IRIB sotto le bombe: il crimine di guerra che svela l’ipocrisia occidentale

17 Giugno 2025 00:30 Fabrizio Verde


di Fabrizio Verde

L'ennesimo crimine di guerra si è consumato a Teheran sotto lo sguardo indifferente – se non complice - dell'Occidente. Il regime israeliano ha deliberatamente sganciato almeno quattro bombe sull'edificio centrale dell'Islamic Republic of Iran Broadcasting (IRIB), la televisione di Stato iraniana, mentre un telegiornale andava in diretta nazionale. Questo non è un attacco militare legittimo: è un assalto premeditato alla libertà d'informazione, un atto di terrorismo di Stato contro giornalisti in servizio, una violazione palese del diritto internazionale che grida vendetta.

L'orrore si è materializzato in diretta mondiale. Mentre la conduttrice Sahar Emami conduceva il notiziario, la prima esplosione ha fatto tremare l'edificio. Con un coraggio che inchioda alla vergogna gli aggressori, Emami è rimasta al suo posto. "Allah o Akbar", ha proclamato, trasformando lo studio televisivo in un simbolo di resistenza contro la barbarie. Poi, il fumo soffocante e la polvere di una seconda esplosione l'hanno costretta a una ritirata temporanea. Il suo ritorno è stato un atto di sfida alla barbarica violenza censoria dell’entità sionista: "Se muoio, altri prenderanno il mio posto e mostreranno i vostri crimini al mondo", ha dichiarato guardando dritto nell'obiettivo, mentre feriti tra il personale giornalistico segnavano il contorno tragico di questa aggressione calcolata. Israele, con cinismo disarmante, oltre alla certezza di non ricevere condanne dall’autoproclamato mondo libero e democratico, ha prontamente rivendicato l'attacco.

La condanna iraniana è stata unanime e categorica. Il Ministero degli Esteri ha bollato l'attacco come un "crimine di guerra", esortando l'ONU ad agire immediatamente. Il portavoce Esmaeil Baghaei ha denunciato su X: "Il mondo sta guardando: prendere di mira l'ufficio dell'agenzia di stampa iraniana #IRIB durante una trasmissione in diretta è un atto malvagio di crimine di guerra". Il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (IRGC) ha condannato il bombardamento definendolo "disumano, criminale e un atto terroristico". Anche il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha espresso profondo sgomento. Sara Qudah, rappresentante del CPJ per l'Asia occidentale, ha tracciato una linea diretta con il massacro di Gaza: "L'uccisione da parte di Israele, nell'impunità, di quasi 200 giornalisti a Gaza lo ha incoraggiato a prendere di mira i media altrove nella regione". Un monito agghiacciante sulla deriva criminale dell'impunità sionista.

Ed è qui che emerge la ripugnante ipocrisia dell'Occidente. Dove sono le condanne unanimi? Dove i titoli a caratteri cubitali? Dove le riunioni d'emergenza di NATO e UE? L'Occidente ha trattato questo vile attacco a una testata giornalistica – in pieno svolgimento di una diretta – con un distacco scandaloso. Una notizia tra le tante, analizzata con freddezza geopolitica, quasi una normalità accettabile. Basta con questa insostenibile doppia morale! Proviamo solo a immaginare il clamore, l'indignazione isterica, le sanzioni lampo, le mobilitazioni diplomatiche se l'Iran avesse bombardato uno studio televisivo israeliano durante un telegiornale in diretta, o se la Russia avesse colpito deliberatamente un'emittente ucraina in piena trasmissione. I media occidentali urlerebbero al "regime assassino" e alla "soppressione della verità", i governi parlerebbero di "crimine contro la democrazia" e violazione di "linee rosse". Le condanne sarebbero un coro unanime e feroce.

Perché allora questo silenzio complice quando la vittima è l'Iran? Perché questo trattamento asettico, quasi giustificatorio, quando il boia è Israele? Ecco il marcio nucleo della doppia morale occidentale: una gerarchia dell'indignazione che valuta le vittime non per l'atrocità subita, ma per la loro nazionalità e l'allineamento geopolitico del loro paese. La vita di un giornalista, il diritto all'informazione, l'inviolabilità di una redazione – principi che l'Occidente ostenta come sacri – evaporano quando a calpestarli è un alleato strategico. Il CPJ ha colto nel segno: l'impunità concessa a Israele per lo sterminio sistematico di oltre 250 giornalisti palestinesi a Gaza è stata la rampa di lancio per questa escalation criminale. Quando si uccidono giornalisti senza conseguenze, si normalizza l'indicibile.

L'attacco all'IRIB è un crimine odioso. Ma la reazione, o meglio la non-reazione, dell'Occidente è una complicità altrettanto odiosa. Smaschera un sistema di valori corrotto, dove i principi universali si piegano alla ragion di Stato e alle convenienze politiche. Sahar Emami, tra il fumo e le macerie, ha pronunciato una verità inoppugnabile: si può distruggere un edificio, ma non si uccide la verità che cerca di emergere. E la verità, oggi, è che l'Occidente volta deliberatamente lo sguardo quando i suoi alleati commettono crimini che condannerebbe con ferocia se fossero opera dei suoi nemici. Questa doppia morale non è solo ipocrita: è complice del sangue versato.

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