Verità per Regeni?

Verità per Regeni?

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di Giovanni Barbieri*

Una caratteristica tipica della società dell’informazione contemporanea è l’uniformazione, quasi militaresca, del tipo e natura delle informazioni che vengono passate dalla maggior parte dei media. Assistiamo ad ondate periodiche di ultra-copertura mediatica di determinati fatti di notevole rilevanza che, puntualmente, vengono alimentate finché un nuovo evento non surclassa il precedente per enormità e risonanza.

L’ultimo ragionamento, malizioso a dire il vero, con cui avevo concluso la riflessione su Regeni faceva riferimento alla possibilità che il ricercatore fosse stato eliminato per conseguire un duplice obiettivo: screditare un governo scomodo come quello di Al-Sisi e forzare l’Italia a prendere le distanze dallo stesso Egitto, per sciogliere i nodi politici relativi ad un intervento occidentale e, presumibilmente, Nato, in Libia.

Con le ultime rivelazioni occorse, è possibile inoltre cancellare uno dei dubbi che avanzavo circa la presunta natura “riservata” dell’operato di Regeni in Egitto. Nel precedente articolo, ipotizzavo che Regeni, con il suo lavoro, fosse rimasto incastrato nelle maglie dei servizi d’intelligence occidentali, suo malgrado.

Tuttavia, in seguito alla pubblicazione di un articolo della Stampa del 16 Febbraio è possibile affermare che Regeni era lui stesso una maglia di quella rete. La rete si chiama Oxford Analitica e Regeni vi aveva trascorso un anno da ricercatore dal Settembre 2013 al Settembre 2014, lavorando alla redazione periodica del Daily Brief, uno dei prodotti di prestigio dell’azienda, mediamente costoso e riservato a clienti internazionali che necessitano di una visione accurata e d’insieme del quadro politico globale e regionale.

A ciò va aggiunto il prestigioso contributo in qualità di membri dell’organizzazione di nomi del calibro di John Negroponte e Colin McColl, rispettivamente ex-direttore della United States Intelligence Community ed ex-capo del MI6. In questo quadro, il nome di David Young, fondatore di Oxan e membro dello staff di Richard Nixon all’epoca di “Watergate”, nella cui gestione giocò un ruolo di primo piano, passa quasi inosservato (sebbene non sia esattamente un imberbe).

Orbene, è lecito ipotizzare che Regeni, in virtù di questi trascorsi lavorativi, non si limitasse a raccogliere dati per la sua tesi di dottorato e a condividerli con la sua tutor dottorale, ma li condividesse anche con altre persone, data la sua conclamata frequentazione dell’American University al Cairo.

La stessa collaborazione con la sua tutor dottorale è quantomeno ambigua, nella misura in cui i contributi di Regeni sarebbero andati ad aggiornare in una nuova edizione il libro già edito dalla stessa tutor, Maha Abdelrahaman, dal titolo “Egypt’s long revolution” e che, nella sostanza, celebra ed esalta la linea politica dei Fratelli Musulmani dalla rivolta di Piazza Taharir in poi.

La libertà di opinione, va detto, è cosa sacra ed inviolabile. Qui infatti non si contesta la simpatia del ricercatore per i Fratelli Musulmani. Si mette seriamente in dubbio l’ipotesi dell’innocenza di Regeni: di fatto, Regeni svolgeva un’attività di intelligence sotto copertura, seppur in maniera non ufficiale, sempre che in ambito di intelligence si possa parlare di ufficialità di un incarico. Ed un brillante ricercatore come lui, con quella dote di nomi ingombranti alle spalle, non può non avere realizzato a beneficio di chi lavorasse ed al servizio di quale prospettiva.

E non va tralasciato neanche il dettaglio, se di dettaglio si può parlare, che la Fratellanza Musulmana costituisce la radice ideologica, in Egitto, di tutto il movimento integralista che in Siria sotto le insegne di Daesh ed in Libia ed Iraq sotto quelle dell’ISIS conducono le loro sporche operazioni finalizzate, semplicemente, a destabilizzare il quadro politico dell’intera regione.

Che Regeni sia stato ucciso il 25 Gennaio o il 3 Febbraio non è un dettaglio rilevante. Il dettaglio sottaciuto da tutti è che il corpo viene ritrovato il 3 Febbraio, stranamente la stessa data in cui era fissato l’inizio della missione economica di due giorni (3 e 4 Febbraio) al Cairo del Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, che infatti rientra in Italia di gran lena.

Avevo anche accennato alla rilevanza geostrategica della scoperta, da parte dell’Eni, di un giacimento gasifero al largo delle coste egiziane, nel Mediterraneo. Questo giacimento, lo Zohor, sarebbe in grado di arrivare ad una produzione potenziale nel 2019 di 500.000 barili di petrolio/equivalenti al giorno, garantendo tanto ad Eni quanto all’Egitto sostanziosi vantaggi in termini economici per i primi e politici per i secondi.

Governi legati da mutui interessi di natura commerciale, specie quando questi interessi investono il settore energetico, sono molto difficili da separare se non per mezzo di azioni più o meno violente. Non dimentichiamo come gli interessi italiani in questo ambito siano stati sepolti nella sabbia del deserto libico in seguito all’intervento occidentale “a sostegno” dei “rivoluzionari” libici, circostanza in cui l’Italia è stata letteralmente a guardare, non potendo fare altro. L’omicidio di Regeni doveva servire come strumento per allontanare i due governi.

In una fase come quella attuale in cui l’Alleanza Atlantica appare così risoluta ad intervenire nello scenario libico, risulterebbe assai indesiderabile che un membro strategico dell’Alleanza sia legato diplomaticamente ad un governo Egiziano che non solo sostiene attivamente il governo di Tobruk che si vorrebbe rimuovere, ma che in questa direzione ha ricevuto l’endorsement del governo italiano, chiaramente intenzionato a rafforzare la posizione politica dell’Egitto nell’ottica di renderlo un punto di riferimento regionale nella stabilizzazione politica dell’area.

Fatte queste considerazioni, il 21 Febbraio avviene ciò che per qualcuno non sarebbe dovuto accadere: l’Eni ottiene la concessione per lo sfruttamento del giacimento Zohr e firma il relativo contratto.

Il valzer delle minaccie

Poco meno di due settimane più tardi, il 3 Marzo, due ostaggi italiani vengono uccisi a Sabrata, in circostanze che ancora non sono state chiarite ma in una zona in cui è alto il coinvolgimento militare Francese e Statunitense. Successivamente, il 4 Marzo, con un tempismo cronometrico, l’ambasciatore Statunitense a Roma, John Phillips, dichiara che l’Italia è pronta ad inviare 5000 soldati per ripristinare l’ordine in Libia, notizia seccamente smentita dal Primo Ministro Renzi la Domenica successiva, 6 Marzo.

La modalità d’azione dell’ambasciatore, più che ad una dichiarazione, fa pensare ad un avvertimento.

E si tratta di un avvertimento che deve far riflettere dal momento che l’Italia, strano da credere, sta bloccando abilmente qualsiasi possibilità che la Nato possa intervenire in Libia, dal momento che un intervento del genere, per non ricadere nell’alveo del crimine di aggressione, dovrebbe essere richiesto dall’unico governo libico che gode di un qualche tipo di riconoscimento internazionale, ovvero il governo di Tobruk. Il governo di Tobruk, a sua volta, finché riceverà assistenza economica e militare dall’Egitto, sotto i buoni auspici dell’Italia e sotto lo sguardo compiaciuto di Lavrov e Putin, non avrà alcun motivo reale per consentire il bombardamento e lo sbarco sul suo territorio di truppe d’invasione occidentali. E l’Egitto, finché riceverà un sostegno politico concreto da parte italiana, difficilmente ripenserà il suo atteggiamento nei confronti della Cirenaica.

A tutto ciò si aggiunga la vicenda tragicomica che si trascinava già da qualche giorno, a proposito del ritrovamento di documenti ed effetti personali di Regeni presso l’abitazione di un non meglio precisato malvivente nel Governatorato di Qaliubiya, appena a Nord del Cairo. Il malvivente era stato neutralizzato poche ore prima dalla polizia egiziana con tutta la sua banda dopo uno scontro a fuoco. Come da dichiarazione del Ministero dell’Interno, si tratterebbe di una banda di malviventi specializzata nel travestirsi da agenti di polizia allo scopo di mettere a segno furti e frodi ai danni degli stranieri presenti sul territorio egiziano. Non c’è da stupirsi che questa dichiarazione non sia stata neanche presa con le pinze dalle parti interessate in Italia, bensì rigettata integralmente. Tanta sicurezza dei propri argomenti è certamente invidiabile, ma noi siamo gente a cui piace farsi delle domande (sempre) e darsi delle risposte, quando possibile, senza forzature.
Alcune di queste domande sono: per quale motivo bollare subito la versione del governo egiziano come depistaggio? Non è forse interessante chiedersi del perché gli effetti di Regeni fossero custoditi in un’abitazione localizzata nel governatorato di Qaliubiya, uno dei più caldi ed egemonizzati politicamente dalla Fratellanza Musulmana? Perché questi documenti, cellulari e carte di credito, a distanza di due mesi, siano ancora integri e reperibili?

Il 10 Marzo 2016 il Ministro della solidarietà sociale Ghada Wali ha dato l’annuncio dello smantellamento di 28 ONG legate alla Fratellanza Musulmana esattamente nel governatorato di Qaliubiya ( qui la versione in arabo e in inglese), le ultime 28 di una lunga lista di più di 400 chiuse dal 2015 nel quadro di un’operazione governativa di contrasto al terrorismo. Il governo egiziano, infatti, considera la Fratellanza Musulmana un’organizzazione terroristica, almeno dal punto di vista del diritto interno. Viste le modalità con cui agisce per rovesciare il governo Al-Sisi, democraticamente eletto, non ci sentiamo di contestare questa linea. Al contrario, invece, sposiamo largamente la versione del depistaggio, ma non la versione che l’informazione mainstream propaga. L’immagine che ci viene proposta è quella di un governo egiziano corrotto, inaffidabile e, sostanzialmente, stupido.

Sulla corruzione tutto è possibile: del resto, la stragrande maggioranza dei governi è corrotta e quello egiziano ha soltanto da imparare da noi. Sull’inaffidabilità e la stupidità ci sarebbero da scrivere molte pagine di riflessioni sulle eredità del colonialismo e degli strascichi che producono nella maniera in cui il ricco e furbo occidente si relaziona (o crede di potersi relazionare) con i governi dei paesi arabi. L’unica valutazione che qui si può fare, sulla base degli elementi ad oggi disponibili è che, se il governo egiziano fosse realmente coinvolto nella morte di Regeni, quei documenti, quei cellulari e quella carta di credito sarebbero finiti in un inceneritore un minuto prima che Regeni esalasse l’ultimo respiro: quale governo conserverebbe mai le prove di un crimine? Di solito sono i suoi nemici a conservarle, dopo avere commesso essi stessi il crimine.

Ecco, forse la strada da percorrere per capire cosa sia realmente successo a Regeni sarebbe capire chi fossero i membri della banda che sono stati uccisi, quali legami avessero con la Fratellanza Musulmana e come quei documenti siano finiti nella casa di uno di loro, peraltro in una borsa con lo scudetto italiano che riecheggia di molto l’immagine di “Italiani: pizza, mafia e mandolino” di cui godiamo nella cultura anglosassone. Una cosa però la sappiamo, e questo è certo: Regeni frequentava ambienti legati alla Fratellanza Musulmana che, per abbattere il governo Al-Sisi, non esita a sparare sulla polizia, sulle forze di sicurezza e a piazzare bombe una volta in un consolato (quello Italiano) e un’altra in un resort turistico (per citare due episodi salienti degli ultimi 12 mesi).


L’inizio della fine

A volere essere maliziosi, ma neanche tanto, verrebbe la tentazione di chiedersi cosa, alla fine, abbia ottenuto l’Italia da tutta questa pantomima messa in piedi da Amnesty International, con la gentile collaborazione di un Senatore della Repubblica (Luigi Manconi) che ha portato al Senato i genitori di Regeni, versando ulteriore benzina sul fuoco con una conferenza stampa degna, nella metodica della narrazione, della peggiore puntata di Pomeriggio 5.

Ad oggi, siamo passati dalla condizione di primo partner economico, politico e strategico dell’Egitto al richiamo dell’ambasciatore al Cairo ed alla minaccia dell’applicazione di misure di ritorsione, giustificate dalla scarsa collaborazione dimostrata dalle autorità egiziane nella risoluzione del caso.

Certo, è difficile rimanere impassibili di fronte ad un atteggiamento del genere, quando la sensazione che si ha è quella che qualsiasi dichiarazione che si discosti da una semplice ammissione di colpevolezza da parte del governo egiziano viene considerata come ostruzionismo, depistaggio o, ancora peggio, ostilità. In altre parole, è difficile accusare un governo di scarsa collaborazione se, dal primo istante, l’atteggiamento è stato di aperta ostilità nei confronti di quel governo. Sono i fondamenti della diplomazia (ed anche dell’intelligenza).

Ed è ancora più indicativo il fatto che il richiamo dell’Ambasciatore, misura estrema in tempo di pace, sia avvenuto all’indomani di una crisi politica che ha seriamente minacciato la tenuta del governo italiano.

Una crisi politica certamente non casuale, che ha coinvolto in uno scandalo petrolifero il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi e l’Ammiraglio della Marina Militare Giuseppe a ridosso di un referendum sulla questione delle attività estrattive entro le dodici miglia dalla costa. Tralasciando il calcolo probabilistico relativo alla possibilità che scoppi uno scandalo del genere a ridosso di un referendum che nient’altro è se non uno scontro interno al PD tra la maggioranza e la minoranza del Partito, è davvero eclatante la velocità con cui il Governo ha cambiato linea rispetto all’affare Regeni: della serie, se non fai ciò che è gradito (ovvero staccarti dall’Egitto), ti costringiamo a farlo. E’ più o meno la tattica che al Sud si utilizza per convincere i commercianti a stipulare “vantaggiose polizze” contro l’incendio. Anche con l’aiutino di Repubblica, che diffonde un magnifico articolo di “ultima istanza” in cui una fonte anonima dei servizi egiziani (quale dei tre?) descrive minuziosamente l’andamento delle torture e conferma la complicità attiva del governo Egiziano (ma Pignatone, che indaga sul caso, avrà avuto in mano questo materiale prima di Repubblica?).

Ovviamente, dal giorno successivo al richiamo dell’Ambasciatore, i clamori sullo scandalo di governo si sono ridimensionati all’istante. E non sarà l’unica questione destinata a subire un ridimensionamento.

Si ridimensionerà il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, dal momento che deve essere niente più che una porta-aerei su terraferma. Si ridimensionerà il ruolo dell’Eni in Egitto, che stava diventando un attore troppo ingombrante nel settore gasifero, soprattutto per British Petroleum che in questo modo avrà l’occasione di portare avanti ed ampliare i suoi piani di prospezione ed estrazione nella regione del Delta del Nilo e del Mediterraneo, piani minacciati dalla prospettiva di un rapporto privilegiato tra il governo italiano e quello egiziano. Si ridimensionerà anche la voglia dell’Italia di fare sentire la propria voce in merito a ciò che succede davanti alle proprie coste. Del resto, sono finiti i tempi in cui un Presidente del Consiglio poteva permettersi di schierare i propri avieri, armi in pugno, contro i Marines per far rispettare il principio della sovranità territoriale (Craxi e Sigonella).

Ovviamente qualcuno potrà ancora avere dei dubbi su questi scenari da fanta-politica. In definitiva, queste non sono altro che ipotesi derivate da una rilettura dei fatti. Potrà essere una rilettura di parte, possibile. Potrà essere una rilettura sbagliata: plausibile. Ma gli effetti di tutta questa storia sono sotto gli occhi di tutti.

Uno di questi è che mentre noi usciamo lentamente dall’Egitto, portando alto il vessillo del rispetto dei diritti umani ed allontanandoci dalla tutela di una serie di interessi strategici che facevano parte di una politica estera mediamente sensata (merce rara ai nostri giorni), qualcun altro ci entrerà, sostituendosi a noi e decidendo per noi quali debbano essere i nostri interessi strategici.

Ma poco male: l’avremo fatto per ottenere la verità. Scopo nobilissimo. Purtroppo, inutile.
*Dottorando di Relazioni Internazionali all'Università Cattolica di Milano

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