Carlo Freccero - Le piattaforme si impossessano della Rai. Ora le privatizzazioni di Draghi?

Carlo Freccero - Le piattaforme si impossessano della Rai. Ora le privatizzazioni di Draghi?

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di Carlo Freccero* - Fatto Quotidiano

 

La notizia è che le direzioni di rete RAI verranno abolite a favore di grandi strutture produttive trasversali che forniranno a tutte intrattenimento, fiction, cinema, approfondimento, documentari, kids, sport, cultura ed  educational. 

Con il progetto annunciato da Carlo Fuortes ed approvato dal CdA, la RAI ha compiuto la sua intera parabola, per approdare alla “nuova normalità”. 

Nella storia della tv italiana ci sono tappe fondamentali, dalla televisione pedagogica delle origini, all’apertura all’audience per arrivare alla tv industriale di Celli, di cui questa nuova versione rappresenta in qualche modo il perfezionamento e la conclusione.  

La razionalizzazione della produzione, accorpata in grandi strutture per genere, non ha solo il significato di risparmio economico, ma rappresenta, soprattutto, un taglio alla possibile diversità di pensiero.

Nell’epoca del pensiero unico, praticare la differenza non solo è uno spreco, ma anche un’infrazione del codice restrittivo della Cancel Culture.

Tuttavia, queste considerazioni, che in altre epoche avrebbero creato scandalo, non sono oggi neanche oggetto di riflessione.

La pianificazione editoriale è di fatto una pianificazione economica in cui il pluralismo è bandito, non tanto per censura, quanto per risparmio. Ed il risparmio è oggi molto più importante della libertà d’espressione.

Ma cosa significa nei fatti tutto questo? La fine della televisione generalista e l’affermazione della logica delle piattaforme, grandi “magazzini” indifferenziati di prodotti omologati. In questo contesto, anche se temporaneamente vengono tenute in vita, che senso hanno le tre reti RAI? Nella logica delle cose si prospetta la vendita o l’accorpamento di una o più reti, tenuto conto soprattutto che attualmente la RAI non produce profitti, ma passivo e che la sua vocazione culturale di “complemento della pubblica istruzione” è così lontana nel tempo da essere stata rimossa e  dimenticata.

Perché parlo di morte della tv generalista?

Perché con il nuovo piano editoriale vengono meno le strutture che differenziano la  tv tradizionale dagli altri media e da altri contenitori come le grandi piattaforme. Vengono infatti disarticolate quelle caratteristiche che ne costituivano la specificità mediatica.

Con la cancellazione delle direzioni di rete viene meno lo specifico per eccellenza della tv generalista: il palinsesto, primo editoriale della rete. É un dispositivo che scandisce la giornata indirizzando la programmazione sulla base di una routine quotidiana predeterminata, il lavoro al mattino, la riunione familiare per il pranzo, il pomeriggio dedicato all’intrattenimento, il prime time destinato alla grande platea generalista con  coerenza linguistica e  stile. Col nuovo progetto il palinsesto diventa l’esposizione del magazzino e non più la scansione della vita sociale. Si tratta infatti di mandare in onda materiali  interscambiabili e, come tali, privi di una specifica destinazione.

Tutto questo però riflette in fondo il grande cambiamento sociale in atto:  Lockdown, coprifuoco, divieti incrociati che tendono favorire la fine della presenza fisica sui posti di studio e di lavoro, spingono in direzione di un intrattenimento il cui unico scopo sembra essere quello di passare il tempo in vista di una totale perdita di senso della vita.

Il secondo elemento che viene meno nel nuovo piano editoriale è la perdita di riferimento al target. 

Il target è un elemento che la tv generalista eredita dalla televisione commerciale. Ma causa o grazie allo spirito del tempo, l’abolizione della distinzione tra maschile e femminile imposta a viva forza al pubblico con una martellante propaganda rischia di far morire il target. Il mio exploit a Canale 5 con “Pomeriggio con sentimento” destinato al pubblico femminile che non seguiva le serie d’azione o le partite di calcio, sarebbe oggi oggetto di censura da parte del decreto Zan. 

L’ultimo e più spinoso elemento cancellato dalla programmazione unica, è costituito dalle differenze ideologiche che oggi, in presenza del pensiero unico, suonano come eresie.  

Ho sempre considerato la lottizzazione televisiva, che ha dato origine materiale alle tre reti RAI, per quanto discutibile, un simbolo del pluralismo.

La fine delle direzioni di rete cancella anche un possibile pluralismo, non in chiave politica, ma culturale. Nelle varie direzioni in cui verrà divisa in futuro la produzione RAI, quella che desta più perplessità ed inquietudine è la cosiddetta direzione APPROFONDIMENTI che, con chiaro riferimento alla neo lingua orwelliana minaccia di appiattire il sedicente approfondimento sulla superficie piatta ed impenetrabile del pensiero unico.  Cosa raggruppa l’approfondimento? L’informazione, che oggi è sempre più sinonimo di propaganda, ma anche il giornalismo d’inchiesta come Report o Presa diretta e il Talk.

Riflettiamo. Affidare questa elencazione eterogenea ad un unico centro produttivo, rischia di far sparire quel poco di buono e di vero che la RAI è ancora in grado di esprimere. Se la stessa struttura sovraintenderà a  Porta a Porta e a Report è più facile che Report si uniformi a Porta a Porta piuttosto che il contrario. In questi ultimi anni Report ha difeso la propria autonomia ed indipendenza per esporre verità altrove indicibili.  

Questo sforzo di vero approfondimento rischia di essere normalizzato. Inoltre, dato il livellamento sull’intrattenimento di tutto il Talk, l’infotainment si candida a diventare il vero fulcro e modello di tutta la sezione approfondimento. Se la normalizzazione di questo settore genera ancora preoccupazione, ciò deriva dal fatto che, in maniera diretta o indiretta, l’approfondimento ha a che fare con l’informazione e  all’informazione  si attribuisce ancora un valore che giustifica la sopravvivenza del servizio pubblico.

Ma oggi i confini tra informazione e fiction non sono più così netti, non solo. Anche la fiction sta diventando sempre più importante nella costruzione dell’opinione pubblica, perché colonizza il nostro immaginario. Pensiamo alle fiction distopiche che hanno preceduto l’avvento di una pandemia largamente annunciata. Anche l’immaginario, e cioè la fiction può essere sinonimo di differenza. Quella differenza che sulle grandi piattaforme non esiste più se non, ancora una volta, nella canonizzazione LGBT.  Pensiamo a Netflix che manda in scena qualsiasi storia, purché il protagonista sia nero/a, il suo patner transgender e la morale della favola “politicamente corretta”.

Concludendo, alla fine della semplificazione, avremo delle reti di troppo perché prive di quella funzione a cui le destinavano  le differenze politiche e culturali ormai cancellate . Non dubitiamo che il nostro Presidente del Consiglio, che, sino ad oggi ha espresso il suo massimo potenziale con le privatizzazioni, saprà “valorizzarle” adeguatamente. 

 

*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore

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