia con la comunità e non quando ci si arma per proteggersi dal
proprio vicino o, come nel caso dei Rambo ATM, quando si gira armati tra i viaggiatori della metro comunicando senza bisogno di parole che “il giustiziere è in mezzo a voi”.

Se non mi sbaglio era Brecht a dire “beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”, bene, io penso che oggi si possa dire “beato quel popolo che non si lascia ingannare dalla polisemia delle parole”.


Patrizia Cecconi
Milano 15 dicembre 2017

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