Finanziaria 2026: austerità europea

di Federico Giusti e Emiliano Gentili

In base al Patto di Stabilità dell’Unione Europea il rapporto deficit/PIL di un Paese membro non deve superare il 3%. Questa regola avrebbe lo scopo di ridurre i valori assoluti del deficit, cioè del debito pubblico, e costituisce il mantra dell’austerità. A quanto pare, però, gli effetti reali non sono quelli attesi e l’effetto depressivo delle politiche di contenimento della spesa pubblica sull’economia e sui consumi sembra condizionare la crescita del PIL in negativo – contribuendo, quindi, non solo alla riduzione del deficit ma anche a quella del PIL.

In questo contesto, pertanto, non possono esservi manovre espansive – ossia che aumentino la spesa – a meno di rompere coi trattati UE: dopo il picco di deficit osservato nella pandemia, durante la quale le regole di stabilità erano state sospese, l’Unione ha riformato e rimesso in vigore il Patto e adesso sta obbligando i vari Paesi a rientrare entro il fatidico valore del 3%.

Il Governo Meloni ha ereditato l’8,6% del 2022, portato l’anno successivo a 7,2% e drasticamente ridotto al 3,4% nel 2024. Per il 2025 le proiezioni parlano di un leggero aumento, dovuto prevalentemente al rallentamento della crescita economica, e difatti è giunta puntuale una Raccomandazione da parte del Consiglio Europeo[1] che indica all’Italia di contenere il tasso di crescita nominale della spesa pubblica entro «l'1,3% nel 2025 e l'1,6% nel 2026». Il tasso è sempre crescente per via dell’inflazione e dell’aumento della massa degli investimenti, che sono caratteristici di un’economia capitalistica, per cui non ci si lasci ingannare e si pensi giusto a un fatto: nel 2023 – complici, ovviamente, i fondi PNRR – il valore era addirittura del 5,6%. Senza ottemperare alle indicazioni comunitarie il Governo Meloni perderebbe la possibilità di accedere ai nuovi fondi europei per la difesa (SAFE), che consistono prevalentemente in crediti e co-finanziamenti – dei quali Leonardo e Fincantieri, i due poli industriali più rilevanti nel settore militare nostrano, sarebbero i principali beneficiari.

In tutto ciò la Finanziaria 2026 è chiamata a programmare il rapporto deficit/PIL per i prossimi anni. Ebbene, i valori definiti sono del 2,8% nel 2026, del 2,6% nel 2027 e addirittura del 2,3% nel 2028: ben oltre quanto richiesto dall’Europa! Si consideri, poi, che fra le entrate di Bilancio sono stati ricompresi anche i fondi PNRR non spesi: questi ultimi, originariamente destinati in massima parte a infrastrutture di pubblica utilità, vengono spostati e destinati a copertura di altre spese effettuate, in maniera tale da ridurre artificiosamente il deficit. Per il 2026 stiamo parlando di 5,07 miliardi: ben fatto, Meloni!

Dulcis in fundo, nella nuova Finanziaria non sono state rinnovate le misure di calmieramento dei prezzi delle bollette. Queste, pur se in maniera insufficiente, avevano reso più sostenibile la spesa energetica delle famiglie durante gli ultimi anni, a partire dall’applicazione delle sanzioni alla Russia. Il motivo del mancato rinnovo è sempre lo stesso: tali misure erano state finanziate grazie alla sospensione del Patto di Stabilità, ma ora che è tornato in vigore vanno immediatamente abrogate.

[1] Consiglio Europeo, Raccomandazione del 21 Gennaio 2025, che rinnova la Raccomandazione del 26 Luglio 2024.

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