Libia, il buco nero dell'Italia

Libia, il buco nero dell'Italia

Fulvio Scaglione: "Si può fare una guerra per riparare ai disastri causati da una guerra precedente?"

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di Fulvio Scaglione*

Libia o non Libia? Di fronte alla prospettiva di un (altro) intervento militare la politica e l’opinione pubblica si stanno spaccando. Era prevedibile. Come sempre, tutti sono convinti che si debba combattere l’Isis e vada stroncato il traffico di esseri umani che lucra (anche a beneficio dei terroristi) sul dramma delle migrazioni. Ma su quanto e come impegnarsi per farlo i pareri, e soprattutto le disponibilità, cambiano appena arriva il momento dell’azione. Anche su questo tema l’Italia e gli italiani ricordano Nanni Moretti invitato alla festa in Ecce Bombo: “Che dici, vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”.
 
Scettici e pacifisti hanno buone e coincidenti ragioni. Si può fare una guerra per riparare ai disastri causati da una guerra precedente, l’una e l’altra condotte dagli stessi Francia, Gran Bretagna, Usa, Italia? Le spedizioni armate in Medio Oriente, dall’Iraq in poi, non hanno forse causato più problemi di quanti ne abbiano risolti? L’Italia ripudia o non ripudia la guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, come recita il molto citato articolo 11 della Costituzione?

Anche i tecnici, gli esperti di questioni militari hanno qualcosa da dire: dei 180 mila soldati italiani, solo 35 mila hanno l’addestramento giusto per una missione quale si prevede sarà quella in Libia. Di questi, almeno 4 mila sono già impegnati in missioni estere, con altri 8 mila di riserva per gli avvicendamenti. Il che vuol dire che un terzo della nostra forza non è disponibile. Un rompicapo, perché nessuno prevede una guerra lampo ma un lungo e logorante impegno. E la tragica morte dei due tecnici italiani, peraltro sequestrati da molti mesi, in un improvviso scontro a fuoco non fa che confermarlo.
 

Libia e pasticci europei
 
Da qui anche il palpabile imbarazzo del Governo, che centellina le informazioni (come quella sui droni americani che da Sigonella dovrebbero colpire le filiali libiche dell’Isis) e non pare ansioso di riferire al Parlamento. Nemmeno dopo che la Casa Bianca ha fatto sapere di non aver nulla in contrario a mettere l’Italia a capo di una missione in Libia di cui tutti, tranne i cittadini italiani, sembrano a conoscenza. Al punto che scopriamo dall’ambasciatore americano anche quanti uomini dovremmo impegnare sul campo.
 
Il problema è che l’Italia in questa guerra ci sta finendo, più che per strategia e decisione propria, per scivolamento, per inerzia. È il buco nero libico, apertosi alla soglia di casa nostra, a risucchiarci proprio come il buco nero iracheno ha finito per risucchiare Siria, Turchia, Iran e Arabia Saudita, i Paesi vicini. Con, in più, il solito pasticcio politico europeo. Nell’assenza di una politica estera (e militare) comunitaria, ognuno pensa per sé e Francia e Gran Bretagna sono già impegnate concretamente in Libia. Possiamo lasciar fare a loro, con la lontana e distratta supervisione americana, dopo il disastro che hanno combinato nel 2011? Possiamo impegnare i nostri soldati in Kosovo e Afghanistan e tirarci indietro rispetto a una situazione di crisi ancor più urgente e così vicina ai nostri confini? Abbiamo idea di quale ecatombe diplomatica sarebbe per il nostro Paese?
 
Come si vede, le cose sono ormai messe in modo che, qualunque sia la nostra scelta sulla Libia, le difficoltà e svantaggi saranno notevoli e immediati, mentre eventuali vantaggi arriveranno, se mai arriveranno, solo nel medio-lungo termine. L’Italia in fondo, ha battuto la pista politica più difficile ma anche più equilibrata: Governo di unità nazionale in Libia; da questo richiesta ufficiale di aiuto; intervento Onu. A sabotare il piano è arrivata, inattesa, l’ostilità del Parlamento di Tobruk, cioè l’entità che l’intero Occidente considerava “amica”. Si andrà, quindi, verso l’intervento di una piccola coalizione cui l’Onu darà poi, a cose fatte o quasi, il proprio stanco patrocinio.
 
Di questo non abbiamo colpa. Della pigrizia politica e diplomatica precedente invece sì. Ma ora che le cose sembrano accelerare, ed essendo il Paese che, anche a causa del passato coloniale, ha la maggiore conoscenza della Libia, ci devono essere ben chiari gli ostacoli da superare. Con la coscienza che avremo dei compagni di strada molto armati ma pasticcioni e non sempre affidabili.
 
*Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 4 marzo 2016. Riproposto su gentile concessione dell'autore.

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