Il divorzio Santoro-Travaglio? Per non morire i talk inizino a parlare del divorzio Tesoro-Bankitalia

Il divorzio Santoro-Travaglio? Per non morire i talk inizino a parlare del divorzio Tesoro-Bankitalia

Non interessa più perché contenitore di formule ridondanti che grattano appena la superficie dei problemi reali

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di Cesare Sacchetti
 
Giovedì scorso a Servizio Pubblico su La7 è andato in onda il divorzio Santoro-Travaglio. La storica coppia televisiva dava già da tempo segni di scarso affiatamento, tollerando a vicenda i suoi sempre più incompatibili aspetti caratteriali e la differente visione del modo di fare giornalismo. 
 
Il motivo dello screzio è stato un richiamo al confronto da parte dell’anchorman salernitano nei confronti del Vicedirettore del Fatto Quotidiano, che a parere di Santoro non accetta il confronto ad armi pari e pretende uno scudo permanente da qualsivoglia critica o contestazione gli venga rivolta. Inaccettabile per Travaglio, che con il volto marcato dallo sdegno scatta come una molla dalla sedia e lascia inviperito lo studio televisivo. Una coppia quella di La7, che agli inizi aveva funzionato per il contrasto tra le due figure, da una parte l’algido castigatore di Torino sempre pronto ad elencare i misfatti giudiziari del politico di turno e dall’altra il vulcanico tribuno televisivo dal sangue caldo con una maschera da difensore dei proletari, anche se da una condizione piuttosto lontana dalle reali esigenze della classe disagiata. 
 
Un binomio giornalistico quello tra i due, fondato da un comune sentire nella lotta alla casta ingorda di privilegi e proveniente dai bassifondi della politica da clientelismo parassitario, vero e proprio cancro che ha devastato la classe dirigente secondo la visione del duo a discapito di una genuina e trasparente selezione della classe politica. 
 
Si parla in questi giorni di una crisi del talk-show, modello che sarebbe in crisi per molteplici cause. Forse una causa che è stata trascurata è la capacità del talk-show di saper raccontare e descrivere la realtà dei problemi quotidiani, e la spiegazione con lo sguardo puntato solo sulle malefatte e i problemi giudiziari del politico di turno comincia a mostrare sempre più la sua fallacia e il suo sguardo miope. In questo schema, Travaglio ha rappresentato alla perfezione il modello di giornalista pop-star, figura nuova dell’informazione italiana, che assomiglia sempre di più a un divo delle spettacolo con stuoli di fan in delirio pronti a difendere fino alla morte il loro beniamino, impegnato nella firma di autografi e nella rappresentazione di spettacoli teatrali, spesso protesi di libri fotocopia che raccontano sempre gli stessi misfatti in salse diverse. 
 
È proprio questo il punto debole della capacità mediatica del talk-show, contenitore di formule ridondanti che grattano appena la superficie dei problemi reali, ignorando colpevolmente di denunciare i veri motivi da cui ha origine la crisi economica e di indicarne al telespettatore, messo in condizione di inferiorità dal mezzo televisivo, i veri responsabili. Di rado capita di ascoltare sugli schermi televisivi della storia del divorzio tra Tesoro e Bankitalia, artefice della bolla del debito, e sono praticamente assenti dalle agende dei talk-show nomi come il Gruppo Bilderberg, del Council of Foreign Relations, e delle altre lobby liberiste che hanno il ruolo di protagonista principale e cannibale dei diritti sociali ed economici. 
 
Il liberismo è in economia, il modello da seguire secondo Marco Travaglio, adoratore delle privatizzazioni e prono al modello anglosassone incentrato sulla supremazia di pochi gruppi finanziari capaci di dominare le dinamiche politiche e sociali. Il giornalista di Torino lamentava qualche anno fa, un presunto ostracismo nei suoi confronti da parte dei media colpevoli di censurare i giornalisti scomodi come lui, che nel giro di poco tempo si è ritrovato costantemente presente sugli schermi televisivi in prima serata, sempre recitando l’omelia anticorruzione che gli è tanto cara. Ecco, questo è forse il modo principe per guadagnarsi visibilità, fama e successo poiché chi ha trattato e tratta il trinomio casta-corruzione-debito pubblico ha avuto la propria carriera lastricata di successi, mentre ai giornalisti dissidenti che hanno osato gettare il cuore oltre l’ostacolo per narrare i misfatti del piano superiore è stato riservato un trattamento da appestati, relegati in blog e blogghetti, o alla peggio derisi e screditati dalle sentinelle del sistema. Non è la liturgia del talk-show ad aver esaurito la sua spinta propulsiva, ma il logoro schema fondato su contenuti ridondanti che hanno lo scopo di allontanare lo spettatore dalla radice dei problemi e rivolgere la sua rabbia verso le comparse della casta, ridotta a mera esecutrice e parafulmine dei veri poteri forti delle oligarchie finanziarie, non quelli dei Fiorito di casa nostra. 
 
Il duo Santoro - Travaglio appare logoro proprio nella sua incapacità di saper rivolgere lo sguardo a un piano più profondo della realtà, rivelando un’incapacità nel saper affrontare il vero volto del potere, quello più sconosciuto e truce che all’uomo della strada ancora è sconosciuto. Il giornalista dovrebbe mostrare l’altra realtà, ma i talk-show che sullo schermo televisivo avrebbero il compito di farlo, mettono di fronte allo spettatore copioni già scritti con ospiti chiamati a recitare parti imparate a memoria. Lo spettatore ha annusato questa messinscena, e cambia canale.

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