di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Non riusciranno in ogni caso a portare un attacco “alla chetichella”, afferma il maggior-generale dell'areonautica russa Vladimir Popov, a proposito delle sciagurate elucubrazioni dell'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone di “attacchi preventivi” NATO contro la Russia. Dopo l'illustrazione della pianificazione strategica russa, presentata dal generale Andrei Gurulëv, è ancora Moskovskij Komsomolets a ospitare il parere di un altro alto ufficiale russo circa le reali possibilità dell'Alleanza atlantica di colpire impunemente il territorio russo, presentando il programmato “attacco preventivo”, di cui starnazza Dragone, come una "azione difensiva", in risposta ai presunti crescenti "attacchi ibridi" russi, come dicono trattarsi per i fantasmagorici attacchi informatici o gli onirici tagli di cavi sottomarini, di cui peraltro sino a oggi non è mai stata portata alcuna prova, che non sia quella delle smarronate quotidiane dei giornalacci di regime.
Dunque, nell'intervista al Financial Times, Dragone aveva anche detto che gli Stati baltici vorrebbero la distruzione preventiva di tutte le infrastrutture militari a Kaliningrad e lo "sradicamento" della flotta russa nel Baltico. E il buffo è che l'ammiraglio non è stato nemmeno il primo a parlarne, di questo “attacco preventivo”: il politologo lettone Jurgis Liepnieks aveva già detto che l'Europa potrebbe «distruggere facilmente» l'intera infrastruttura militare di Kaliningrad e Pietroburgo e bloccare la flotta del Baltico, con l'aviazione finlandese, polacca, svedese, norvegese e danese che potrebbe infliggere danni significativi a difese aeree russe, aviazione e logistica russe.
Ora, però, non è un politologo a sbilanciarsi in simili bravate, ma un alto ufficiale e addirittura capo del Comitato militare NATO e allora, dice Popov, se un militare fa tali dichiarazioni, significa che la pianificazione operativa è già in corso. Perché il quartier generale NATO si occupa non semplicemente del lancio di un missile tattico, ma di pianificare missioni operativo-strategiche. In questo caso, potrebbe trattarsi del piano di un attacco massiccio al territorio russo con missili Storm Shadow, o roba simile. Ma «questa sarebbe la Terza Guerra Mondiale: perché, anche se qualcuno dicesse che si è trattato di un incidente, la risposta russa sarebbe immediata e anche Mosca direbbe che il sistema di intelligenza artificiale, che traccia l'origine del lancio e risponde automaticamente, si è attivato accidentalmente». La Russia infatti, dice Popov, dispone di sistemi d'arma in allerta preimpostati per rispondere automaticamente agli attacchi dal territorio NATO, con radar “sopra-l'orizzonte” che tracciano i lanci di missili strategici, siano essi nucleari o convenzionali. «Il primo missile è mirato a intercettarli, il secondo al sito di lancio del missile. Non specificamente al sistema di lancio, ma all'area del sito di lancio: è un avvertimento al nemico per impedirgli di operare ulteriormente. Un attacco a sorpresa, impunemente, non è possibile. Non è escluso che potremmo usare armi nucleari tattiche. Sarà necessario per impedire un attacco di gruppo pianificato. Si tratterà di una risposta completa. Quindi è meglio non metterci alla prova. Agli attacchi da paesi NATO risponderemmo in modo diverso rispetto a quelli dall'Ucraina».
Il punto, oggi, è che se un alto ufficiale NATO dichiara che l'Alleanza è pronta per un attacco preventivo, significa che davvero a Bruxelles si stiano preparando alla guerra o, quantomeno, afferma Popov, pensano di essere pronti. Certo, passano mesi tra una dichiarazione come quella di questi giorni e l'effettivo dispiegamento delle truppe, con la formazione di scaglioni operativi per un'offensiva. L'intelligence russa «li vedrà formare unità d'attacco, spostandole, per esempio, al confine polacco con la Bielorussia, o Kaliningrad. Finora, non c'è un'unità d'attacco che possa attraversare il confine in qualsiasi momento».
Il fatto è che, come ricorda Kirill Strel'nikov su RIA Novosti, quelle di Dragone non sono che una delle varianti con cui le cancellerie europee vorrebbero impedire la fine inevitabile del loro progetto: i capitani degli “Eurotitanic”, in procinto di affondare, tentano ogni mezzuccio per rallentare in qualche modo l'avanzata dell'iceberg russo. «Questi furfanti hanno poche opzioni, le stanno valutando tutte e hanno già iniziato a metterne in atto alcune» e una di queste è quella di una “anonima guerra terroristica”.
Lo scorso marzo, ad esempio, il think tank americano CSIS (Center for Strategic and International Studies) nel rapporto "Russia's Shadow War Against the West", aveva delineato un piano dettagliato per le azioni della NATO nel caso in cui diventasse chiaro che la Russia sta vincendo. Letteralmente era detto: «I paesi dell'Alleanza dovrebbero sviluppare una sofisticata campagna offensiva contro la Russia: inasprimento delle sanzioni contro Mosca; operazioni informatiche offensive mirate contro obiettivi militari e commerciali russi di alto valore; operazioni di informazione e influenza contro la popolazione russa e i suoi partner, come la Bielorussia; e azioni più aggressive contro asset di valore per la Russia, come la sua flotta ombra... Ogni atto di sabotaggio deve essere eseguito in modo tale da rendere difficile dimostrare chi ci sia dietro». I recenti attacchi terroristici contro vascelli civili in acque internazionali, presumibilmente perpetrati dall'Ucraina, sono un esempio di come questi piani vengano attuati.
Ma, sostiene il signor Ettore Sequi su La Stampa del 2 dicembre, sono gli “attacchi ibridi” russi «che sono una vera guerra» e dunque le parole dell'ammiraglio Dragone rientrano nel quadro strategico attuale: vale a dire che quelle farneticazioni non costituiscono un semplice «cambio di tono, ma di logica: la guerra “sotto soglia” è ormai la strategia operativa di Mosca». Lo dice il signor Sequi, il quale assicura anche che «la Russia intensifica il taglio di cavi nel Baltico, le incursioni di droni su infrastrutture critiche, blocca gli aeroporti europei, compie attacchi cyber e usa la sua “flotta fantasma” in acque internazionali». Dobbiamo fidarci, se lo scrive un giornale come La Stampa, elevata negli ultimi giorni a martire della fede, dobbiamo accoglierlo come detto nei vangeli: le prove sono a carico dell'accusato. Di contro, il pubblico ministero può catechisticamente omeliare che «L’ordine europeo, normativo-difensivo, continua a credere che la stabilità derivi dalle regole, dalla prevedibilità e dal diritto internazionale», come ha ampiamente dimostrato con le bombe sulla Jugoslavia, con l'annullamento di elezioni finite con risultati sgraditi e via di questo passo.
Mentre, perdio, là nella selvaggia tajga dell'autocrazia asiatica, vige un «ordine russo, revisionista e asimmetrico», che ricorre a «guerra ibrida, sabotaggi e pressione psicologica» ai danni degli innocenti euro-liberali. Eccoci allora al dunque: «L’incompatibilità tra questi ordini impone scelte nette» e che diamine. Orsù dunque: attacchiamo e non se ne parli più e diciamo che si tratta di pura difesa. In fondo, chi vorrà negare che «L’Europa opera entro vincoli giuridici e democratici che Mosca non riconosce»? È un assioma: a ovest del Dnepr non c'è che “democrazia europeista”, anche quando a Kiev si ammazzano gli oppositori e si gettano in galera gli scomodi al potere nazi-golpista; a est, c'è solo “autocrazia asiatica”, puntello dittatoriale del diabolico “asse del male”. È una questione «identitaria. L’Europa si fonda sulla legge e sulla trasparenza; la Russia sulla loro erosione». Maledetti fuorilegge delle steppe.
Invece, nel giardino dell'eden europeista, si adottino strumenti paradisiaci per contrastare la “guerra ibrida” che punta «a logorare la fiducia dei cittadini, colpendo energia, servizi, continuità istituzionale» e contro quella “guerra ibrida” - per definizione: asiatico-autocratica – la «risposta deve essere integrata: un centro politico che unifichi intelligence, cyber, difesa, sicurezza interna e attori privati, trasformando le vulnerabilità in resilienza organizzata». Come? Cosa diceva il rapporto del CSIS su "Russia's Shadow War Against the West" citato sopra?. Ecco. Ed è ormai chiaro: la «Francia valuta nuove forme di leva; la Germania prepara piani di difesa contro un attacco convenzionale e, sottotraccia, si intensifica il dibattito sulla deterrenza nucleare». E perché dimenticarsi delle necessarie e urgenti misure atte a mettere in linea le coscienze perché smascherino il “nemico” ovunque si annidi: in strada, sui social. Avanti dunque a formare un'intera armata di “esperti” che, sul web, nelle aule scolastiche, nelle piazze, mettano alla meritata gogna ogni parola che non sia “resiliente”, che torni a pro del Cremlino, che avvantaggi le “interferenze straniere”.
Se dunque il ministro della guerra sostiene che «Nell’ambito ibrido conta più la percezione che la certezza: l’obiettivo non è solo colpire, ma instillare dubbio e insicurezza. La percezione pubblica di vulnerabilità, anche in assenza di prove definitive, produce effetti strategici pari – o superiori – a quelli di un attacco dichiarato», ecco che prontamente gli atti degli apostoli vergati a via Solferino o via Lugaro non perdono tempo: perché dilungarsi a cercare prove sulla “guerra ibrida” della autocrazia russa, quando basta scriverlo in maniera “resiliente” e la fede apostolica nella parola di Bruxelles fa il resto.
Gaglioffi della carta stampata agli ordini delle cancellerie belliciste euro-atlantiche.
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