Il sangue sulle presidenziali Usa: l'assist del terrorismo ad Hillary

Il sangue sulle presidenziali Usa: l'assist del terrorismo ad Hillary

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Piccole Note

«La strage in un locale gay di Orlando – 50 morti, la mattanza più grave d’America – cambierà il dibattito negli Usa sul terrorismo, le armi, l’islam e naturalmente le elezioni presidenziali di novembre». Inizia così un articolo di Alexander Stille sulla Repubblica del 13 giugno.
 
E da qui iniziamo per un’analisi a caldo della strage di Orlando, in particolare dall’ultima considerazione: questo sangue, e forse altro che seguirà in questa campagna elettorale tra le più aspre di sempre, sembra destinato a incidere sulle presidenziali Usa.
 
L’attentato è avvenuto nel locale gay Pulse Club: a far strage, il solito matto, come tanti altri dietro le stragi americane che si susseguono da anni. Si tratta di Omar Saddiqui Mateen, afgano, fan dei Taleban come il padre. Il tale lavorava per una ditta di sicurezza privata, per conto della quale, scrive Guido Olimpio sul Corriere della Sera di oggi, ha sorvegliato anche «palazzi federali». Insomma, non doveva poi essere tanto squilibrato il ragazzo, se un’Agenzia di sicurezza gli aveva affidato compiti tanto importanti.
 
Anche l’attentato di ieri non è affatto opera di uno squilibrato usuale, tipo i matti che ammazzano le loro compagne, o ex tali, in Italia: l’uomo ha agito con freddezza e calcolo. Ma soprattutto l’operazione è stata preceduta da un’accurata «preparazione», come accenna Fareed Zaakaria in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera di oggi.
 
Secondo gli investigatori sarebbe un lupo solitario: avrebbe cioè agito per conto dell’Isis, che ovviamente ha rivendicato (l’avrebbe fatto comunque, fosse solo per pubblicità). Una rivendicazione trovata del solito sito acchiappa-terrore, il Site: a quanto pare l’unica struttura in grado di intercettare messaggi dell’Isis e di altri terrorismi vari, nonostante a quest’opera siano dedite le intelligence di tutto il mondo.
 
Infine, per un copione che si ripete (Parigi, Bruxelles e altrove), l’uomo era stato attenzionato dall’Fbi: era anche stato interrogato due volte, per poi essere lasciato andare.
 
C’è un tragico parallelismo tra l’incapacità dell’Occidenle di far fronte alle milizie Isis in Iraq e Libia (e altrove), nonostante con il suo apparato militare potrebbe spazzarla via in due giorni, e questa incapacità di prevenire attentati di persone attenzionate dalle loro agenzie di intelligence. Un parallelismo che pone domande. Tragiche.
 
Infine val la pena ricordare che il giorno precedente la strage, proprio la città di Orlando (in Florida, Stato dove fu ufficialmente preparato l’attentato dell’11 settembre) era stata teatro di un altro crimine. Un crimine eclatante, che aveva fatto il giro del mondo: tal Kevin James Loibl aveva ucciso una star della musica leggera, la giovanissima Christina Grimmie.
 
L’11 giugno, infatti, la ventiduenne era caduta sotto i colpi di un fan squilibrato, questa almeno la motivazione ufficiale. E però Loibl si era portato dietro due pistole e due caricatori di riserva, superflui per un semplice omicidio.
 
Se il fratello della cantante non l’avesse bloccato subito (anche in questo caso la sicurezza era latitante), forse sarebbe accaduto ben altro. Insomma, a quanto pare le forze di sicurezza della città di Orlando lasciano un po’ a desiderare.
 
Ma torniamo alla strage di ieri e alle conseguenze che avranno sulla campagna elettorale. Vittime dell’odio, è il topos usato per l’occasione. Cosa vera: le Agenzie del terrore ne producono in quantità industriali.
 
E il politico americano che oggi più incarna l’odio verso i diversi, almeno nell’immaginario collettivo e mediatico (nel caso specifico i gay) è Donald Trump. Il tycoon deve aver fiutato l’aria malsana che si sta addensando attorno a lui, tanto che le sue reazioni a caldo sono state più scomposte, e discutibili, che mai.
 
E però il tycoon era anche quello che aveva detto che occorreva lasciar campo libero alla Russia nella sua guerra contro l’Isis in Siria. Cosa che non è stata fatta. Anzi gli Stati Uniti hanno sempre evitato un minimo di coordinamento con Mosca, rifiutando più volte richieste in tal senso avanzate dai russi. Una tendenza che si accentuerà con l’eventuale presidenza di Hillary Clinton, la cui avversità irriducibile a Putin è dichiarata (come da suggerimento degli ambiti neocon che la sostengono).
 
Le Agenzie del terrore lo sanno bene, come conoscono bene la vis bellica della Clinton. Che porterà gli Stati Uniti verso nuove “avventure” militari con conseguente aumento della destabilizzazione globale. Cosa che tali Agenzie vedono come un’opportunità: più vasta sarà la destabilizzazione, più crescerà la loro influenza (vedi quanto avvenuto in questi anni).
 
Da qui anche il tentativo di inserirsi in queste presidenziali (anche solo attraverso una mera rivendicazione).
 
Anche Massimo Gaggi, sul Corriere della sera di oggi, si domanda se lo scontro di civiltà made in Ua favorirà Trump o meno. No, conclude, anzi «proprio attacchi come quello di ieri potrebbero mettere in luce l’inconsistenza del suo progetto».
 
La domanda affiora anche in un’intervista, sempre sul Corriere di oggi, a Larry Sabato, analista politico molto influente negli Stati Uniti, che spiega come l’accrescersi della tensione «non dovrebbe andare a vantaggio di Trump. Anzi, credo che ne beneficerà la Clinton […]. Siamo in guerra col terrorismo. È una battaglia che va combattuta da gente preparata. Avvicinandoci al voto, la gente se ne renderà sempre più conto. Serve gente con esperienza – e Hillary ne ha –».
 
«L’America potrebbe vivere mesi difficili da qui al voto», prevede ancora Sabato nell’intervista. Già, e forse potrebbe scorrere altro sangue innocente.
 
Altre tragedie seriali che andrebbero a inserire variabili impazzite nella durissima campagna elettorale che sta scuotendo l’America. Speriamo sia scongiurato.

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