Le riforme del FMI peggiorano l’economia ucraina e il paese si avvicina alla Nato

Le riforme del FMI peggiorano l’economia ucraina e il paese si avvicina alla Nato

Arrivato a in Ucraina ieri, intanto, il segretario generale della Nato ha dato il via alle esercitazioni congiunte NATO-Ucraina

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di Eugenio Cipolla
 
La foto che ritrae Petro Poroshenko e Jens Stoltenberg stringersi la mano sorridenti segna una svolta nei rapporti tra l’Ucraina e l’occidente, perché proietta definitivamente l’ex Repubblica sovietica fuori dall’orbita di Mosca.

Arrivato a in Ucraina ieri, il segretario generale della Nato ha dato il via alle esercitazioni congiunte NATO-Ucraina a Leopoli, nell’ovest del paese, dove il sentimento antirusso è più forte. Oggi, invece, Stoltenberg ha firmato assieme a Petro Poroshenko diversi accordi di cooperazione con Kiev in materia di difesa, irritando, e non poco, il Cremlino. «La firma di questi documenti – ha scritto il Consiglio di Sicurezza e difesa dell’Ucraina in una nota – dà il via a un approfondimento delle nostre relazioni in ambiti chiavi riguardanti le sfide attuali e rappresenta l’inizio di una nuova fase, molto più pratica della nostra cooperazione». 

In realtà, ha subito precisato Stoltenberg, l’Ucraina «non è ancora pronta per l’ingresso nella Nato», ma dalle parole di Petro Poroshenko si percepisce come oggi il percorso di avvicinamento tra le due parti sia partito ufficialmente e difficilmente si fermerà. «Puntiamo a fare le riforme necessarie per allinearci agli standard della Nato», ha detto il presidente ucraino, «dopodiché, quando saremo pronti, terremo un referendum, chiedendo ai cittadini la loro posizione. Oggi più del 60% dei nostri concittadini è favorevole a un ingresso nell’Alleanza, l’anno scorso erano il 50%, due anni fa il 16%». Per ora il Cremlino non ha rilasciato alcuna dichiarazione, ma non è così difficile intuire che a Vladimir Putin tutto questo non piacerà.
 
Soprattutto perché Stoltenberg, in quello che il presidente russo considera il proprio “giardino”, ha lanciato un affondo pesante contro la presenza di truppe di Mosca in Donbass. «Vediamo che da tempo la Russia è presente in est Ucraina, che ci sono militari che continuano a sostenere i separatisti a livello di direzione, gestione, preparazione e attrezzature», ha detto durante una conferenza stampa con Poroshenko. «Noi – ha aggiunto – chiediamo il ritiro di quelle truppe dal Donbass e la piena attuazione degli accordi di Minsk».  Galvanizzato, Poroshenko ha parlato dell’esercito ucraino come uno «i più forti del continente», assicurando che l’aver riformato il settore della sicurezza nazionale «sarà un fattore importante non solo per il nostro paese, ma anche per la sicurezza e la stabilità europea».
 
Chiuso il palcoscenico e spenti i riflettori, però, Petro Poroshenko dovrà affrontare la grana economia. Perché nonostante i proclami sui sacrifici e sulla necessità dei tagli imposti dal FMI, le misure di Washington faticano a ingranare. L’economia del paese fatica a ripartire.  Oggi la Banca Mondiale ha rivisto in negativo le stime sul Pil dell’Ucraina nel 2015. Se ad aprile si prevedeva una contrazione annua del prodotto interno lordo di 7,5% punti, ora la caduta del Pil di Kiev si attesterà attorno al 12%. Una mazzata per un’economia che soffre per la guerra in Donbass e per la perdita di un 20% della produzione industriale, ora in mano ai ribelli filorussi. La “luce”, sempre secondo la Banca Mondiale, si vedrà solo nel 2016, con una crescita prevista dell’1%, che rappresenterebbe comunque un risultato insufficiente dopo la perdita di ricchezza del biennio 2014-2015. 
 
Ma non è finita qua. Ieri la Banca Nazionale ha diffuso i dati sul debito pubblico dell’Ucraina, segnando un rialzo significativo. Da inizio anno il valore del debito di Kiev, infatti, è aumentato dal 95,1% al 122,8. Le ragioni principali di questa crescita, si leggeva nel rapporto della NBU, sono dovute ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale. Proprio lo stesso che ha imposto al paese misure volte alla riduzione del debito. Misure evidentemente insufficienti per rialzare un’economia in ginocchio da ormai un anno e mezzo. 

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