Ucraina, fratelli disertori: “Costretti alla guerra e ora in fuga dall’esercito di Kiev”

Ucraina, fratelli disertori: “Costretti alla guerra e ora in fuga dall’esercito di Kiev”

"Maidan ha finito per portare al potere i corrotti che prima erano di seconda serie"

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Vauro Senesi racconta su Il Fatto Quotidiano la storia di due fratelli ucraini disertori, Ivan e Vassili ( due nomi di fantasia) che hanno visto la loro vita sconvolta dalla guerra. Come spiega Senesi, non ci sono dati certi sul tasso di diserzioni nell’esercito ma si sa che è molto alto, tanto che il governo Poroshenko sta intensificando l’arruolamento coatto, specialmente nelle zone rurali, dove il basso reddito delle famiglie impedisce loro di pagare funzionari corrotti per evitare ai figli di essere sbattuti al fronte. Così a Ivan e Vassili non è rimasto che fuggire a rischio della vita.  


Da Il Fatto Quotidiano

Perché avete disertato?
 
“Perché – risponde Ivan – non vogliamo partecipare alla guerra. Siamo contadini, i nostri antenati erano contadini, amiamo la vita semplice e rispettiamo tutti quelli che lavorano, che sudano per vivere, non capiamo niente di politica e non vogliamo uccidere o essere uccisi per gli interessi di qualcuno”.
 
Potete raccontarci come siete stati arruolati?
 
“Siamo stati arruolati per delle esercitazioni, così ci avevano detto. Non volevamo andarci, però i poliziotti sono arrivati a casa e hanno detto che dovevamo presentarci nell’ufficio di arruolamento per il corso d’addestramento, altrimenti saremmo stati messi in carcere”.
 
Come avete fatto a fuggire?
 
“Per una settimana – racconta Vassili – ci hanno tenuti in una base vicino a una grande città, eravamo un centinaio di ragazzi. Ci hanno dato uniformi militari usate. La mia giacca aveva un buco di proiettile dove si vedeva ancora un po’ di sangue. Quando ho chiesto al sergente di chi era, mi ha risposto che la giacca era rimasta dai tempi sovietici, dalla guerra in Afghanistan. Però io non ci ho creduto. Sapevo che nel Donbass c’è una guerra. Ci hanno portato al poligono e fatto sparare un caricatore di Kalashnikov a testa. Ho mancato apposta il bersaglio perché non volevo esser preso come tiratore. Mio fratello ha fatto lo stesso e così molti altri. I comandanti erano nervosi e arrabbiati. Abbiamo passato alcuni giorni in caserma, senza poter uscire. Una notte sono arrivati auto e camion militari. Ci hanno detto che ci spedivano vicino a Odessaper altre esercitazioni. Siamo arrivati al mattino presto. Ci hanno distribuito fucili e 4 caricatori a testa, poi i sergenti ci hanno indicato la direzione di marcia. Dopo alcuni minuti di cammino abbiamo sentito il rumore della battaglia. Non eravamo a Odessa, ma all’aeroporto di Donetsk. Ci hanno ordinato di raggiungere un punto esatto per recuperare dei feriti e riempito le borracce con vodka e fatto bere per prendere coraggio. Dopo poche centinaia di metri alcuni dei ragazzi avevano buttato le armi scappando verso il bosco. Quando un ufficiale se ne è accorto ha sparato a chi fuggiva, senza colpire nessuno. Ci ha detto che avrebbe ucciso chiunque avesse provato a fare un passo indietro. Quando ci siamo avvicinati a meno di cento metri dall’aeroporto, da diverse direzioni hanno cominciato spararci addosso. Io e mio fratello ci siamo buttati a terra e trascinati dietro a una piccola struttura di cemento. Lì abbiamo passato quasi mezz’ora, non abbiamo visto niente, sentito solo continui spari. Poi mio fratello ha buttato il fucile e ha cominciato a indietreggiare: abbiamo strisciato nel fango non so per quanti metri. Quando ci siamo accorti di essere lontani abbiamo cominciato a correre. Dopo qualche ora abbiamo incontrato gente locale, contadini come noi. Ci hanno nascosto in casa, regalato vestiti civili e spiegato la strada che dovevamo fare per non imbatterci in pattuglie dell’esercito ucraino. Non avevamo documenti e sapevamo di essere fuori legge: ci muovevamo di notte. Abbiamo deciso di fuggire in Transnistria, dove la nostra famiglia ha delle conoscenze”.
 
Temete rappresaglie sulle vostre famiglie?
 
“Grazie ai nostri amici transnistriani – dice Ivan – abbiamo contattato i nostri genitori. Dicono che la polizia gli ha portato il mandato d’arresto: siamo ricercati per tradimento. Sono stati portati due volte negli uffici dei servizi segreti locali per esser interrogati. Mia madre è stata picchiata perché ha risposto male a un agente”.
 
È vero che c’è un mercato con tariffe da pagare per essere esonerati dal servizio al fronte?
 
“A noi hanno chiesto mille euro a testa per evitare il servizio militare”.
 
Sono molti quelli che non vogliono andare a combattere nel Donbass?
 
“Il problema – risponde Ivan – è che non sappiamo niente della guerra. I media raccontano bugie, condizionano il popolo ad appoggiare le violenze del governo. A noi dicevano che lì ci sono gli invasori russi, i militari della Federazione russa che hanno occupato l’Ucraina. Non abbiamo incontrato nessun militare russo e le persone di Donetsk che ci hanno aiutato di fuggire ci hanno detto che l’esercito russo non c’e nel Donbass. Ci sono volontari di molti paesi dell’ex Urss: singole persone, ma non reparti dell’esercito russo”.
 
Cosa pensate dei cosiddetti separatisti?
 
“Difendono le loro case – dice Vassili – le città dalle aggressioni dell’esercito ucraino. Se fossimo nati nel Donbass saremmo stati separatisti anche noi”.
 
Cosa pensate della rivolta di Maidan?
 
“Prima eravamo entusiasti. Sembrava si trattasse di una rivolta popolare contro il sistema dei politici corrotti. Ma presto abbiamo capito che non era cambiato niente. Sono arrivati al potere i corrotti che prima erano di seconda serie, hanno spodestato i corrotti di prima serie e hanno cominciato derubare il paese più di prima. Hanno generato la guerra, manipolano la gente con la propaganda di odio contro i russi, che io considero più che fratelli”.
 
Vorreste un intervento Usa?
 
“No – risponde Ivan – non vogliamo gli americani in Ucraina”.
 
Cosa pensate del governo Poroshenko?
 
“Penso sia un fantoccio degli americani”.
 
Credete che un giorno potrete tornare in Ucraina?
 
“Spero di sì – risponde Vassili – vogliamo tornare alle nostre vite normali, ai lavori nei campi”. 

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