Tra complottismo e insulti, la russofobia del Fatto Quotidiano supera ogni limite
E’ difficile stabilire il confine tra giornalismo parziale e insulto gratuito, anche se, nel mondo dell’informazione ad alta velocità, qualcuno è riuscito a dimostrare che a volte è possibile: Il Fatto Quotidiano. Ieri qui abbiamo parlato di come il giornale diretto da Travaglio, con un articolo firmato da Leonardo Coen, avesse alluso piuttosto esplicitamente a un presunto coinvolgimento di Vladimir Putin nell’attentato che l’altro giorno ha sconvolto la sua San Pietroburgo, sostenendo che l’evento farebbe parte di una strategia della tensione sul modello di quella che nel 1999 portò l’attuale presidente russo al Cremlino.
Stamattina Il Fatto ha più che confermato quanto abbiamo sostenuto ieri, pubblicando due articoli e una vignetta che accusano nuovamente il leader russo di essere l’artefice dell’attentato terroristico che ha ucciso 14 persone, ferendone oltre 50.
Cominciamo dalla vignetta. In prima campeggia un disegno “satirico” firmato da Mannelli che raffigura Vladimir Putin con un’aurea dietro la testa e con le mani sporche di sangue, intento a salutare qualcuno. “San PutinBurgo” è la scritta che appare sotto il disegno e vale molto più di mille spiegazioni.
Ma il meglio, Travaglio &co. lo danno all’interno, pubblicando a pagina 10 un articolo di Gian Paolo Caselli dell’Università di Modena e Reggio Emilia, intitolato “La minaccia del terrorismo islamico durerà più a lungo del potere dello zar”. All’interno Caselli prova ad analizzare la situazione russa, spiegando che Putin altro non è che «l’ultima espressione del neocapitalismo russo e di un potere totalitario che da Ivan Il Terribile, passando per Pietro Il Grande, gli zar ottocenteschi, Stalin e Breznev, è sempre uguale a se stesso e giunge fino a oggi». Per l’autore del pezzo, il tempo a Mosca è come se si fosse fermato. E l’attentato di lunedì a San Pietroburgo «può essere interpretato con questo schema: l’attuale potere politico sentendosi fragile dopo le manifestazioni che si sono svolte il 26 marzo in diverse città russe, sfrutta (guida?) il terrorismo di matrice musulmana per esercitare un controllo sempre più forte sulla società russa». Insomma, ne più ne meno rispetto a quanto scritto ieri da Coen.
E siccome non c’è due senza tre, sempre a pagina 10, la cronaca di Giuseppe Agliastro sulle indagini da parte delle autorità russe, ha scaricato metà delle colpe sui servizi russi con grande abilità linguistica. Nel titolo «I servizi russi sapevano tutto» e dunque appaiono al lettore come colpevoli, quasi conniventi rispetto ai fatti accaduti. Nel testo dell’articolo, invece, sembrano incapaci, perché «secondo una versione dei fatti – scrive Agliastro, tuttavia senza citare da quale fonte – i servizi di sicurezza avevano avuto avvisaglie che i jihadisti volessero colpire a San Pietroburgo, ma erano riusciti a pedinare una figura di secondo piano».
La Redazione