Viola Carofalo (Potere al Popolo) a Pagina12: «Il Venezuela nostra principale fonte d'ispirazione»

Viola Carofalo (Potere al Popolo) a Pagina12: «Il Venezuela nostra principale fonte d'ispirazione»

La giovane ricercatrice universitaria di Napoli è stata nominata "capo politico" del nuovo partito della sinistra italiana, Potere al Popolo, che cercherà di emulare i suoi pari di Spagna e Francia alle elezioni generali del 4 marzo

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di Federico Larsen - Pagina12
 

Il suo movimento è stato accolto in Europa come la rinascita della sinistra radicale italiana. Potere al Popolo nasce dall'iniziativa di movimenti sociali legati al lavoro di quartiere, a centri culturali e all'attivismo politico di base. Quelli che, dagli anni '90, si definiscono movimenti antagonisti, eredi diretti della eterogenea e prolifica sinistra extraparlamentare italiana degli anni '70 e '80, a quella base si è aggiunto il Partito della Rifondazione Comunista - minoranza del Partito Comunista Italiano che non si è sciolta nel progressismo moderato negli anni '90 - e i sindacati affiliati alla Confederazione dei Sindacati di Base (Cobas) e all'Unione Sindacale di Base (USB). Oltre alle organizzazioni cattoliche e sociali che difendono i diritti dei migranti e dei lavoratori precari.

 

Tra i suoi primi aderenti in Italia ci sono sindacalisti come Giorgio Cremaschi, l'ex partigiana e storica femminista Lidia Menapace, l'attivista Heidi Giuliani, madre di Carlo, il giovane ucciso durante la repressione delle manifestazioni contro il vertice del G8 a Genova nel 2001, e finanche l'allenatore Renzo Ulivieri. Jean-Luc Melenchon, il leader de ‘La France Insoumise’, li ha già riconosciuti come esponenti della nuova sinistra europea in Italia. Nella sua cerimonia di lancio a novembre, c'erano rappresentanti di Unidos Podemos, il Gruppo Confederale della Sinistra Unitaria Europea e delegazioni provenienti da tutto il continente.

 

Ma per ora l'obiettivo della nuova formazione italiana è molto più umile di quello dei loro omologhi in Francia e in Spagna. Per prima cosa dovranno superare il 3 per cento nelle elezioni di marzo per poter entrare in parlamento. Sebbene alcuni analisti italiani lo diano già per fatto, la dispersione del voto a sinistra e la confluenza del voto di protesta sul Movimento 5 Stelle (M5S), primo partito oggi in Italia, potranno giocare un ruolo decisivo.

 

Lotta contro la precarietà lavorativa, riforma del sistema pensionistico, difesa delle risorse naturali, ritiro dalla NATO e patti militari, disarmo, accoglienza umanitaria per i migranti sono alcuni dei punti del programma presentato per strappare voti al M5S e Liberi e Uguali, una recente scissione dal Partito Democratico che si aggira intorno al 7%.

 

Secondo la nuova legge elettorale, il "Rosatellum", qualsiasi lista che si proponga alle elezioni deve presentare anche un simbolo e un leader politico. All'età di 37 anni, metà dei quali trascorsi tra studio e militanza sociale, Viola Carofalo, ricercatrice precaria presso l'Università L'Orientale di Napoli, ha assunto quel ruolo. Sebbene si affretti a spiegare che non è una carica in cui è molto a suo agio. «In questo momento sto pulendo la mia dispensa dopo un'invasione di termiti», ha detto all’inizio dell'intervista telefonica dalla sua casa di Napoli. «Sarebbe un'immagine inappropriata per quello che viene definito un capo politico».

 

Ha anche a che fare con lo smarcarsi dai politici di professione, giusto? Capisco che oggi essere un politico è mal visto in Italia.

 

Siamo persone che fanno politica. Ma non siamo politici. Siamo attivisti di base, di comitati e associazioni. Facciamo politica ogni giorno nei territori, ma non siamo "persone del parlamento", non abbiamo privilegi. Abbiamo deciso di imporre di regola ai candidati la donazione del salario, in caso di elezione, ad attività sociali e politiche e di tenere l'equivalente del salario di un lavoratore.

 

All'inizio degli anni 2000, la sinistra italiana radicale sembrava aver intrapreso un percorso di crescita. Il Partito della Rifondazione Comunista riusciva a raggiungere il 6 o il 7% dei voti, gli scioperi generali della Confederazione Generale italiana del Lavoro (CGIL) contro la riforma dello statuto dei lavoratori e le massicce mobilitazioni contro la guerra in Iraq del 2003, formava un movimento eterogeneo e apparentemente forte. Ma dopo più di dieci anni quelle stesse persone sembrano aver smobilitato, o passate tra le fila del Movimento Cinque Stelle. Cosa è successo alla sinistra italiana in questi anni? Come si inserisce la proposta di Potere al Popolo in questo contesto? 

 

Mi sono formata politicamente in quei movimenti d’inizio secolo, li ricordo bene. Penso che ci fossero due elementi, nel bel mezzo di una fortissima crisi economica in Italia, che portarono alla disintegrazione di quella sinistra e alla perdita di consenso e riconoscimento della sinistra italiana. Un elemento interno e uno esterno. L'elemento esterno ha a che fare con quanto accaduto a Genova nel 2001 durante le manifestazioni contro il G8. Ci fu una feroce repressione e vivemmo il tentativo di separare i buoni dai cattivi a sinistra. I buoni erano cittadini innocenti e quelli cattivi erano i Black Block anti-globalizzazione, anche costruiti un po’ ad hoc dal punto di vista giornalistico. In questo modo è stato possibile rompere in due la cosiddetta società civile, che faceva politica e si riconosceva nell’ampia accezione della sinistra. E poi ci fu una fortissima responsabilità interna della sinistra stessa. Da un lato, le organizzazioni partitiche vollero perseguire modelli che non potevano sostenere e nei quali i suoi militanti ed elettori non si riconoscevano, chiudendo accordi con le altre forze politiche e avendo la vita parlamentare come unica strada o unico obiettivo. Non fu per tutti così, ma penso che in generale si è vista questa deriva e chiusura verso le basi. C’è stata poca cura per le realtà di base nei quartieri e nei circoli. La sinistra antagonista, extraparlamentare, ha compiuto un errore simile, quello di cadere nell’autoreferenzialità, chiudendosi nel suo territorio, nel suo centro sociale, nel suo comitato, senza preoccuparsi di costruire una rete più ampia, senza capire l’impatto che questo ritiro avrebbe avuto sul futuro politico. Alcuni movimenti locali sono ancora forti e riconosciuti, come il movimento contro il Treno ad Alta Velocità (No TAV). Ma è un'eccezione. In tutto il paese ci sono state esperienze che si sono atomizzate, chiuse su se stesse, molte volte finanche con linguaggi incomprensibili per il resto della società. Poi è arrivata l’onda antipolitica rappresentata dal Movimento Cinque Stelle, che sosteneva come tutti i politici fossero ”mascalzoni" e ladri, che tutti i politici sono uguali. Bisogna dire che hanno ottenuto un grande successo dicendo queste cose ma che evidentemente si basavano su alcune verità. Questa ondata antipolitica è riuscita a canalizzare il malcontento molto più che in altri paesi europei, come in Spagna, o in Francia, dove invece ha trovato una via d’uscita molto più propositiva e proficua dal punto di vista della crescita della sinistra. Podemos e Melenchon sono un esempio in tal senso. In Italia questo non è accaduto. Probabilmente anche per questi vizi che abbiamo rilevato, e un po' per il ruolo giocato dal Movimento Cinque Stelle. Vogliamo tornare ad attrarre nuovamente molte di quelle persone che hanno votato o votano per il M5S, anche sentendosi di sinistra, perché non si sono riconosciute in nessun’altra organizzazione di partito e poi hanno scelto un voto di protesta.

 

L’obiettivo è anche essere espressione di quella sinistra che tra Podemos, Melenchon e Corbyn sta iniziando a vedere la luce nel resto d’Europa?

 

Sì, chiaramente. Sono tutte esperienze molto diverse, ognuna con la sua storia e specificità. Ma ci sono due fattori che le uniscono. Il primo è che si tratta di una sinistra che finalmente inizia a vincere. Non è poco. E per vincere non intendo solo la sfera elettorale, ma essenzialmente la presenza nella società, con discorsi, manifestazioni di massa. Cioè, una sinistra che inizia ad avere una presenza concreta e non è più solo un fantasma come lo è stata negli ultimi dieci anni. E in secondo luogo, c'è una grande trasformazione nella comunicazione di ciò che sono i valori fondamentali e i pilastri di questa sinistra. È una sinistra che non si attorciglia più in discorsi che non parlano a nessuno, ma che inizia a parlare di cose e in modi che, invece, interessano tutti. Corbyn, ad esempio, ha chiaramente una storia e un percorso molto diverso rispetto a Podemos, perché ha fatto una scelta strutturalmente diversa, quella di rimanere all'interno di un partito tradizionale; ma ha dimostrato che rinnovando il linguaggio, il modo di fare propaganda, recuperando una serie di tradizioni abbandonate, come andare di porta in porta o allestire banchetti sui marciapiedi, fa rivivere concretamente la sinistra europea nelle strade. E non è una presenza fatta solo di discorsi, dai grandi palazzi del potere. In questo assomiglia a Podemos, sebbene la storia dei due movimenti sia totalmente diversa.

 

Tuttavia questa speranza in Europa è stata sperimentata con Syriza in Grecia ed è stata totalmente schiacciata. Ci sono anche stati molti rappresentanti di questa nuova sinistra europea che hanno accusato il governo greco di tradimento. 

 

Ovviamente è impossibile garantire il non ripetersi di situazioni come quella in Grecia. Al di là delle responsabilità politiche del primo ministro Tsipras o  di Syriza, che hanno fatto scelte che potrebbero essere state diverse, non mi sento di poter dare un giudizio così duro. Inoltre, il termine traditore lo applicherei ad altri. Per comprendere la Grecia, bisogna pensare che in Europa ci sono forze che finiscono per imporsi. Più un'alternativa è spaventosa, più diventano minacciose. Ovviamente per quelle forze di schiacciare Tsipras poteva essere qualcosa di utile, importante e fondamentale. Quello che capisco è che questo fallimento è qualcosa da cui dobbiamo imparare. Invece di condannare semplicemente, dovremmo discutere per vedere dove ha sbagliato, se ha sbagliato, e cosa avrebbe potuto essere fatto diversamente senza perdere il consenso e l'adesione tra le masse, che è stato, per me, il grosso problema in riferimento a Syriza . Quello che so è che noi, in Italia, non potremmo stare peggio. So che non è molto ortodosso in termini di comunicazione nel bel mezzo della campagna elettorale, ma qui siamo all'anno zero della sinistra. Esistiamo in realtà e movimenti microscopici e locali che non parlano tra loro, non incidiamo. Il Parlamento non sarà una soluzione, ma per noi può essere uno strumento per migliorare la nostra situazione e avvicinarci a ciò che sta accadendo nel resto d'Europa. Se sarà raggiunto, forse arriveranno dall'Unione Europea per sanzionare e reprimere, come hanno fatto con Syriza, ma questo è qualcosa da prendere in considerazione per chiunque abbia un pensiero che sia, non dico rivoluzionario, ma anche solo di cambiamento.

 

Capisco che non vedete un amico nell’Unione Europea…

 

Niente affatto E non è un pregiudizio. Le politiche dell'UE negli ultimi anni sono state molto antipopolari. Hanno portato gli Stati a un taglio radicale della spesa sociale per conformarsi alle direttive imposte sul deficit. L'UE non è un male in sé. Penso a un'Europa solidale, dei popoli. Sono convinta che sia assurdo chiuderci in un'idea nazionalista, secondo la quale se non ci piace l'Unione Europea dobbiamo tornare ai vecchi Stati nazionali, è anacronistica. Ma l'UE com'è oggi è antipopolare, liberticida. Ha peggiorato le condizioni di vita e di lavoro degli italiani e non solo. Il divario tra ricchi e poveri in Italia aumenta ogni anno. Ci sono alcuni che stanno diventando sempre più ricchi e mentre molti si impoveriscono. E questa è responsabilità dei governi nazionali chiaramente, ma anche delle direttive che giungono a livello europeo. In questo dibattito abbiamo idee molto chiare, il problema non è il concetto di un'Europa unita, ma quanto realizzato negli ultimi anni.

 

Molti leader della sinistra europea hanno preso a modello la costruzione dei governi latinoamericani popolari e di sinistra negli ultimi anni. Che opinione avete riguardo a queste esperienze?

 

L'America Latina è per noi l'ispirazione con la lettera maiuscola. A parte il fatto che possono essere considerate esperienze più o meno compiute o raggiunte, o che possono avere momenti di stagnazione. Soprattutto l'esperienza venezuelana, può essere considerata la nostra principale fonte d'ispirazione. Prima di tutto nel rapporto con il potere, cioè l'idea che non c'è aut-aut, una scelta definitiva tra una costruzione dal basso o dall'alto, ma che si può, all'intersezione tra queste due forme di costruzione politica, creare quello che noi definiamo potere popolare. Cioè, rappresentazione e potere territoriale. In questo senso, credo che il Venezuela, al di là del risultato di quell'esperienza, sia un esempio dal punto di vista della sua costruzione. Qui a Napoli abbiamo organizzato molte iniziative per pubblicizzare il processo venezuelano, non solo perché ciò che arriva in Italia è profondamente distorto da quanto accade lì, ma perché è il modello di ispirazione per eccellenza. Ovviamente non possiamo riprodurre lo stesso in Italia. Ogni realtà sociale ha le sue specificità, ma il modello organizzativo che ci ispira è quello.

 

Il movimento antagonista italiano è sempre molto allergico alle istituzioni. E fu sempre molto critico nei confronti dei partiti di sinistra in parlamento. Il panorama elettorale in Italia sembrerebbe condurre a un parlamento senza maggioranza, come in Spagna poco più di un anno fa, costringendo tutte le forze politiche a dialogare per tessere alleanze in modo da costituire un esecutivo. Secondo la storia dei vostri movimenti e il programma presentato, non sembra esserci spazio per le alleanze.

 

No. Non ci sono possibilità. Non siamo compatibili Lo abbiamo già detto chiaramente. Ed è qualcosa che va contro la tendenza generale da quando la riforma elettorale e il dibattito elettorale puntano a obbligarci a fare proposte miranti a creare alleanze dopo il 4 marzo. È trasversale in tutte i partiti, a destra e a sinistra.

 

Tuttavia, sin dalla nascita di Potere al Popolo avete avuto parole di elogio verso alcuni rappresentanti della "politica del palazzo", come il sindaco di Napoli Luigi de Magistris.

 

De Magistris ha una storia che non è certo la nostra. Infatti, quando correva per il suo primo mandato non lo guardavamo con favore. Non si è mai dichiarato comunista, tanto meno dalla parte dei movimenti sociali. Al contrario, era un ex giudice che si presentava con un altro ex giudice, con una forte impronta legalitaria. Noi eravamo molto scettici. Oggi non lo sosteniamo apertamente, non siamo entrati nel movimento politico che ha creato, non abbiamo alcun rapporto di continuità con quello che ha fatto, ma riconosciamo il fatto che aver avuto nella città di Napoli un possibile interlocutore nelle istituzioni ha fatto sì che una serie di cose potessero essere fatte. Ci sono molti esempi, soprattutto per quanto riguarda la lotta contro la povertà, e l'accoglienza dei migranti, questioni che ci interpellano direttamente. C'erano preoccupazioni nate dal basso, dalle basi, che sono stati recepite ed elaborate. Non tutte e non del tutto. Quando si è trattato di opporsi non ci siamo mai tirati indietro. In questo senso, per noi Napoli è stata una sorta di laboratorio. La dimostrazione che, in alcuni casi, condurre un'attività politica di base, ed avere qualcuno nelle istituzione che quantomeno non è ostile, può dare qualche risultato. Non è la soluzione, ma aiuta.

 

Qual è stata la reazione degli altri movimenti sociali riguardo alla vostra scommessa?

 

Quando abbiamo avanzato la proposta di una lista senza troppe aspettative a novembre, ci aspettavamo che sarebbero cadute delle critiche e che gran parte dei movimenti di sinistra avrebbero levato gli scudi. Proprio perché veniamo da quel mondo sappiamo come la questione della rappresentazione istituzionale è percepita in generale. Invece, non è accaduto. Chiaramente ci sono stati quelli che si sono uniti sin dall'inizio per partecipare e aiutare, mentre altri hanno preferito rimanere ai margini. Ci sono stati quei movimenti che hanno espresso la loro visione dell'astensionismo, come una definizione strategica, non solo tattica, eppure hanno riconosciuto pubblicamente il valore della nostra proposta e la nostra credibilità politica. Vale a dire, all'interno del movimento non sono stati levati gli scudi che avremmo immaginato. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che in diversi luoghi è stata avvertita la consapevolezza che la situazione è davvero così grave e quindi necessario utilizzare tutti gli strumenti possibili. Inoltre siamo riusciti ad avere una certa legittimità che ci impedisce di essere accusati di opportunismo, che è la critica classica che si muove verso questo tipo di iniziativa. Non costruiamo la nostra proposta su persone e nomi e nessuno oggi dice che facciamo ciò che facciamo per ottenere un seggio per interessi personali.

 

Ora, questo può finire per dare risultati che devono essere valutati in un’ottica diversa da quella elettorale. Già il fatto di aver realizzato 150 assemblee in 150 città per discutere del programma e dei candidati; aver avuto esposizione nazionale e internazionale; aver costruito contatti e relazioni con esperienze e movimenti di base, è di per sé un buon passo avanti rispetto a come eravamo pochi mesi fa. Se riusciamo anche a superare il 3 percento ancora meglio. Avremo persone in parlamento che, senza compromessi, cercheranno anche di portare avanti una serie di rivendicazioni che abitualmente vengono oscurate. Soprattutto quanto riguarda il lavoro.

 

(Traduzione dallo spagnolo per l’AntiDiplomatico di Fabrizio Verde)

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