"I sauditi hanno buone ragioni per essere preoccupati", avverte Paul Pillar, un ex agente della CIA
Per lungo tempo ci sono state
speculazioni sulla capacità delle forze jihadiste, siano esse ISIS, Nusra o altri gruppi regionali, di diffondersi al di là della zona di conflitto in Iraq e infiltrarsi nella mecca mondiale del petrolio:
l'Arabia Saudita. Ora sappiamo la risposta: secondo Bloomberg,
un cittadino saudita sospettato di star organizzando un attacco contro fedeli sciiti nella ricca provincia petrolifera orientale era rientrato in patria dopo aver combattuto in Iraq e in Siria, secondo i giornali sauditi. In breve,
l’ISIS è arrivato nel più grande esportatore di petrolio al mondo, il che pone una domanda:
è di due giorni fa la notizia dell'esplosione dell'oleodotto Aramco subito minimizzato da fonti saudita come "legata alla manutenzione". Si tratta invece di un atto di sabotaggio?
Secondo
Bloomberg, che cita al-Hayat e Saudi Gazette, il cittadino ha organizzato una cellula che ha effettuato l'attacco che ha ucciso sette persone nel villaggio sciita di al-Dalwah
dopo aver furtivamente attraverso il confine nel regno. Asharq Al-Awsat riporta che il saudita ha combattuto in conflitti regionali. Il ministero dell'Interno ha rifiutato di commentare, citando l'indagine in corso.
Questa sarebbe la prima volta che un saudita di ritorno dai conflitti in Iraq e in Siria attacca obiettivi nel più grande esportatore di petrolio al mondo, sollevando la preoccupazione di un’intensificazione della violenza settaria. L'Arabia Saudita sta partecipando alla campagna militare contro lo Stato islamico, il gruppo che ha preso gran parte della Siria e Iraq e utilizza i social media per reclutare uomini sauditi. Quando l'Arabia Saudita si è unita alla campagna degli Stati Uniti contro l'ISIS, molti si sono chiesti perché il gruppo non avesse ancora portato avanti ritorsioni, inducendo alcuni a mettere in discussione il patrimonio dell'organizzazione jihadista e un eventuale finanziamento saudita.
"I sauditi hanno buone ragioni per essere preoccupati, e infatti le indicazioni ci dicono che le autorità saudite sono preoccupate", ha detto Paul Pillar, un ex ufficiale della CIA per il Medio Oriente e l'Asia meridionale. "Questo attacco può preannunciare altre forme di violenza all'interno dell’Arabia Saudita perpetrate dai jihadisti che hanno combattuto in Siria, Iraq, o altrove e ora sono tornati a casa".
Il primo attacco confermato dell’ISIS difficilmente sarà l'ultimo: il leader della cellula è stato ferito e arrestato negli scontri con le forze di sicurezza, si legge su al-Hayat. La cellula comprendeva 22 membri, 11 dei quali erano stati imprigionati dalle autorità saudite per motivi di "sicurezza".
Le autorità saudite hanno definito l’attacco del 3 novembre contro gli sciiti nel villaggio un atto terroristico. La polizia ha arrestato 15 persone e ucciso tre sospetti nel corso di raid condotti in sei città, riporta la Saudi Press Agency. Due addetti alla sicurezza sono stati uccisi durante un raid a Buraidah nella regione centrale di Qassim, secondo il servizio di notizie.
Inoltre, come riporta Site Intel, "i jihadisti sono in lutto per la morte di due combattenti" : ciò fa temere più violenza domestica in Arabia Saudita ed è solo una questione di tempo prima che gli impianti di produzione di petrolio sauditi verranno danneggiati.