Wolfgang Schauble su Faz scrive: "Con le proprie forze"

Wolfgang Schauble su Faz scrive: "Con le proprie forze"

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di Wolfgang Schauble*, 6 luglio 2020

Faz. TItolo originale: "Aus eigener Stärke”  - "Con le proprie forze":  https://www.faz.net/2.1652/gastbeitrag-wolfgang-schaeuble-aus-eigener-staerke-16846887.html


Quando i confini con i nostri vicini sono stati riaperti tre settimane fa, le persone hanno festeggiato in modo esuberante. Le scene sui ponti fra Kehl e Strasburgo o fra Francoforte sull’Oder e Slubice hanno segnato una svolta conciliante dopo settimane di shutdown in tutta Europa - innescate dal coronavirus, che finora ha ucciso più di centomila persone solo nel nostro continente. Nelle minacce esistenziali, le persone si aggrappano sempre a ciò che è più vicino.
 

All'inizio della pandemia, i cittadini cercavano sicurezza nelle persone più vicine, nella famiglia, nella comunità, nella regione, nel quadro dello stato nazionale. Quelli che dovevano prendere le decisioni, erano sottoposti a forti pressioni per adottare misure di vasta portata per la protezione della propria popolazione.


Il fatto che inizialmente [tali decisioni] fossero spesso non coordinate, ha gravato sulle relazioni di vicinato, tanto quanto il divieto di esportazione di aiuti medicali ha messo in dubbio la solidarietà europea. Abbiamo imparato da questi errori - perché nella crisi abbiamo avvertito che l'Europa è una comunità di destino [Schicksalsgemeinschaft] e che nel superamento di quella [crisi] siamo dipendenti gli uni dagli altri.


Il sociologo Ulrich Beck una volta si è lamentato del fatto che il sogno europeo "sbiadisce paradossalmente nella propria realizzazione". Nelle regioni di confine è diventato visibile che diamo facilmente per scontato ciò che sembra naturale. E che apprezziamo davvero le cose solo quando mancano: confini aperti! I cittadini hanno capito rapidamente quanto essi [i confini aperti] siano importanti e cosa significhi il contrario [dei confini aperti] per la loro vita quotidiana. Quanto abbiamo bisogno l'uno dell'altro: i colleghi di lavoro, il personale infermieristico, i vicini aldilà dei confini da tempo artificiali in Europa.


Il virus non è sconfitto, bensì probabilmente ci accompagnerà a ondate. Dobbiamo quindi imparare a convivere con il virus - e prepararci per pandemie potenzialmente più pericolose. È necessario un migliore accordamento [Abstimmung] dei paesi europei l’uno con l’altro, intese [Absprachen] affidabili sulle misure di sicurezza e, soprattutto nelle regioni frontaliere, un intervento [Vorgehen] coordinato. La pandemia mostra quanto sia vulnerabile l'Europa, pure in settori di importanza vitale, a causa della sua dipendenza dai mercati globali e dalle catene di approvvigionamento. Anche l'acquisto di semplici articoli medici come le maschere protettive per il naso e la bocca è diventato una sfida. Questa lezione dalla pandemia del coronavirus, può già essere tratta: l'Ue deve provvedere meglio ad essere nelle crisi maggiormente resistente e maggiormente sovrana. Deve essere fornita di una maggiore autonomia strategica, ad esempio attraverso la costruzione di catene di approvvigionamento alternative con più siti produttivi a basso costo per la diversificazione del rischio geografico. Ed è importante espandere la sovranità dell'Europa - in particolare nel settore sanitario – e - attraverso un migliore coordinamento nello sviluppo di vaccini, nuovi metodi di trattamento, test diagnostici e sistemi medici - rafforzare la capacità di resistenza europea.


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Le conseguenze della pandemia globale per l'economia, le società e l'ordine globale non sono ancora prevedibili. Noi Europei tendiamo a far riferimento al dopoguerra e pure occasionalmente ad abusarne. Gli Americani, al contrario, pensano al crollo della loro economia negli anni '30. L'economista Nouriel Roubini descrive la Grande Depressione [degli anni ‘30] come un "incidente al rallentatore" - nessun confronto con le onde d'urto innescate dalla pandemia [di oggi] con una recessione economica senza precedenti e decine di milioni di disoccupati nel giro di poche settimane. Roubini non nutre alcuna speranza in una rapida ripresa nell'economia globale.Sarebbe un caso di un crollo economico "andato troppo male", che neppure gli stimoli congiunturali da soli potrebbero invertire.


La Germania, che finora ha attraversato la crisi meglio di altri paesi, si vede in questa situazione tesa confrontata con grandi aspettative – tanto più che ha assunto il 1° luglio la presidenza dell'Ue. Sia il governo federale che il Bundestag devono cogliere le proprie speciali responsabilità di guida [Führungsverantwortung] e perciò è oggi cruciale anzitutto rafforzare l'Europa economicamente e stimolare attraverso idee creative una nuova dinamica che consentano all'Europa di affermarsi pure nel futuro nella competizione globale con le proprie forze.


Al contempo, dovremmo usare l'esperienza della pandemia, per chiederci: cosa abbiamo esagerato in passato? Dove dovremmo essere più moderati? Cosa possiamo fare di meglio per il futuro? Abbiamo ora l'occasione di riesaminare criticamente il nostro intero modello economico e correggere gli eccessi della globalizzazione, laddove questi ultimi hanno contribuito ai drammatici effetti della pandemia.


Pertanto, nel rivitalizzare i nostri sistemi economici, dovremmo assegnare un peso speciale alla loro sostenibilità sociale ed ecologica. Solo quando affronteremo realmente la nostra responsabilità nella lotta contro il cambiamento climatico e per la conservazione della diversità biologica, saremo in grado di essere all'altezza della nostra pretesa di contribuire a plasmare la globalizzazione in conformità con i nostri valori e le nostre idee di regolazione.


Il nostro modello occidentale non è più incontrastato. La Cina, in particolare, sta promuovendo sicura di sé il proprio modello di efficienza statale e capacità di gestione, sebbene al prezzo di una struttura di potere totalitario e del totale controllo degli individui. Nella concorrenza globale dei sistemi, noi Europei garantiremo la nostra rilevanza solo se dimostriamo che lo speciale modello europeo è utile anche per il XXI secolo: l’unione di libertà e giustizia sociale, di progresso e sostenibilità, di democrazia, stato di diritto e diritti umani universali.


Al fine di convincere i propri cittadini ed al fine di diventare più capace di agire a livello globale, l'Europa deve riformarsi urgentemente. Crisi si sono manifestate all'interno dell'Ue molto prima della pandemia. L'Europa sembrava spesso essere parte del problema piuttosto che parte della soluzione. L'esperienza ha insegnato: cambiamenti in Europa sono difficili da imporre, senza la pressione di una grave crisi, che apre nuove possibilità di intervento e aiuta a superare gli ostacoli. Le forze nazionali di conservazione [Nationale Beharrungskräfte] si dimostrano continuamente troppo forti. Ciò ha accompagnato il processo di integrazione sin dall'inizio, e la reazione ad essa è stata parte (sin dal fallimento della Comunità Europea di Difesa nel 1954 nell'Assemblea nazionale francese) quasi della natura del processo di unificazione europea: Fintanto che non riusciamo a compiere importanti passi di integrazione (che sono ritenuti necessari ma non ancora in grado di raccogliere il consenso della maggioranza), procediamo per piccoli passi - nell'aspettativa che essi attraggano ulteriormente nella direzione desiderata, in breve: il principio della ‘ever closer union’. L'idea ha plasmato la formazione del Trattato di Roma, e lo leggiamo nel preambolo del Trattato Ue del 1992, che parla del "processo di creazione di un'Unione sempre più stretta dei popoli d'Europa".


A quel tempo, il principio trovò applicazione nella introduzione della moneta unica europea. Ci si accordò, dopo una dura lotta, per dare inizio all'unione monetaria nell'aspettativa che ulteriori passi verso l'unione economica sarebbero seguiti. Ciò non è accaduto. Mentre la politica monetaria nell'eurozona è stata è stata comunitarizzata, la politica economica è rimasta una responsabilità nazionale. Quanto a ciò, ad avvertire che l'unione monetaria senza un equivalente politico sulla durata non sarebbe sostenibile, non sono stati solo gli economisti. La sentenza della Corte costituzionale federale sugli acquisti di obbligazioni di Bce getta una luce su questo difetto di costruzione del Trattato di Maastricht [Konstruktionsfehler des Vertrags von Maastricht]. Quanto a ciò, sin dalla crisi dell'euro, pure l'ultimo arrivato ha capito che abbiamo bisogno di una politica economica e finanziaria comune [eine gemeinsame Wirtschafts- und Finanzpolitik], al fine di stabilizzare in modo duraturo la valuta comune. Io sono inoltre convinto che oggi saremmo in Europa molto più avanti, se nella crisi della Grecia del 2010 si fosse imposta l'idea di istituire un Fondo Monetario Europeo.


È un insolubile dilemma, che l'idea di una ‘ever closer union’  tocchi continuamente i propri limiti – epperò, sulla base dei trattati esistenti, il principio dei piccoli passi non può essere evitato. Già in quel tempo, si è discusso intensamente su come gli strumenti, le regole e le procedure esistenti nella politica finanziaria economica e sociale possano essere utilizzati in modo più efficace oppure migliorati.


Ma io credo che, non da ultimo alla luce della presente crisi, presso molti si sia imponga l’idea che, quanto meno in settori politici chiave, dovremmo finalmente compiere passi in avanti sostanziali.


A tal proposito, mi appare obbligatorio che – dal momento che gli Stati Uniti, nostro partner nell'alleanza transatlantica, sempre più si ritirano dal loro ruolo di fondatore dell’ordine globale - l'Europa debba
molto più di prima assumersi responsabilità nel mondo e per la propria sicurezza. Ciò comprende pure la disponibilità ad impiegare in ultima analisi la forza militare, quanto meno di poter minacciare di usarla. Rafforzare l'identità di difesa europea [Verteidigungsidentität] in questo senso richiede il superamento degli ostacoli nazionali autoimposti - anche e soprattutto in Germania. Il fatto che la Brigata franco-tedesca sino ad oggi non sia andata in missione, ha a che fare non da ultimo con il fatto che la Francia non può dare inizio ad alcunché con le regole del nostro ‘esercito parlamentare’ [Parlamentsarmee – intende che l’impiego della forza militare è in Germania soggetto alla autorizzazione del Bundestag].


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Soprattutto, oggi ci vuole il coraggio, che nella crisi del 2010 non abbiamo avuto, per finalmente giungere ad una maggiore integrazione nella zona euro. Non dobbiamo perdere di nuovo l'occasione, ma dobbiamo sfruttare con decisione la ‘disruption’ [in inglese nel testo], per trasformare, attraverso il Recovery Fund [Europäischen Wiederaufbaufonds - Fondo europeo per la ricostruzione], l'unione monetaria in un'unione economica. Il dibattito in corso è decisamente troppo miope, perché gira prioritariamente intorno ad aspetti del finanziamento, ad esempio se i pianificati aiuti saranno erogati come sovvenzioni o prestiti. Al contrario, dovremmo portarlo [il dibattito] con assai più forza sul tema di cosa vogliamo concretamente fare per far comunitariamente avanzare l'Europa. Qui, per me, la proposta della Commissione europea non è andata lontano abbastanza. Anche se l'attuazione delle misure spetta ai singoli governi, è necessario a livello europeo un dibattito aperto su per quali progetti comunitari debbano negli Stati membri essere utilizzate le enormi risorse finanziarie, nonché su come garantire con rigidi orientamenti un uso efficiente dei fondi. Contrariamente a quanto credono alcuni economisti, la crescita economica non avviene semplicemente perché gli stati spendono quanti più soldi possibile. Nella intensificata concorrenza globale, deve trattarsi di accelerare, con investimenti mirati, la trasformazione verso un'economia digitalizzata basata sulla conoscenza in tutta Europa. In tal modo, le economie europee diverranno più produttive e più innovative e offriranno maggiore sicurezza per il futuro.
 

Non mancano le idee - nemmeno quelle che scuotono, come quella che il mio pari grado francese e io abbiamo indicata con la nostra proposta per una sorta di nuovo piano Schuman: Per annunciare, accanto ai grandi compiti di sostenibilità ambientale e di protezione del clima, la nostra padronanza delle tecnologie del futuro così come la complessiva sicurezza del continente, un decennio di investimenti nel rafforzamento della nostra capacità di resistere.


La sovranità europea è essenzialmente una questione di possibilità economiche e tecnologiche. Home-office e Home-schooling ci hanno dimostrato, che le reti di dati sono la nostra ancora di salvezza digitale. Il futuro dell'Europa qui non sta né nello "Anything goes" della Silicon Valley, né nello "Social Scoring" di tipo cinese. Al contrario, è necessaria una via europea indipendente, che bilanci saggiamente le possibilità tecnologiche e le nostre idee di valori. L'Europa deve stabilire norme e pure applicare – dalla vita pubblica guidata dagli algoritmi alla sicurezza dei dati personali. Con la direttiva sul diritto d'autore, il regolamento generale sulla protezione dei dati e il pacchetto digitale, la Ue ha fatto conoscere il proprio disegno regolatorio. A lungo termine, il nostro successo dipenderà dalla capacità di competere a livello globale con tecnologie chiave come l'intelligenza artificiale.


Perciò abbiamo bisogno, oltre che di reti europee veloci e meglio sviluppate, di attori competitivi a livello globale – insieme alle competenze proprio dell'Europa orientale in questo campo. Il diritto europeo della concorrenza dovrebbe pertanto, ove necessario, essere adattato, al fine di rafforzare, attraverso le fusioni di imprese, la forza innovativa delle imprese e della scienza basate in Europa. Al fine di consentire [l’esistenza di] campioni europei in settori quali, ad esempio, le comunicazioni, l'aviazione o i servizi di pagamento.


Soprattutto, dovremmo, nello spirito del ‘Green Deal’ [in inglese nel testo], tenere d’occhio l'approvvigionamento energetico. L'Accademia Nazionale delle Scienze Leopoldina ha recentemente presentato (nel suo contributo per la Presidenza tedesca del Consiglio [Europeo]) proposte di vasta portata per la transizione energetica e la neutralità climatica in Europa - e (con raccomandazioni sullo sviluppo e l'espansione delle tecnologie dell'idrogeno) ha pure mostrato come investimenti nell'energia sostenibile fossero da collegare con l'assunzione di una maggiore responsabilità dell'Europa a vantaggio delle regioni all’Europa geograficamente vicine. Dopotutto, l'idrogeno da vento e sole potrebbero essere prodotti a basso prezzo negli stati del Nord Africa e del Vicino Oriente, il che andrebbe a beneficio del nostro fabbisogno energetico e del pari aprirebbe ai nostri vicini nuove urgentemente necessarie opportunità di sviluppo.


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L'intensificazione della nostra cooperazione con i Paesi a noi più geograficamente vicini è necessaria in quanto la migrazione [die Migration] con il coronavirus è sì uscita dall’attenzione dell'opinione pubblica, ma non ha perso nulla della sua esplosività, tanto per la sicurezza interna e la stabilità dell'UE, quanto per la sua credibilità come comunità di valori [Wertegemeinschaft]. Abbiamo bisogno di una legge europea comune in materia di diritto di asilo [Asylrecht] con standard uniformi e procedure di riconoscimento praticabili - e anche di capire che le tensioni in materia di politica dei rifugiati [Flüchtlingspolitik] non possono essere risolte unicamente per la via giuridica.
 

Il tentativo di imporre quote di accoglienza obbligatorie [verpflichtende Aufnahmequoten] mediante una decisione a maggioranza in seno al Consiglio, ha non pacificato bensì esacerbato il conflitto. Troviamo compromessi politici, se riconosciamo legittima la prospettiva dell'altra parte e non dichiariamo che le nostre idee sono la misura di tutte le cose.


Abbiamo bisogno di iniziative comunitarie per la protezione delle frontiere esterne europee nonché delle persone su entrambi i lati di queste frontiere, in particolare per il dilemma del salvataggio marittimo nel Mediterraneo, al quale siamo umanitariamente impegnati, consapevoli di incoraggiare così un cinico traffico di immigranti illegali. Per me, le soluzioni pragmatiche includono centri di soccorso e asilo al di fuori dell'UE, nei quali noi garantiamo umane condizioni di vita e che noi dobbiamo proteggere - ad esempio sotto l'egida delle Nazioni Unite, ma anche attraverso l'impegno civile e militare dell'UE. Ad una tale missione, sicuramente parteciperebbero anche quegli stati, i quali sinora hanno rifiutato di partecipare alla ripartizione dei migranti [Migranten].


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I cittadini si aspettano dalla Ue istituzioni forti, funzionali e democraticamente legittimate con competenze comprensibili [mit nachvollziehbaren Kompetenzen], per decidere ciò che può essere deciso unicamente a livello europeo. La Conferenza sul futuro dell'Europa offre l'opportunità, di uscire dal metodo della costante riparazione [dei guasti esistenti] - almeno se siamo pronti a imparare dagli errori della fallita Convenzione Costituzionale del 2003 e a concentrarci su essenziali chiarificazioni delle competenze [wesentliche Kompetenzklarstellungen], invece di aspirare subito ad una nuova fondazione della Ue.
 

Gli ostacoli politici interni per cambiamenti del trattato sono oggi altrettanti elevati che ai tempi della Convenzione, se non più elevati. Ma non dovremmo per paura di fallire non rischiare per nulla la prova? Se i progressi senza modifiche al trattato non possono essere ottenuti così rapidamente, un gruppo di volonterosi [ein Kreis von Willigen – A Group of Willings] in determinate politiche dovrebbe procedere a livello intergovernativo - sebbene [l’accesso a] questo gruppo debba essere sempre aperto ad altri. Una simile integrazione a più livelli non è priva del rischio di approfondire ulteriormente le divisioni esistenti. Ma parimenti riduce il potenziale che alcuni Stati rallentino necessari passi di integrazione o che siano messi in minoranza su questioni internamente delicate. Se l'Ue acquisisse in materia di politiche importanti e percepibili potere di iniziativa e capacità di agire, la fiducia nell'Unione aumenterà.


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È altrettanto chiaro pure che: dove i debiti europei siano contratti con scadenza oltre il quadro finanziario pluriennale, abbiamo bisogno pure di risorse europee proprie, ad esempio nella tassazione degli strumenti finanziari ad alto rischio, la quale soprattutto ha senso solo a livello europeo. Pure la tassa digitale, alla luce della resistenza degli Stati Uniti, avrà successo solo come progetto europeo comunitario. Per quanto riguarda il Green Deal europeo, diventa rilevante la tassazione dell'energia. La direttiva sulla tassazione dell'energia della Ue dovrebbe in ogni caso essere aggiornata in modo rispettoso del clima - perché allora non europeizzare almeno parzialmente europeo gli introiti da essa derivanti? E perché non creiamo sistema europeo di scambio di quote di emissioni della un prezzo minimo effettivo di CO2 e non trasferiamo le entrate al bilancio europeo? A dipendenza del disegno, non sarebbe nemmeno necessario modificare i trattati europei. Conoscete già lo strumento della cosiddetta cooperazione rafforzata di alcuni Stati membri o il passaggio volontario a decisioni a maggioranza in determinate materie. Non sono infatti necessarie nuove procedure - è richiesta, soprattutto, la volontà politica di utilizzare coerentemente gli strumenti esistenti.
 

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Maggiori entrate fiscali, inevitabilmente spingerebbe per un rafforzerebbe del Parlamento europeo. Perché lì deve essere curata la legge di bilancio. Tuttavia, al Parlamento europeo mancano ancora i classici diritti parlamentari: un diritto di iniziativa, ad esempio! Il monopolio della Commissione è da lungo tempo non più conforme ai tempi. Necessitano di una riforma pure le elezioni per il Parlamento europeo, che si svolgono negli Stati membri conformemente alle rispettive leggi elettorali nazionali. Importante componenti di un diritto di voto uniforme su scala europea potrebbero essere le liste transfrontaliere, che prevedano quote per i singoli Stati. Ciò rafforzerebbe il Parlamento e allevierebbe lo spesso lamentato deficit democratico della Ue. Una legge elettorale europea sarebbe un importante passo verso partiti europei, le campagne elettorali europee e una sfera pubblica europea. Con la nomina degli ‘Spitzenkandidat’ c'era già un approccio promettente, che tuttavia non è stato seguito in modo coerente dopo le ultime elezioni europee. Se il Parlamento europeo avesse appoggiato con determinazione i candidati vincitori, i capi di Stato e di governo non avrebbero potuto ignorare il suo voto. I deputati si sono lasciati portar via la decisione dalle mani, in tal modo sprecando una opportunità di istituzionalizzazione. Oltre a maggiori diritti, il Parlamento europeo ha bisogno anche di maggiore fiducia in sé stesso – le due cose si influenzano e sostengono a vicenda.
 

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Per il successo di tutte le iniziative di riforma, la leadership congiunta strettamente coordinata di Germania e Francia rimane centrale. L'iniziativa del Cancelliere e del Presidente francese lo sottolinea.
 

Ma tutti portiamo la responsabilità per un'Europa comune: a Berlino e Parigi, così come a Budapest o Varsavia. La campagna elettorale presidenziale polacca mostra proprio quanto vivacemente pure i nostri vicini stiano dibattendo circa il ruolo che vogliono svolgere in Europa. Dovremmo incoraggiarli [ad entrare] nel giro dei grandi Stati membri, soprattutto dopo l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue. la guerra fredda ha cementato Oriente e Occidente in Europa. È stata a lungo storia, ma la divisione continua - e supereremo i fossati solo se conosciamo meglio la prospettiva reciproca e siamo sempre disposti a ragionarci.


Ciò include riconoscere, in tempi di sovranità divisa, gli stretti legami nazionali, come essi sono divenuti chiari nella pandemia del coronavirus. Le persone sono più attaccate alle comunità consuetudinarie, di quanto non si identifichino con le nuove. Per questo chi vuole far avanzare l'Europa deve essere prudente. Nazione ed Europa non devono essere giocate l’una contro l’altra.


Tuttavia, è anche chiaro: che nessuno stato-nazione europeo sarà in grado di affermarsi da solo nella competizione globale e nessuno sarà in grado di affrontare da solo le enormi sfide del nostro tempo.

La comunità europea di destino [europäische Schicksalsgemeinschaft] si forma proprio in tempi di crisi. Le identità non sono scolpite nella pietra, possono cambiare a seguito di prove superate insieme. Se ci riesce di emergere più forti dalla crisi attuale, esiste quindi la possibilità di un'identità europea maggiormente resistente, che non cancelli le identità nazionali, ma le completi: un sentimento di appartenenza [Zusammengehörigkeitsgefühl] che si nutra delle comuni radici storiche e fondamenta culturali, così come della consapevolezza che i principali compiti globali - stabilità economica, sostenibilità, digitalizzazione, sicurezza, asilo e migrazione - possono essere superati solo insieme.

 

*L'autore è membro della CDU e presidente del Bundestag.

(Traduzione di Musso)

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