Arkadij Babcenko, ennesimo giornalista ucciso in Ucraina. E parte la propaganda Nato del "Ha stato Putin"

Arkadij Babcenko, ennesimo giornalista ucciso in Ucraina. E parte la propaganda Nato del "Ha stato Putin"

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di Fabrizio Poggi

 

Ennesimo assassinio di un giornalista nel paese in cui UE, USA e NATO quattro anni fa hanno imposto la loro democrazia. A Kiev ieri sera, sulla porta di casa, è stato ucciso con alcuni colpi di pistola alla schiena il giornalista russo Arkadij Babcenko, 41 anni, corrispondente di Moskovskij Komsomolets, Novaja Gazeta e collaboratore della TV centrale russa. Babcenko, che si occupava principalmente del conflitto tra Georgia e Ossezia meridionale per il canale tataro ATR, aveva lasciato la Russia dopo alcune – a dir poco ambigue - prese di posizione a proposito dell'incidente del Tu-154, nel dicembre 2016, che era costato la vita, tra l'altro, all'intero coro dell'Armata Rossa.
 

Dopo aver soggiornato a Praga, si era infine trasferito a Kiev. Tra le file parlamentari di Russia Unita, insieme allo sconcerto per l'ennesimo omicidio, si ricordano anche i suoi aperti atteggiamenti russofobi. RIA Novosti scrive che, appena poche ore prima dell'omicidio, la polizia ucraina aveva perquisito l'appartamento di Babcenko, ma non è dato sapere in cerca di cosa.
 

Nemmeno il tempo di portare il cadavere all'obitorio, che il solito Anton Gerascenko – che sul suo sito “Mirotvorets”, a uso e consumo dell'Isis, pubblicava nomi e dati dei piloti russi in Siria – ripeteva il ritornello del “ha stato Putin”. Guarda caso, però, l'omicidio ha preceduto di poche ore la seduta del Consiglio di sicurezza ONU sul Donbass in cui, come è prevedibile, Kiev, Washington e Bruxelles torneranno a parlare di “invasione russa del territorio ucraino”.
 

RIA Novosti ricorda come l'assassinio di Babcenko vada ad aggiungersi a quello del collaboratore di “Sportanalytic” Igor Kostenko, nel 2014, durante la sommossa di majdan; sempre nel 2014 era caduto il reporter di Vesti, Vjaeslav Veremij. Stessa sorte nel 2015 per il giornalista ucraino d'opposizione Oles Buzina. Nel 2016, nel centro di Kiev, saltò in aria nella propria auto Pavel Seremet, ex collaboratore della TV russa. Questo, senza contare tutti i giornalisti, russi e non, caduti sul fronte del Donbass: l'italiano Andrea Rocchelli e il suo collaboratore Andrej Mironov,  i russi Igor Korneljuk e Anton Vološin (della cui morte era accusata la pulzella dell'Occidente Nadežda Savch?enko; poi eletta deputata alla Rada e ora finita in carcere, anche lei, per “tradimento della patria”, dopo alcune esternazioni per la pace nel Donbass) e Andrej Stenin. Sorte meno tragica, ma in ogni caso indicativa del regime con cui anche le italiche istituzioni repubblicane non esitano a stringere accordi, è toccata negli ultimi anni in Ucraina anche ad altri giornalisti che, nel migliore dei casi, sono stati espulsi dal paese. Poco più di una settimana fa era stata perquisita la redazione di RIA Novosti a Kiev e il capo redattore, Kirill Višinskij, arrestato con l'accusa di “tradimento della patria”. Con la stessa accusa, nell'agosto 2017, arrestato Vasilij Muravitskij. Nel 2015 arrestati Dmitrij Vasilets e Evgenij Timonin, condannati nel settembre 2017 a nove anni di carcere con l'accusa di “separatismo”, misura commutata in appello, nel febbraio scorso, in quella degli arresti domiciliari. Igor Gužva, ucraino, caporedattore di “Strana.ua”, nel febbraio scorso ha chiesto asilo politico in Austria. Richiesta di asilo politico alla UE (?!) anche da parte del pacifista Aleksandr Medinskij, inizialmente rapito da un gruppo nazionalista, dopo che i suoi dati erano pubblicati su “Mirotvorets”. Ruslan Kotsaba, iniziale sostenitore di Porošenko, accusato di “tradimento della patria” dopo aver pubblicato, nel 2015, un reportage dal Donbass dal titolo “Sono contro la mobilitazione”, in cui esortava i giovani a non rispondere alla leva. Vitalij Didenko e Elena Gliš?inskaja, condannati con l'accusa di separatismo sulla questione della cosiddetta Rada popolare di Bessarabia e, dopo un anno di carcere, espulsi verso la Russia e scambiati con Gennadij Afanasev e Jurij Sološenko.
 

Sorte decisamente migliore va a quei servitori del regime che ossequiano la nuova “legalità” golpista. Ultimo, in ordine di tempo, il conduttore del canale “ZIK” Ostap Drozdov che, dopo aver espulso in diretta dallo studio il giornalista Jurij Romanenko, che si era rifiutato di parlare nella “lingua di stato”, ha poi esternato su feisbuc il proprio credo con “Tutto il sistema dell'istruzione primaria deve essere indirizzato a far sì che in Ucraina non ci sia un solo bambino che non conosca l'ucraino e non sappia usarlo. Tutte le elementari e le medie devono essere organizzate per quest'obiettivo. Dalla faccia del mio paese devono scomparire i bambini russofoni”. Secondo Drozdov, è ammissibile che ci siano bimbi bilingue o trilingue, ma “i monolingua russa devono scomparire in quanto tali”, oppure emigrare in Russia.
 

L'alternativa, evidentemente, per i golpisti di Kiev e i loro telepennivendoli, è quella della sorte riservata alla popolazione civile del Donbass. Solo negli ultimi cinque mesi sono state registrate oltre centomila violazioni al cessate il fuoco e il risultato – e questi sono solamente i dati ufficiali registrati dalla missione OSCE, non esattamente fatta di osservatori imparziali – è stato di 107 civili uccisi, la maggior parte sotto i bombardamenti ucraini, oppure saltati in aria su mine. Novorosinform scrive che 9 persone sono rimaste uccise nella DNR solo nell'ultima settimana.
 

Nell'Ucraina eurogolpista, o si obbedisce agli ordini emanati da Bruxelles e Washington ed eseguiti dai “demoputschisti”, oppure...

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