Attacco della Turchia alla Siria: ormai lo storytelling che ha occupato l'informazione sulla Siria non regge più nel confronto con la realtà

Attacco della Turchia alla Siria: ormai lo storytelling che ha occupato l'informazione sulla Siria non regge più nel confronto con la realtà

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Dopo l’attacco unilaterale della Turchia nel nord della Siria, lo scenario mediorientale si è ulteriormente trasformato: gli analisti e gli osservatori sono entrati in crisi, giornalisti presenti nella zona senza il visto governativo hanno dovuto repentinamente lasciare i luoghi di informazione, le istituzioni internazionali si sono lanciate in dichiarazioni deboli e imbarazzanti come ad esempio le minacce di interrompere le forniture militari alla Turchia. Gli attori coinvolti nel conflitto hanno aperto nuove alleanze, disegnando in questo modo una prospettiva fino a pochi giorni addietro impensabile. Il mondo dei media si è trovato in grandi difficoltà, i soliti commentatori che in questi anni hanno portato avanti una visione di parte e senza fondamento nella realtà, annaspano confondendo sigle e fatti. Insomma ci troviamo di fronte al classico cortocircuito mediatico da cui è difficile uscire se non si usa il buon senso. Ormai la narrativa storytelling che ha occupato l’informazione sulla Siria, non regge più nel confronto con la realtà che improvvisamente è venuta fuori con la campagna militare turca. Sono crollati i capisaldi del copione, che ha cercato in tutti i modi di sotterrare a forza di calunnie e gogne mediatiche quanti non hanno voluto allinearsi alle loro indicazioni. Sono state create “categorie” di riferimento, stigmatizzando le voci dissidenti come “collusi con il regime”, e via dicendo. Nonostante questa fortissima picconata, salutata come uno shock salutare all’informazione, ancora si notano resistenze che risultano anacronistiche e poco credibili. Ad esempio: improvvisamente in Siria gli "osservatori" diventano fonti non attendibili, in quanto non è "stato possibile verificare la fonte in maniera indipendente”. Passi notevoli, se consideriamo che Repubblica censurò un articolo dove veniva messa in dubbio l’attendibilità del famoso Osservatorio Siriano per i diritti umani.

 

Procediamo gradualmente esaminando i fatti delle ultime giornate, che hanno avuto il loro fulcro nell’accordo tra la parte curda e il governo siriano con la mediazione Russa. Come annota Angelo Gambella, “le trattative politiche tra curdi e Damasco sono andate avanti per mesi, a singhiozzo. Protagonisti il Pyd, partito politico di cui l’Ypg è l’ala armata, e i consiglieri vicini al presidente Bashar al-Assad. Il punto di partenza era evitare la disfatta di Afrin attraverso un compromesso che salvaguardasse la piena autonomia curda e la partecipazione alla gestione delle risorse petrolifere massimamente presenti proprio nel sud est del paese, dove si erano spinte le forze curde appoggiate dalla coalizione Usa. L’offensiva della Turchia lungamente pianificata, e il ritiro disposto dagli Usa ha accelerato i contatti tra le due parti attraverso i rispettivi comandanti militari”. Il quadro esposto è rafforzato dalle dichiarazioni via twitter del presidente Americano che torna a ribadire il suo no a un intervento militare Usa dopo l'attacco sferrato dalla Turchia ai curdi in Siria: "Lasciamo che la Siria e Assad proteggano i curdi e combattano la Turchia per la loro terra. Chiunque voglia aiutare la Siria a proteggere i curdi va bene per me, che sia la Russia, la Cina o Napoleone Bonaparte. Spero che tutti facciano bene, noi siamo a 7mila miglia di distanza”. Intanto nella giornata di oggi, un comunicato della Casa Bianca, definisce che le sanzioni decise contro la Turchia riguardano i dazi sull’acciaio e la sospensione dell’accordo economico da 100 miliardi di dollari. Nella nota, viene precisato il ritiro delle truppe, tranne “un piccolo contingente nella strategica base di Al Tanf nel deserto meridionale della Siria”. Questa base, nel tempo è servita agli americani come punto di osservazione e di addestramento per le famose forze di contrasto all’ISIS, che oggi sono diventate alleate della Turchia per combattere contro gli abitanti della zona.

 

Definire le operazioni turche, un attacco ai curdi, è semplicemente riduttivo. In ballo c’è qualcosa di più oscuro e terribile. Il progetto ottomano è un sogno sempre a portata di mano. Nelle ore concitate della chiamata alle armi, i miliziani del Free Syrian Army -il famoso esercito tanto acclamato dall’occidente e dal mainstream in funzione antigovernativa che avrebbe dovuto portare la libertà-, supportati dalla Turchia urlavano: “Andremo a liberare i nostri fratelli in prigione”, riferendosi ai prigionieri dell’Isis, che fra le altre cose sono fuggiti dai campi di detenzione a causa del repentino allontanamento delle guardie trasferite nel campo di battaglia. A questo punto è opportuno fare un altra precisazione: nel 2015 - scrive Marco Gombacci (in pieno conflitto siriano), “il presidente turco aprì la cosiddetta “autostrada del jihad”, cioè delle vie di transito per le migliaia di foreign fighter che avessero voluto raggiungere l’Iraq e la Siria per arruolarsi con il Califfato. La Turchia si è resa anche tristemente nota per aver bloccato qualsiasi aiuto ai curdi siriani durante l’assedio di Kobane, arrivando addirittura al supporto di milizie appartenenti alla galassia jihadista con il tentativo di continuare a destabilizzare la Siria per provocare la caduta di Assad”.

 

La memoria corta non aiuta e nemmeno le sviste informative! Improvvisamente, il mainstream che aveva costruito l’informazione mitologica su questo esercito siriano libero, si è trovato in difficoltà. Da amici a cui era tollerato tutto, anche i fatti più criminosi in nome della libertà, ora sono diventati i peggiori nemici della pace e della sicurezza, in quanto si sono resi conto che il FSA, combatte contro quelli che erano i loro alleati. Chissà se avranno il coraggio di fare un mea culpa sincero e restituire la dignità alle persone e alle istituzioni che hanno denigrato e colpito ingiustamente.

 

Il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, Mons. Georges Abou Khazen, per la testata asianews, descrive la situazione in modo chiaro: “viviamo in un contesto di grande preoccupazione per quanto sta succedendo, a causa dell’invasione turca nel nord-est. Abbiamo già decine di migliaia di profughi, e sono molte le storie di persone uccise sul campo in modo orribile, secondo le modalità di Daesh, con le mani legate e giustiziati”. Fra le vittime, vi sono non solo curdi, ma pure cristiani armeni, assiri, caldei che hanno già conosciuto la persecuzione ai tempi dell’impero ottomano e che oggi investe nipoti e pronipoti. Nei bombardamenti a Qamishli le prime vittime sono state proprio due cristiani” e se i turchi avanzano nell’offensiva molti altri cercheranno di scappare innescando un nuovo esodo. Emerge con lucidità sconcertante che i gruppi jihadisti e miliziani anti-Assad sono parte integrante delle milizie di terra stanziate dal presidente turco Erdogan, il quale, sulla carta, afferma di combattere il terrorismo e di voler eliminare l’Isis, poi di fatto sul terreno ne favorisce la ripresa. C’è ancora di più, come denunciava via social la Iraq Christian Foundation: “durante i primi giorni di battaglia, le YPG si nascondevano intenzionalmente nelle città cristiane siriane nel nord-est, piuttosto che nelle città curde, affinché le città cristiane fossero bombardate”.

 

I primi cristiani uccisi nei bombardamenti turchi a Qushmili, sono il risultato della propaganda compiuta in preparazione all’invasione attraverso un giornale islamista a firma di Yeni Akit: “agli infedeli, l’esercito del (profeta dell’Islam) Muhammed è tornato”. Dunque uno degli obiettivi, è quello di distruggere la convivenza nel nord della Siria per affermare la creazione di uno stato religiosamente (quasi) puro. Eppure questi aspetti i media non li hanno accennati, ne hanno messo in guardia l’opinione pubblica dai pericoli che scaturiscono da questa incursione militare. Abbiamo tanti opinionisti, pochi giornalisti! Secondo voi, in questo contesto così cruciale e drammatico, come è possibile spostare l’attenzione all’embargo sulle armi alla Turchia, alle donne combattenti, al Kurdistan siriano (?), che comunque sono argomenti di secondaria importanza in ordine a ciò che realmente c’è in gioco?

 

A questo punto, la “trattativa a singhiozzi”, tra il governo siriano e i curdi, subisce una forte impennata. Si intensificano gli incontri, per giungere ad un consenso di tregua dopo che i curdi avevano avuto la certezza dell’abbandono della loro causa da parte degli USA. Dopo la sostanziale resa dei comandi curdi alla Siria e l'accettazione delle condizioni, presentata come un accordo tra le parti, è iniziato subito il dispiegamento delle forze siriane lungo i fronti di contatto tra FSA filo turche e i territori in precedenza occupati dalle forze YPG-SDF, che ora sono passate sotto comando siriano e affiancate all’Esercito Arabo Siriano (SAA). I termini dell’accordo prevedono: 1) La fusione delle SDF (forze democratiche siriane), con tutte le attuali forze curde e gruppi militari al 5° Corpo (Legione d'assalto) sotto il controllo russo. 2) Una solida garanzia di pieni diritti curdi nella nuova costituzione siriana con autonomia che sarà concordata dalla leadership curda e dallo stato siriano. 3) Sforzo coordinato e congiunto tra le forze siriane e curde per rimuovere la presenza turca nella Siria settentrionale, compresa Afrin. 4) Accordo per l’ingresso dell’Esercito Arabo Siriano a Manbej e Kobani e dispiegamenti nella zona di Hasakeh e a Qamishly. 5) Con le forze siriane ora nell'area di confine con la Turchia è chiaro l’inizio di una nuova fase che prevede come risultato il ritorno di tutte le aree di confine ai centri amministrativi del governo siriano; 6) entro un mese la leadership curda assumerà in accordo con il governo centrale alcuni ruoli ufficiali all'interno dell'attuale governo siriano per facilitare il periodo di transizione fino a quando una nuova costituzione e un nuovo governo verranno formati dal consenso popolare. Questi sono i punti salienti dell’accordo che come si evince dalla pubblicazione, ha avuto un ruolo determinante la Russia. A tale “nuova e strategica alleanza”, ha fatto seguito un twitt di Trump: “ho ritirato le nostre truppe dalla Siria. Lascio che la Siria e Assad difendano i curdi e combattano la Turchia”.

 

A questo punto mi fermo. Nei prossimi giorni osservando gli eventi che si susseguono potrò darvi una prospettiva aggiornata. La situazione è molto complessa e in continuo divenire. Le prospettive si intersecano tra di loro in modo inaspettato. Un consiglio agli amici lettori: per non cadere nello specchietto delle allodole, è opportuno discernere con buon senso, senza lasciarsi incantare dall’informazione di parte ed emotiva che tanta illusione sta vendendo a scapito del popolo siriano. Compio una piccola sosta e rifletto sulle dichiarazioni fatte dai curdi ad accordo raggiunto: "non abbiamo mai cercato di separarci dalla Siria, ma solo cercato una soluzione politica pacifica". È un primo passo per ristabilire la sicurezza dei cittadini, ma sopratutto è un cammino lungo che dovrà sanare tante ferite. Ora dalle parole bisogna passare ai fatti. Continuiamo a pregare e ad agire per la pace e la concordia tra i popoli e le nazioni.

 

Don Salvatore Lazzara

 

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