Macedonia sotto tiro:chi ha interesse ad un cambio di regime in un piccolo paese?

Macedonia sotto tiro:chi ha interesse ad un cambio di regime in un piccolo paese?

E cosa c’entra il gasdotto South Stream?

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di Enzo Brandi

Alcune settimane fa la Macedonia è stata sconvolta da alcune azioni armate avvenute nel nord del paese ad opera di gruppi irredentisti albanesi, che costituiscono circa un quarto della popolazione, e contemporaneamente da manifestazioni “per la democrazia” del tipo che abbiamo già potuto ampiamente osservare negli anni passati in Serbia, Georgia, Libia, Siria, Ucraina ed altri paesi minacciati da tentativi di colpi di stato, o da aggressioni esterne, atti a provocare un “regime change” forzato.
 
Per capire chi potrebbe avere interesse a provocare un cambio di regime in un piccolo paese di modeste condizioni economiche, che non può nemmeno fregiarsi del proprio nome per l’opposizione della vicina Grecia cui appartiene la maggior parte della Macedonia storica (il nome ufficiale è “ex repubblica macedone della federazione yugoslava”), basta considerare la vicenda ed il percorso del South Stream, cioè il grande gasdotto progettato dalla Russia per portare il gas della Siberia nell’Europa centro-meridionale.
 
Il progetto di questo gasdotto, alla cui costruzione dovrebbe contribuire in maniera decisiva l’italiana SAIPEM, legata al gruppo ENI, prevede il passaggio diretto dalla Russia sotto il Mar Nero, aggirando l’infida Ucraina traversata da innumerevoli gasdotti costruiti in epoca sovietica. Questi impianti, vecchi di 70 anni, avrebbero bisogno di enormi investimenti per il rammodernamento, investimento che la russa GAZPROM non intende effettuare vista la disastrosa situazione economica e politica in cui si trova quel paese, specie dopo il colpo di stato neo-nazista di piazza Maidan apertamente pilotato dagli Stati Uniti.
 
Il South Stream è il progetto gemello del North Stream che invece passerebbe dalla Russia direttamente sotto il Mar Baltico aggirando Polonia e paesi baltici, ormai entrati completamente nell’orbita NATO-USA, per raggiungere direttamente la Germania.
 
Per bloccare il progetto South Stream gli USA hanno effettuato in passato aperte pressioni sulla Bulgaria, dove il gasdotto avrebbe dovuto approdare dal Mar Nero. Il governo bulgaro, che già aveva fornito tutti i permessi necessari alla GAZPROM, ha incredibilmente fatto marcia indietro adducendo anche motivi ecologici. Ma la Russia di Putin non è più lo stato vassallo dei tempi di Gorbaciov ed Eltzin e restituisce colpo su colpo. E’ stato subito raggiunto un nuovo accordo con la Turchia per fare approdare il gasdotto sul tratto di costa europeo del paese, affacciato sul Mar Nero a sud della Bulgaria. 
 
Il governo Erdogan, benché in conflitto con la Russia nella crisi siriana, ha fiutato il buon affare che gli permetterebbe di raccogliere royalties e approvvigionarsi di gas a buon prezzo. Un progetto alternativo di far affluire gas dalla zona del Caspio (da Azerbaigian e Turkmenistan) è stato considerato troppo incerto e basato su giacimenti insufficienti, non paragonabili agli enormi giacimenti siberiani che potrebbero alimentare il mondo per decenni.
 
Dopo la Turchia il gasdotto dovrebbe passare per la Grecia (pienamente favorevole al progetto che le assicurerebbe ottime entrate finanziarie in un momento di grave crisi), la Macedonia e la Serbia (i cui governi, benché sottoposti a fortissime pressioni statunitensi, hanno finora tenuto duro), poi per l’Ungheria (assolutamente favorevole al progetto).

Infine il gasdotto dovrebbe arrivare allo svincolo di Baumgarten in Austria dove già giungono i gasdotti dall’Ucraina. Il governo neutrale austriaco (che non aderisce alla NATO!) è un aperto sostenitore del South Stream.
 
La costruzione del gasdotto è assolutamente essenziale per l’approvvigionamento di gas russo per l’Europa: il gas siberiano si avvia ormai a diventare la principale fonte energetica per l’Europa, dove la produzione di gas norvegese ha ormai imboccato la fase calante; il gas libico dopo i bombardamenti della NATO è a livelli di fornitura irrisori (costituisce – ad esempio - solo il 2% del paniere italiano); il gas algerino è limitato da scarsezza di infrastrutture e difficoltà di investimenti (costituisce solo l’11% del paniere italiano). Le percentuali comprese tra il 30 ed il 50% di gas russo attualmente vigenti nei paesi europei (33% per l’Italia, che però ha anche una fetta di produzione nazionale di incerte prospettive) sono destinate a crescere rapidamente. Lo “shale gas” americano è un bluff per il mercato europeo perché, a parte tutti i problemi locali di inquinamento e la scarsissima vita media dei singoli pozzi, mancano negli USA gli impianti di liquefazione del gas, necessari al costoso trasporto transoceanico,  e in Europa scarseggiano quelli di rigassificazione.

Da parte sua la Russia procede decisa con idee estremamente chiare. La costruzione e la gestione del tratto del gasdotto nei paesi della UE, a partire dalla Grecia, è lasciata a società europee per evitare un altro vincolo posto dalla UE, quello secondo cui la GAZPROM, essendo fornitore, non può essere anche costruttore e gestore. Ma la Russia ha valide alternative in caso di nuove difficoltà: stringe nuovi accordi con la Cina per un valore totale finora di circa 70 miliardi di Euro, ma il mercato energetico cinese, dove domina ancora largamente il carbone fortemente inquinante,  è destinato a crescere rapidamente, avendo il governo cinese programmato  di aumentare rapidamente il consumo di gas, il meno inquinante tra tutti gli idrocarburi. La Cina, per non parlare anche della Corea, del Giappone e dell’India, potrebbe da sola in futuro assorbire tutta la produzione russa. 
 
Un’altra notizia da sottolineare è un secco comunicato congiunto del governo russo e della GAZPROM, secondo cui, a partire dal 2019, non passerà più un solo metro cubo nei gasdotti ucraini, che saranno abbandonati. La scelta del governo golpista ucraino di abbandonare la millenaria collaborazione con la Russia rischia di far precipitare in un pozzo senza fondo il paese, che finora ha campato sul gas russo spillato illegalmente ai gasdotti e sui mancati pagamenti del gas regolarmente fornito (ruberie calcolate in circa 35 miliardi di Euro, sopportate fin qui dalla Russia solo per motivi di opportunità politica). Anche l’UE e il Fondo Monetario Internazionale hanno finanziato a fondo perduto il governo ucraino con cifre molto superiori a quelle che sarebbero servite a salvare la Grecia.
 
L’Europa deve solo decidere se vuole continuare a farsi del male cedendo alle pressioni e ai ricatti statunitensi o intraprendere una strada più autonoma.  Per ora si sa che i circoli economici tedeschi appoggiano il North Stream ed aggirano anche le sanzioni alla Russia per i fatti ucraini con triangolazioni sotto banco che coinvolgono Bielorussia e Corea del Nord. L’ENI (una volta c’era Mattei!) e la consociata SAIPEM tifano per il South Stream. L’arroganza statunitense trova un valido freno nelle contromisure anche economiche della Russia di Putin(1).
 
 
(1) Gran parte delle notizie economiche è tratta dalla conferenza tenuta dal Prof. Demostenes Floros, consulente dell’ENI e collaboratore di “Limes”,  presso il Senato in data 25/6/15
  

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