I frutti della guerra della Nato in Libia

I frutti della guerra della Nato in Libia

Le conseguenze disastrose dell'intervento Occidentale si fanno sentire oggi a Tripoli e in tutta l'Africa, dal Mali alla Nigeria

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L’Iraq è stato un disastro intriso di sangue e l’Afghanistan un assoluto fallimento militare e politico, ma si supponeva che in Libia sarebbe stato diverso, scrive sul 'Guardian' Seumas Milne. La guerra della Nato per rovesciare il Colonnello Gheddafi nel 2011 è stata salutata come un intervento liberale che ha funzionato.
 
Le potenze occidentali hanno dovuto travisare il significato della risoluzione dell’ONU sulla protezione dei civili, la città di Sirte è stata ridotta in macerie, ha avuto luogo una pulizia etnica su larga scala e migliaia di civili sono stati uccisi. Ma era tutto per una nobile causa e si è ottenuta senza vittime della Nato.
 
Dopo tutto non si trattava di Bush e Blair, ma di Obama, Cameron  e Sarkozy. La gente era libera, il dittatore era morto, un discusso massacro era stato evitato, e tutto questo senza truppe occidentali sul terreno. Solo l’anno scorso Cameron sosteneva l'utilità dell'intervento e aveva promesso di stare dalla parte dei libici “in ogni passo del cammino”.
 
Tre anni dopo la vittoria proclamata dalla Nato, la Libia sta scivolando verso uno scenario di guerra civile. Nei giorni scorsi, il Generale Hiftar, collegato alla CIA, ha dato il via al suo secondo tentativo di colpo di stato in tre mesi, presumibilmente per salvare il paese dai “terroristi” e dagli islamisti. Il 18 maggio le sue forze hanno preso d’assalto il Congresso nazionale a Tripoli, dopo che 80 persone erano morte due giorni prima a Bengasi.
 
Ora le milizie islamiste sono state chiamate a difendere il governo prima delle nuove elezioni. Dato che il paese è   invaso da milizie molto più potenti delle forze ufficiali, e che sono squarciate da molteplici divisioni e preda di costanti interferenze interne, le probabilità di evitare un conflitto in piena regola si stanno riducendo rapidamente.
 
Queste sono solo gli scontri e le atrocità più recenti che hanno travolto la Libia fin dalla “liberazione” della Nato e che ha conosciuto bombardamenti, uccisioni, il rapimento del primo ministro, il sequestro dei terminalipetroliferi da parte dei signori della guerra, l’espulsione di 40.000 libici neri dalle loro case e la morte di 46 dimostranti nelle strade di Tripoli a causa di un incidente – il tutto ignorato dagli Stati che si presumeva fossero andati in guerra per proteggere i civili.
 
In realtà, l’Occidente ha colto l’occasione di intervenire in Libia per controllare le insurrezioni arabe. La potenza aera della Nato in appoggio alla ribellione in Libia ha aumentato il bilancio delle vittime di circa il 10%, ma ha giocato un ruolo decisivo nella guerra – il che significava che nessuna forza politica o militare coerente avrebbe riempito il vuoto. Dopo tre anni, migliaia di persone sono trattenute in custodia senza processo, ci sono pesanti limitazioni al dissenso, e le istituzioni sono vicine al collasso.
 
Però gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno ancora addestrando truppe libiche per mantenere il controllo. Prima del rovesciamento di Gheddafi, Hiftar era a capo dell’ala miliare del Fonte Nazionale di Salvezza appoggiato dalla CIA. Prima del suo recente tentativo di colpo di stato, gli Stati Uniti hanno mandato un’unità di marines in Sicilia, pronta a intervenire, e John Kerry ha promesso di aiutare la Libia.
 
Sia gli Emirati Arabi Uniti che l’Arabia Saudita stanno apertamente appoggiando Hiftar come è statp per l'artefice del colpo di stato militare in Egitto, il generale Sisi. Dopo aver soppresso, messo in carcere e ucciso in gran numero gli islamisti in Egitto, Sisi e i suoi sostenitori del Golfo sono determinati a impedire che essi rafforzino il loro potere nella Libia ricca di petrolio. Ci sono segnali che Sisi, che si lamenta che l’Occidente non è riuscito a occupare militarmente la Libia dopo il rovesciamento di Gheddafi – voglia usare la crisi della Libia per inviare nel paese le sue forze.
 
Ma non è soltanto la Libia che sta subendo le ricadute dell'intervento della Nato. Le ripercussioni della guerra libica si sono sentite in tutta l’Africa, destabilizzando la regione del Sahel e oltre. Dopo la caduta di Gheddafi, i Tuareg che avevano combattuto per lui sono tornati in patria, in Mali, portandosi dietro le armi dei depositi del dittatore. Nel giro di pochi mesi, il Mali del Nord ha conosciuto una ribellione armata su vasta scala ed è stato occupato da gruppi armati islamisti.
 
La conseguenza è stato l’intervento militare francese dello scorso anno, appoggiato da Stati Uniti e Gran Bretagna. Ma l’impatto della Libia è molto più ampio. Tra i gruppi le cui campagne armate sono state alimentate dallearmi pesanti provenienti dagli arsenali incustoditi di Gheddafi c’è Boko Haram.
 
L’appoggio alla setta terroristica fondamentalista nigeriana che ha sequestrato 200 ragazze il mese scorso e che è responsabile di oltre 1.500 morti dall’inizio dell’anni è stato alimentato dalle privazioni, dalla siccità e dalla brutale repressione nel nord musulmano.
 
Ma, come altrove in Africa e Medio Oriente, ogni intervento esterno serve soltanto a diffondere il ciclo della guerra al terrore. E quindi l’invito all’azione per l’oltraggio del rapimento del Boko Haram ha portato le forze statunitensi, britanniche e francesi nella Nigeria ricca di petrolio, proprio come in la crisi del Mali dell’anno scorso ha portato all'installazione di una base statunitense per i droni nel vicino Niger.
 
Le Forze Armate statunitensi sono ora impegnate in 49 dei 54 Stati africani, insieme alle ex potenze coloniali di Francia e Gran Bretagna, in quella che sta diventando una nuova spartizione del continente: una lotta per le risorse e l’influenza di fronte al crescente ruolo economico della Cina, sostenuta da una crescente presenza militare che diffonde il terrore man mano che cresce. Questo porterà a un contraccolpo, come è successo con la guerra in Libia.
 
I sostenitori della guerra in Libia replicano che, anche se il paese è ora in preda al caos e alla violenza, non c’è stato nessun intervento militare in Siria e più di 150.000 persone sono morte nella guerra civile che affligge il paese. Naturalmente, però, c’è un intervento segreto su vasta scala in appoggio dei ribelli siriani ad opera delle potenze della Nato e degli Stati del Golfo.
 
Uno degli aspetti più brutti della politica occidentale verso la Siria è il fornire e togliere quell’appoggio per mantenere in gioco i loro gruppi armati preferiti – senza fornire loro qualsiasi vantaggio decisivo. Infatti, l’appoggio statunitense, britannico, e dei paesi del Golfo si sta incrementando proprio adesso per i progressi delle forze di Assad sul campo.
 
E' difficile immaginare che il bilancio delle vittime sarebbe stato in un certo modo inferiore in Siria, o che il conflitto settariomeno brutale, se gli Stati Uniti e i loro alleati avessero lanciato un attacco totale in qualsiasi momento del conflitto. L’esperienza dell’Iraq, dove ora si stima che la guerra abbia ucciso 500.000 persone, rende il tutto molto ovvio.
 
Ma le elite occidentali, così abituate alla guerra, sono già pronte ad un altro intervento. “Per che cosa combatterebbe l’America?” ha chiesto l' 'Economist' all’inizio del mese, facendo eco all’accusa di debolezza mossa daii Repubblicani alla Casa Bianca. Per il resto del mondo, la realtà della Libia e le sue conseguenze disastrose dovrebbero essere una risposta sufficiente.

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