Nel gelido dicembre del 1890, sulle colline innevate del South Dakota, il vento ululava come un lamento ancestrale. Era il 29 dicembre, e ciò che i libri di storia chiamano "battaglia" fu, in realtà, un massacro. Circa 300 uomini, donne e bambini Lakota del ramo Miniconjou e Hunkpapa, guidati dal capo Big Foot, erano stati radunati in un campo vicino a Wounded Knee Creek. Disarmati, affamati, in fuga dalla disperazione delle riserve, imploravano pace.
Ma i soldati del 7° Cavalleria – di cui un terzo erano gli stessi che erano sopravvissuti a Little Bighorn, tra i quali il capitano Edward Settle Godfrey e almeno due ufficiali come il tenente S. R. H. Tompkins e il tenente James D. Mann – aprirono il fuoco. Mitragliatrici Gatling falciarono corpi innocenti nel panico. Il fiume si tinse di rosso, e le urla si mescolarono alla neve che cadeva, coprendo per sempre i sogni di un popolo. Sono passati 135 anni, ma quella ferita non si è mai rimarginata. Oggi riecheggia un'altra eco di ingiustizia: la conferma delle Medaglie d'Onore – il più alto riconoscimento militare degli Stati Uniti – assegnate a 20 soldati che parteciparono a quel bagno di sangue.
Una decisione che non è solo un capitolo di storia dimenticata, ma un pugno nel petto delle nazioni native, un rifiuto a riconoscere il dolore di generazioni. Immaginate la scena: madri che stringono i figli tra le braccia, mentre proiettili trafiggono la carne; nonni che, con le mani alzate, implorano misericordia in una lingua che i bianchi non capivano né volevano sentire. Il massacro di Wounded Knee non fu un "conflitto" isolato, ma l'epilogo crudele della "guerra indiana": la sistematica distruzione di culture millenarie per far spazio al "destino manifesto" americano.
Circa 250 Lakota persero la vita quel giorno, tra cui 146 donne e bambini, secondo stime conservatrici. Solo 25 soldati morirono, molti colpiti dal fuoco amico nel caos che loro stessi avevano scatenato. Per il loro "coraggio", nel 1891, il Congresso assegnò quelle medaglie. Passarono i decenni, e con l'alba del centenario, nel 1990, il Congresso emise una risoluzione esprimendo "profondo rammarico" per l’episodio di Wounded Knee, riconoscendolo per ciò che era: un massacro. Ma le medaglie?
Rimasero intatte, come trofei su uno scaffale polveroso, mentre le famiglie Lakota piangevano i loro antenati sepolti in fosse comuni. Il dolore, però, non tace.
Negli anni '80 e '90, attivisti nativi come i membri del Congresso Nazionale degli Indiani Americani (NCAI) iniziarono a lottare per revocarle. "Onorare chi ha partecipato al massacro di Wounded Knee con il più alto premio militare è incompatibile con i valori della Medaglia", dichiarò il NCAI in un comunicato recente, riecheggiando un grido che sale dalle praterie.
Nel 2024, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin ordinò una revisione, un barlume di speranza alimentato da risoluzioni del Senato che definivano l'evento un "massacro" e chiedevano riparazioni. Senatori come Elizabeth Warren, Jeff Merkley e Glenn Tokuda rinnovarono il combattimento nel 2025, introducendo un disegno di legge per revocare quelle medaglie, ricordando che "il Congresso le ha assegnate in nome suo, e può toglierle".
Ma il 26 settembre 2025, Pete Hegseth, il nuovo Segretario alla Difesa, ha spezzato quel sogno. "I soldati terranno le Medaglie d'Onore", ha annunciato, focalizzandosi su "condotte individuali" anziché sul massacro collettivo. Una decisione che ha scatenato un'ondata di indignazione nelle comunità native.
"È crudeltà, non onore. Ribadire queste medaglie oggi approfondisce solo l'ingiustizia", ha tuonato l’ex Segretario dell'Interno Deb Haaland, una donna Pueblo che porta nel sangue il peso di queste storie.
Il NCAI ha definito la scelta "incompatibile con i valori americani", mentre Larry Wright Jr., direttore esecutivo del NCAI, ha aggiunto con amarezza: "Celebrare crimini di guerra non è patriottico. Questa decisione mina la narrazione della verità, la riconciliazione e la guarigione che l'Indian Country e gli Stati Uniti ancora necessitano".
Le voci delle nazioni native si levano come un coro unanime di dolore e rabbia. "Le azioni a Wounded Knee non furono atti di coraggio e valore degni della Medaglia d'Onore. Non c'è niente che Hegseth possa fare per riscrivere la verità di quel giorno", ha dichiarato Janet Alkire, presidente della tribù Standing Rock Sioux.
Ryman LeBeau, presidente della tribù Cheyenne River Sioux, ha gridato: "Questo è uno dei giorni più bui dell'America e le medaglie devono essere revocate. Macchiano le Medaglie d'Onore americane. Non c'è onore nell'omicidio".
Frank Star Comes Out, presidente della tribù Oglala Sioux e veterano dei Marine, ha condannato la decisione come "spregevole, non veritiera e insultante per la Grande Nazione Sioux", aggiungendo: "Chiamare Wounded Knee una 'battaglia' disonora la verità, profana la memoria dei nostri parenti e insulta i veterani nativi americani che hanno combattuto e sono morti per questo paese dalla Normandia ad oggi".
"È straziante sapere che la verità reale là fuori viene sepolta di nuovo per guadagno politico", ha confidato OJ Semans, consigliere della tribù Rosebud Sioux, mentre Philip Deloria, professore di storia a Harvard e membro della Nazione Dakota, ha ammonito: "La proclamazione di Hegseth su questo riflette il modo in cui questa amministrazione pensa alla storia – come qualcosa che una persona può determinare attraverso una proclamazione magica. Saremo sempre qui per sconvolgere questa versione celebratoria e sanitizzata di un massacro disonorevole e sanguinoso".
Il NCAI ha ribadito: "Tale violenza spregevole non avrebbe dovuto essere lodata in primo luogo", e ha descritto la decisione come "profondamente preoccupante" perché "ignora la memoria storica di una battaglia descritta come 'brutale, non provocata e un massacro ingiusto dei Lakota da parte del 7° Cavalleria degli Stati Uniti'".
Sui social e nelle strade di Pine Ridge, le voci si alzano in cori di rabbia e lacrime: "Come possiamo fidarci di una nazione che onora i nostri carnefici?". Queste parole non sono solo eco del passato; sono il battito del cuore di un popolo che rifiuta di essere silenziato. Pensate ai sopravvissuti, come la giovane Lost Bird ( vedere nota in fondo), una neonata trovata tra i corpi, adottata da un capitano dell'esercito ma segnata per sempre dal trauma. O ai discendenti oggi, che visitano il sito – un luogo sacro, non un campo di battaglia – e sentono gli spiriti sussurrare: "Giustizia".
La conferma delle medaglie non è solo un atto burocratico; è un tradimento del "rammarico" del 1990, un velo su un razzismo che ancora infetta le vene della democrazia americana. Mentre il mondo celebra eroi, per i Lakota quelle medaglie sono catene: catene che legano il passato al presente, impedendo la guarigione. Eppure, in questo dolore c'è una scintilla di fuoco sacro. Le proteste crescono, i senatori persistono, e le nazioni native – resilienti come il vento delle praterie – non si arrendono. Wounded Knee non è solo una data; è un richiamo. Un invito a strappare quelle medaglie, a restituire dignità ai caduti, a tessere un futuro dove l'onore non sia macchiato di sangue innocente. Fino ad allora, il lamento del vento continuerà: "Ricordateci. Onorateci davvero". E noi, che ascoltiamo, dobbiamo rispondere.
Lost Bird, il cui nome Lakota è Zintkála Nuni (che significa "Uccello Perduto"), era una bambina di circa quattro mesi della tribù Lakota Sioux, sopravvissuta miracolosamente al massacro di Wounded Knee il 29 dicembre 1890. Fu trovata viva tra i corpi congelati delle vittime, nascosta sotto quello di sua madre, da soldati del 7° Reggimento di Cavalleria degli Stati Uniti. Adottata inizialmente dal generale Nelson A. Miles come simbolo di "riconciliazione" tra bianchi e nativi, fu poi data in affidamento alla moglie del generale Colby, crescendo in un mondo bianco che non le apparteneva pienamente. La sua vita fu segnata da un profondo senso di sradicamento: non si integrò né nella società bianca né in quella Lakota, affrontando abusi, matrimoni infelici e una ricerca ossessiva delle sue origini. Morì nel 1920 a soli 30 anni, sola e in povertà, a Washington D.C. Nel 1991, i suoi resti furono riportati a Wounded Knee e sepolti lì, simboleggiando il dolore e la resilienza dei "Lost Birds" – i bambini nativi strappati alle loro famiglie.
Qui il link al documentario “Lost Bird of Wounded Knee” di South Dakota Public Broadcasting (SDPB)
https://www.pbs.org/video/south-dakota-documentaries-lost-bird-of-wounded-knee/
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