"L'Italia è il paese che avrebbe il maggiore interesse ad uscire dall'euro"

"L'Italia è il paese che avrebbe il maggiore interesse ad uscire dall'euro"

La seconda parte dell'Intervista ad A. Bagnai, autore di "Il tramonto dell'euro"

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di Alessandro Bianchi

Alberto Bagnai. Professore di politica economica all'Università Gabriele d'Annunzio di Pescara. Curatore del blog Goofynomics ed autore di "Il tramonto dell'euro"

Consigliamo la lettura della prima parte dell'Intervista: "E' la prima volta nella storia dell'umanità che abbiamo un sistema monetario così assurdo".


- Nel Manifesto di solidarietà europea di cui è firmatario e sostenitore si auspica una dissoluzione controllata dell'eurozona, con l'uscita in primis dei paesi più forti del Nord e con quelli del sud che potrebbero restare temporaneamente nell'euro e poi poter scegliere se mantenerlo, creare altre valute con paesi affini o tornare tutti alle monete nazionali. Qual è secondo Lei la scelta valutaria migliore che l'Italia, in seguito alla dissoluzione controllata, dovrebbe prendere?
 
Va innanzitutto fatta una premessa sul Manifesto di solidarietà europeo, che esprime l'idea secondo la quale ci sarebbe evidentemente molto meno panico in termini generali se ad uscire fosse un paese forte. Il principio è molto semplice: esattamente come l'Italia non si è particolarmente preoccupata di entrare nell'euro perché andava verso una valuta forte, il che per motivi psicologici non suscitava timore nonostante tutti gli economisti di maggior rilievo internazionale dimostrassero razionalmente che era una scelta sbagliata, così adesso, smantellare la zona euro con il ritorno al marco della Germania sarebbe la soluzione più semplice. La proposta, del resto, non è totalmente originale, è stata ripresa da Stefan Kawalec, ma è stata fatta da Stiglitz già nel 2010, quando aveva detto esplicitamente che o la Germania usciva o i paesi del sud sarebbero stati distrutti dall'austerità. Berlino ovviamente non è uscita e quello che è successo al sud è noto. 
All'interno del Manifesto stiamo ora pensando ad una seconda fase, anche in vista delle prossime scadenze, con una riflessione su alcuni scenari concreti possibili da sottoporre alla politica. E la conclusione a cui stiamo arrivando è che questa storia deve finire, in qualsiasi modo finisca è sempre meglio che tenerla in piedi. Per cui, fermo restando il fatto che l'uscita dall'alto creerebbe meno panico, ci stiamo muovendo verso l’orientamento di considerare tutte le possibilità. Data la struttura dell'Italia, dal mio punto di vista, il nostro paese farebbe meglio a tirarsi fuori da questa situazione il prima possibile, al limite anche unilateralmente, perché ha ancora dei margini di recupero ed ha una struttura di vantaggi comparati che le consentirebbero di riprendersi abbastanza rapidamente. Rispetto alle ipotetiche orrende ritorsioni da parte dei partner europei io sarei molto cauto: uno dei campi d'eccellenza dell'Italia è la meccanica di precisione in cui siamo subfornitori di molte aziende del nord. Per questo motivo un dazio della Germania contro di noi avvantaggerebbe forse alcune sue aziende, ma ne danneggerebbe altre che utilizzano le nostre eccellenze per fare le loro macchine. Il mondo è un pochino più complicato di come lo vedono i terroristi dell'informazione e, del resto, non c'è nulla di male a regolare un mercato come quello valutario, mentre c'è molto di male nel voler calmierare un prezzo. Come non funziona per il prezzo del pane, non funziona neanche il voler calmierare il prezzo della moneta. E questo i liberisti devono ancora spiegarmi perché non sono disponibili ad ammetterlo.
 
 
- E' possibile quantificare oggi i benefici che l'Italia avrebbe uscendo dall'euro?
 
Stiamo cercando tutti adesso di smettere di ripetere le stesse cose, perché chi le vuole capire le ha già capite e chi non le vuole capire verrà salvato suo malgrado dal disastro. Dico questo perché l'euro, essendo insostenibile, per sua definizione è destinato a finire. Ci stiamo mettendo a studiare quantitativamente i possibili scenari, ma evidentemente abbiamo una colossale fonte di incertezza: il comportamento dei politici. Gli esiti che si possono presentare sono tanti, a seconda dell'atteggiamento più o meno cooperativo che i partner decideranno di adottare. Se da un lato è chiaro che la guerra di dazi o una guerra economica è totalmente irrazionale e non credo che rientri nelle soluzioni possibili, d'altra parte, è pur vero che ad oggi non si sa esattamente quale sarà lo scenario di uscita. Ed un'ipotesi in cui è la Germania a staccarsi comporta delle conseguenze diverse da una nostra uscita. 
Per l'Italia, per quanto ne sappia, non esistono studi dettagliati che quantifichino tutte le possibili variabili e scenari. Il più accurato credo, in tal senso, resta quello di Roger Bootle che si basa su un'ipotesi di abbandono unilaterale di uno stato e fornisce una serie di grandezze anche per l'Italia; poi c'è quello di Woo e Vamvakidis sempre su un'ipotesi di abbandono unilaterale e nell'ottica della teoria dei giochi; infine, più recentemente anche Granville ha studiato i possibili vantaggi non complessivi ma rispetto ad alcune variabili. Considerando sette dimensioni economiche – tra cui il recupero in termini di crescita, tassi d'interesse, miglioramenti dei conti con l'estero ed altri – nello studio di Woo e Vamvakidis, l'Italia era il paese che aveva il maggiore vantaggio ad uscire. E questo perché, come scrivo anche sul libro ed è nei dati, l'Italia è il paese con i fondamentali tutto sommato migliori, se non fosse per l'ingente peso del debito pubblico, che però trarrebbe giovamento dalla riappropriazione della sovranità monetaria. 
Questo perché la sovranità monetaria, intesa come libertà della Banca centrale di rifinanziare nella valuta del proprio paese (una ipotetica nuova lira) l’economia del proprio paese (secondo i tradizionali canali di creazione della base monetaria, in particolare il finanziamento del Tesoro e del sistema creditizio), risparmierebbe all’Italia la necessità di attirare euro dall’estero, pagando elevati tassi di interesse. Ciò renderebbe il rifinanziamento del debito pubblico molto più agevole. La domanda che spesso viene fatta è chi si comprerebbe a quel punto il debito? E la risposta è che il debito di un paese che mantiene la propria sovranità monetaria, come ad esempio il Regno Unito, se lo comprano tutti perché sanno che quel paese non può fallire; mentre un paese che resta dentro la moneta unica, dove le politiche d'austerità, che sono la logica conseguenza dell'euro, distruggono il reddito imponibile e quindi la raccolta fiscale, è destinato al fallimento. E' molto più rischiosa l'Italia dentro l'euro che l'Italia fuori dall'euro.

 
- Le grandi battaglie per la democrazia hanno visto storicamente i popoli impegnati a combattere l'arbitrarietà del sovrano sul controllo di budget e tasse. L'Ue è riuscita nell'impresa di imporre alle popolazioni continentali esattamente il contrario ed il Mes, Fiscal Compact, Two Packs sono solo alcune delle prove più evidenti. A parte l'euro, non pensa che i governi dovrebbero impegnarsi a riprendersi quote importanti di sovranità delegate all'Unione europea invece di pensare all'allargamento all'Ucraina o alla Turchia?
 
La storia recente dell'integrazione economica europea, come l'ha descritta con una formula molto efficace Alessandro Guerani, è esattamente una controrivoluzione francese. Mentre la rivoluzione francese ha trasportato il principio no taxation without rapresentation anche nell'Europa continentale ed ha favorito la creazione di una classe media, l'euro come strumento criminale della terza globalizzazione mira a sottrarre ai rappresentati il potere di controllare la politica fiscale e mira soprattutto alla distruzione della classe media, della borghesia, che nell'Europa è stato un focolaio di pensiero critico, nonché uno strumento di civiltà e di progresso. E lo fa perché la ritiene economicamente inutile, dato che il grande capitale pensa di poter sopravvivere oggi attraverso la classe media dei paesi emergenti, vendendo a loro beni che noi abbiamo già e quindi non compriamo più. 
Mi spiace, come molti fanno, essere identificato come uno che ha la “fissa” dell'euro, che certo è solo un aspetto del problema. Ma è un aspetto molto importante perché è il simbolo più significativo di questa politica suicida e dei suoi fallimenti. Una volta caduto il suo simbolo, verrebbero fatalmente meno a cadere tutti gli altri: è chiaro che il Mes a noi non ha portato alcun beneficio ma è servito solo alla Germania a farsi dare da noi i soldi che aveva prestato alle banche spagnole. Il giorno dopo l'uscita dall'euro potremo fare l'operazione che io scherzamene definisco stampare sulla stampante di Angela Merkel”, quella stampante sulla quale i tedeschi hanno stampato tutti i trattati europei, alimentata a rotoloni Regina. Non dimentichiamoci mai che la Germania ha sempre violato i trattati in tutti i modi possibili, a partire dal Patto di Stabilità e di crescita, violato per finanziare con spesa pubblica i costi sociali delle riforme Hartz di precarizzazione del mercato del lavoro. 
E' chiaro che tutto l'apparato creato a valle per la difesa dell'euro, una volta dissolto l'euro, naturaliter non dovrebbe essere più preso in considerazione. Soffermiamoci su questo punto: l'apparato che è stato costruito a valle a difesa dell'euro. Perché negli altri accordi monetari, ad esempio Bretton Woods, a monte si erano previsti strumenti di rifinanziamento, come il Fmi, o meccanismi di aggiustamento degli squilibri. Con l'euro invece stiamo intervenendo a valle, stiamo chiudendo la stalla a buoi scappati, dopo aver umiliato e distrutto interi paesi come la Grecia, anche se molti economisti avevano avvisato di intervenire a monte. Ed è per questo che Luigi Zingales molto opportunamente ha definito l'euro “un progetto criminale”, perché un'intenzionalità c'era. E non  l'ha detto certo qualche brigatista rosso, ma un economista ultraliberista che insegna a Chicago.

 
- Professore nel suo libro conclude come l'euro, oltre ad essere economicamente insostenibile, è anche anti-democratico e nel dimostrarlo ricalca tutte le crisi di finanza privata intercorse da Messico 1982 a Argentina 2001 all'interno di quello che definisce “romanzo centro-periferia” dal noto ciclo di Frenkel. Da un'impostazione diversa, alle stesse conclusioni e attraverso il medesimo parallelo arriva anche Naomi Klein nel suo "Shock economy". E' possibile allargare la teoria del capitalismo dei disastri all'attuale crisi della zona euro e, più nello specifico, è lo strumento migliore per comprendere il comportamento della troika nei paesi sotto “salvataggio”?
 
Per chi è interessato a questo aspetto sarebbe molto utile leggersi il libro di Pangiotis Grigoriou sulla crisi greca, andarsi a vedere il suo blog Greek crisis, oppure, il suo intervento a Pescara del 26 ottobre scorso, nel sito di a/simmetrie. Innanzitutto ci sono poche congetture da fare: che lo scopo di questa costruzione fosse quella di costringere i popoli europei a procedere su un percorso politico voluto dalle élite, spingendocelo con l'arma della crisi economica, ce l'hanno detto, come ricordo nel libro, gli stessi artefici del progetto: lo ha dichiarato esplicitamente Prodi in un'intervista notissima al Financial Times, Jacques Attali, Tommaso Padoa Schioppa, Mario Monti, secondo cui addirittura era necessario togliere una serie di decisioni al processo elettorale. Quindi, ci hanno tranquillamente detto in faccia che stavano prendendo una decisione irrazionale che avrebbe prodotto una crisi, perché col pungolo della crisi noi avremo fatto la cosa giusta. Piccolo problema, quale fosse la cosa giusta l'avevano deciso loro ed era un ipotetico più Europa, che è a-storico, a-economico, a-politico ed in ultima analisi è un processo di sottomissione di un intero continente ad un'oligarchia tecnocratica priva di qualsiasi legittimità. Non c'è da far congetture, c'è la confessione degli autori: confessio regina probationum. Anche per questo Zingales parla di un progetto criminale. Criminale, come un criminale reo confesso.
La gestione della crisi, e questo ce l'ha spiegato molto bene Panagiotis a Pescara, è assolutamente in linea con i dettami della shock economy. Veniamo tutti i giorni frastornati dalle decisioni prese in una logica emergenziale totalmente fasulla: qui in Italia le discussioni sono sullo 0,1% del rapporto deficit/Pil “perché altrimenti perdiamo il bonus”! Ma siamo pazzi? Vi ricordate il “Fate presto” o “Basta giochi” del Sole 24 ore, o di giornali consimili, asserviti alle logiche di potere (e per questo, peraltro, regolarmente flagellati dai mercati, che alla fine puniscono chi caccia enormi balle)? Dimenticando poi sempre il quadro complessivo della situazione: perché noi dobbiamo stare attenti allo 0,1% quando la Spagna viaggia al 7% di deficit? Sono strategie di comunicazione, secondo me, deliberate, per togliere ai cittadini il tempo necessario, la possibilità di una riflessione, di comprendere quello che sta accadendo. 
E questo molti lettori del mio blog lo hanno detto con confessioni veramente molto belle, di grande qualità umana e letteraria. Il modo migliore per capire che l'euro non funziona è vedere la pochezza umana, antropologica e culturale di chi lo difende. Purtroppo è un dato che si impone con sempre maggiore evidenza: dai giornalisti che non sanno cosa sia l'inflazione, ai personaggi meschini il cui unico orizzonte culturale è quello di scagliarsi contro uno stato che magari gli paga lo stipendio. Abbiamo di fronte una corte dei miracoli eurista, che è la prova migliore del fatto che nell'euro c'è qualcosa che non funziona. Sono persone che anche se riflettessero non ci riuscirebbero, i poveri euristi. Dall'altra parte, abbiamo persone che avrebbero capacità umane, etiche ed intellettuali per riflettere, ma la gestione della crisi, questa perenne “emergenzialità” fasulla, le priva dell’esercizio di queste facoltà. Ma non a lungo. Ci vuole poco per rimettere le cose in prospettiva. E quando lo si fa, e qui risiede il successo più grande dell'opera di divulgazione che ho fatto, chi è in condizione di farlo, cioè chi non ha degli interessi meschini e parziali da difendere, coglie al volo come stanno le cose.

 
- Un sistema valutario peggiore del Gold standard, politiche fiscali e monetarie che hanno gettato il continente nella deflazione e nella disoccupazione di massa. Stiamo rivivendo l'esatta ripetizione degli anni '30. Quanto è preoccupato dalla nuova ascesa dei fascismi in Europa?
 
Il discorso è complesso. Allo stato attuale abbiamo già un sistema fascista che è l'euro. L'euro è un regime fascista per i motivi che ho esposto sul Manifesto tre anni fa: è fascista perché è classista, in quanto scarica tutto il peso degli aggiustamenti sulle classi subalterne, quindi non sul capitale. Mi dispiace che il 70% dei compagni di Rifondazione comunista non l'abbiano capito, ma sono contento perché sono, ahimè meritatamente, il 70% di zero, quindi quello che pensano, purtroppo o per fortuna, conta altrettanto.
Ed è fascista poi perché è anche paternalista: chi ha guidato il percorso sapeva esattamente dove andare ed utilizzando la “supercazzola” del sogno europeo, ha imposto l'euro come lo strumento che doveva guidare il continente dove avevano deciso le elite. Questo per me è fascismo.
Con questa premessa necessaria, si può ragionare sull'ascesa dei partiti di destra che si richiamano a quello che è stato il fascismo storico. Certo che è preoccupante, ma io sono l'unico - insieme forse ad altri tre - tra i 60 milioni di italiani che ha la coscienza a posto. Tre anni fa sul Manifesto ho scritto un articolo per dire chiaramente: cari compagni, l'euro non è di sinistra, un sistema monetario così assurdo che scarica sempre e solo sui più deboli il peso dell'aggiustamento non è di sinistra. E quindi cara Rossana Rossanda gli operai non sono scombussolati, stanno semplicemente cominciando a capire che stanno prendendo una fregatura. E se la sinistra non fa autocritica, non si prende le sue responsabilità e non offre un'alternativa si rivolgeranno alla destra. Ed è quello che sta accadendo. Questo non perché ho la sfera di vetro o d'acciaio come Letta: sono normodotato sia in termini di sfere che in termini di lettura dei fatti economici. E' palesemente assurdo che le forze di sinistra, che magari si richiamano alle forze del marxismo o al materialismo storico, non siano più in grado di leggere gli inevitabili sbocchi di simili dinamiche economiche. Finiranno stritolate dalla propria demenza o dal loro coinvolgimento in interessi inconfessabili: poco cambia, a sinistra, cioè dalla parte di chi desidera un mondo dove i lavoratori siano tutelati e la distribuzione del reddito meno sperequata, nessuno li rimpiangerà.
Ed ora che vogliamo fare? Le risposte sono variegate. La sinistra ultraliberista che in Italia (PD), come in Francia (Partito socialista), Spagna o Grecia (Pasok), è molto più a destra e molto più liberista dei partiti di destra “presentabili”, sta continuando sulla strada assurda di identificare l'euro con l'Europa. Ed a breve sarà costretta a buttare il bambino (Europa) con l'acqua sporca (euro), nel quale lei stessa lo sta affogando.
Ci sono poi i partiti della sinistra cosiddetta critica che a me sinceramente fanno un po' pena, perché continuano a brancolare nel buio. E qui possiamo pensare a Syriza in Grecia, che perlomeno è un partito che esiste nei numeri, al contrario di Rifondazione comunista. In un incontro a cui ho partecipato, il suo segretario mi ha spiegato come non si potesse uscire dall'euro perché sarebbe stato contro i trattati, ma che i trattati dovevano essere infranti perché le regole fiscali sono assurde. Se il livello di elaborazione politica è questa, si capisce solo una cosa: esiste una sinistra pseudo-critica che a livello locale ha bisogno di fare patti di desistenza con la sinistra ultra-liberista per spartirsi municipalizzate e altre piccoli posizioni di potere. Di conseguenza questa sinistra e i suoi aedi, gli economisti “critici”, fanno finta di mandare un messaggio rivoluzionario, ma il loro obiettivo è quello di portare alla sinistra fascista, alla sinistra eurista, qualche voto in più. In cambio mantengono un po' di potere, ma intanto la gente muore ed inizia a capire una cosa: oggi la lotta di classe non è più quella dell’operaio contro il padrone, ma quella del piccolo contro il grande. E molti intellettuali di sinistra, a cui cerco di dar voce nel mio blog perché a casa loro non ce l'hanno, cominciano a capire che il piccolo imprenditore, con tutte le colpe ed ipocrisie che può aver avuto in passato, non è necessariamente un tuo nemico, e che se tu sostieni l'euro stai comunque facendo il gioco delle grandi banche internazionali. E tu da comunista da che parte vuoi stare? 
Il presupposto internazionalismo poi è una dimensione totalmente allucinata, un'impostura: il capitale nasce internazionale, mentre nessuno operaio lo morirà mai. Esistono tanti proletariati nazionali, ognuno deve cominciare a combattere a casa sua, difeso dalla sua costituzione, le proprie battaglie. Finché esisterà una contabilità nazionale esisterà un interesse nazionale. Quando ci sarà un'unica bilancia del mondo nei riguardi di Marte, allora forse potremo parlare di un proletariato internazionale. Fino a quando esisterà la contabilità italiana, e in presenza di cambio fisso per rimettere i conti esteri a posto potremo solo tagliare i nostri redditi, questa logica suicida colpirà le fasce più povere della popolazione. Se non lo capisci e non lotti per una vera alternativa sei di destra, anche se ti chiami partito della Tumulazione comunista.

 
- Cosa si aspetta dalle elezioni europee del prossimo maggio?
 
Dalle elezioni europee mi aspetto quello che si aspettano un po' tutti, vale a dire che ci sarà una forte avanzata dei movimenti realmente critici nei riguardi dell'euro, indipendentemente dal proprio colore. Mi spiace che siano spesso le persone sbagliate a dire la cosa giusta. Ripeto: ho fatto il possibile per impedirlo, senza capire che gli interessi che a sinistra erano coalizzati per difendere questo sistema erano troppo forti e troppo saldamente costituiti. In Italia potremo avere delle sorprese e comunque mi aspetto che Grillo receda, perché ha fatto una politica cerchiobottista molto opportunista, come ho più volte scritto, e meritatamente recederà, perché ha perso da tempo l’occasione per dire chiaramente da che parte vuole stare, e il teatrino della “democrazia liquida” ormai inganna solo quella parte del suo elettorato gianniniana, montiana, i piccoli dottor Livore anti-Stato che lo hanno votato fondamentalmente avendo in mente un’agenda ultraliberista, quella stessa agenda che Casaleggio ha più volte esposto (riforme alla tedesca, repressione salariale “perché i consumi inquinano”, ecc.), e alla quale l’euro è perfettamente funzionale. La Lega, i Fratelli d’Italia, e anche altri partiti, come l’Idv, sostanzialmente hanno già deciso da che parte stare, anche se non tutti si sono ancora dichiarati, mentre nel “Movimento” sono ancora immobili, cercando di decidere se l'euro è una buona o cattiva idea.
Il vero problema della politica italiana rimane l’accordo Renzi-Berlusconi: è chiaro che quest’ultimo deve aver barattato una specie di salvacondotto in cambio della rinuncia ad assumere seriamente le posizioni critiche che spesso ha tatticamente mostrato di voler rappresentare. È un problema, ma anche una soluzione, perché alla fine la logica dei mercati ci toglierà di torno in una volta sola due politici che fondamentalmente hanno pensato sempre e solo ai fatti propri, infischiandosene del paese. Meglio che si leghino stretti, il che, fra l’altro, ci permette di prendere amabilmente in giro quegli elettori del PD, che fino a ieri vedevano nel solo Berlusconi la causa di ogni male, e che ora, per disciplina di partito, sono costretti a votare uno che come primo atto politico di un qualche rilievo... ha stretto un accordo col Nemico!
Se non fosse patetico sarebbe molto divertente.
A livello europeo ci sarà una forte avanzata di movimenti critici, e si potrebbero forse cominciare a creare i presupposti per fare quello che ho chiesto in un convegno organizzato a Bruxelles da eurodeputati del gruppo conservatore (perché sono stati loro ad invitarmi, ma lo avrei detto anche alla sinistra se mi avessero invitato!) In questa fase bisogna ragionare in termini trasversali per sostenere una politica di rottura tramite tutte quelle forze politiche che hanno compreso il pericolo rappresentato dall'euro. Per questo occorrerà che il nuovo Parlamento dell'Ue, in presenza di una Commissione che continua a difendere l'euro, che è quella cosa che sta distruggendo l'Europa, promuova una mozione di sfiducia, se la Commissione non si impegna a smantellare in tempi rapidi l'euro con una procedura concordata. Perché se la Commissione europea che verrà nominata non lo farà, vorrà dire che vuole distruggere l'Europa, e questo non è certo quello che è previsto nel suo mandato. Gli eletti, se hanno a cuore il processo di integrazione europea hanno il dovere di presentare questa mozione di sfiducia. Che venga votata o accettata non è importante. Ma devono presentarla, altrimenti pagheranno costi politici rilevanti.

 
- In conclusione, provando già ad immaginare ad un'Italia post-euro, quali sarebbero i primi provvedimenti che prenderebbe da ministro delle Finanze?
 
Molto dipende dalle modalità attraverso cui avverrà la dissoluzione. Alcuni provvedimenti li indico anche nel mio libro. In primis c'è bisogno di un piano dell'impiego che preveda un forte impegno del pubblico per realizzare a livello locale tutta una serie di piccole opere che sono quelle che, siccome non vengono fatte perché ce lo vieta l’Europa, richiedono ogni anno il loro tributo di vite umane. Non abbiamo bisogno di grossi ponti sugli stretti o grossi buchi tra le montagne, dobbiamo mandare qualcuno a pulire i fossi, in una fase storica in cui il modello di sviluppo ed il rapporto fra territorio ed urbanizzazione hanno creato un degrado ambientale diffuso. E sappiamo che l'Italia è un paese a fortissimo rischio idrogeologico. 
Partirei da questo: dare lavoro alle persone attraverso cose utili, pagandole con soldi pubblici, ricordando che quella che gli “spaghetti-liberisti” chiamano spesa pubblica è sempre reddito privato, e ricordando ai Leghisti, che oggi hanno abbracciato la via della critica all'euro, che il simpatico forestale calabrese che loro odiano, con i soldi pubblici improduttivi si comprava la Fiat che a quei tempi veniva fatta a Torino. Cominciamo a pensare all'economia in termini più sistematici e organici: vedremo che le soluzioni non sono solo alla portata di un ipotetico ministro delle finanze che non vuole fare il ministro, cioè me, ma veramente alla portata di tutti. Il problema è che i cittadini devono essere in grado di esprimersi e la classe politica deve cominciare ad ascoltarli.

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