Le manifestazioni di piazza degli operai fanno ben sperare

di Federico Giusti

Scioperi generali e non, presidi, cortei e proteste, le organizzazioni sindacali, non tutte ma quelle di base e la Cgil almeno si, percepiscono ormai la necessità del conflitto senza cui non riusciremo a tutelare anche le condizioni esistenti che non sono per altro ottimali tra erosione del potere di acquisto e incapacità di tutelare l'occupazione. Aziende e cooperative iniziano a dubitare del Governo Meloni, comprendono forse che non basterà tagliare le tasse per uscire dalla crisi, nel frattempo stanno arrivando lettere di licenziamento, richieste di ammortizzatori sociali, riduzioni orarie.
Il lavoratore indebitato che non arriva alla terza settimana del mese è ormai un lavoratore frustrato, depresso, scontento della sua prestazione e mortificato per i salari da fame.
Abbiamo toccato con mano nella Pubblica amministrazione come si materializza il bisogno formativo, attraverso corsi da remoto che poi sono lezioni registrate, ore e ore a ripetere un insieme di norme legislative senza suscitare interesse alcuno nel pubblico, senza coinvolgimento empatico, senza opportunità di approfondimenti e di prove pratiche successive alle lezioni.
I lavoratori pubblici, nell'esigere dei percorsi di aggiornamento, non si attendevano certo questa tipologia di corsi che, per le modalità di svolgimento, non aggiungono conoscenze effettive trasformando la formazione stessa in una farsa.
Non è sufficiente parlare in termini generici di formazione quando all'atto pratico il Ministero non mostra alcun interesse a utilizzare questi percorsi in strumenti utili al potenziamento della Pubblica amministrazione, all' arricchimento del bagaglio professionale e culturale dei singoli spingendoli ad andare oltre le prestazioni legate ai profili professionali. Siamo dinanzi al classico comportamento italico con il rapporto tra costi e benefici non preso in considerazione, si segue la moda del momento senza mai effettuare alcuna verifica.
Urge riflettere sulla crisi dell’attuale sviluppo italiano, sulla incapacità di cogliere limiti e contraddizioni, arretratezze del sistema produttivo e di quello scolastico fino all'università.
In una scuola tecnica siamo stati accolti da un aereo di 70 anni fa, se questo è il messaggio lanciato (venite a imparare come si smonta e si guida un caccia da guerra) ,a prescindere dalla offerta formativa prettamente militarista che indurrebbe all'immediato boicottaggio dell'istituto, quale effetto pensiamo di avere su giovani abituati a ben altra tecnologia?
Qualcuno da tempo chiede ai lavoratori di ragionare sul modello di sviluppo e sulla crisi climatica, sul modello industriale dei fossili e sulla transizione energetica, in altri termini si pretende dalla classe lavoratrice quel salto di qualità che intellettuali, vertici di partiti e sindacati non sanno neanche affrontare. I lavoratori dovranno porsi quesiti importanti ma una volta tanto vogliamo almeno salvaguardare il loro potere di acquisto facendoli ragionare prima di tutto sulla necessità di arrestare la erosione dei salari e delle pensioni?
Un vecchio vizio quello di girare attorno ai reali problemi non sapendo come affrontarli, se parliamo di politica industriale o di autonomia energetica vogliamo provare almeno a ragionare sul taglio dei finanziamenti alle comunità energetiche?
Davanti ai lacrimogeni lanciati contro gli operai siderurgici genovesi, la risposta è stata semplice e diretta: senza lavoratori non si fa la decarbonizzazione, senza i lavoratori della Pa non si difendono i servizi pubblici. Rimettere al centro la forza lavoro e i bisogni collettivi , è questa la soluzione e soprattutto la premessa da cui partire per ogni ulteriore iniziativa

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