Detassazione tra premi in bonus e monetizzazione. Non è così che si tutela il potere di acquisto

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Detassazione tra premi in bonus e monetizzazione. Non è così che si tutela il potere di acquisto

 

di Federico Giusti

Chiedere a una classe lavoratrice di ricordare il passato equivale a uno sforzo titanico, la mera rimembranza non sarebbe del resto sufficiente senza una capacità di rielaborare avvenimenti che vanno poi riportati in contesti storici diversi.
 
Ad esempio lo Statuto dei Lavoratori venne duramente contestato da settori del movimento operaio che ne criticarono l'impianto e i risultati pratici in termini di democrazia nei luoghi di lavoro, eppure oggi si guarda alla Legge 300 solo come frutto delle lotte del biennio 1968-69.
 
Se chiediamo la scala mobile bisogna pensare a meccanismi automatici di adeguamento dei salari al costo della vita ma occorre fare i conti con una legislazione comunitaria ostile alle istanze della forza lavoro.
 
Non basta quindi esaltare i bei , ammesso che tali siano stati, tempi andati quando quelli odierni risultano incomprensibili se letti con una bussola ideologica per altro datata.
 
Prendiamo ad esempio la detassazione dei premi di risultato e chiediamoci se sia una vittoria o una conquista, se porta benefici reali nelle buste paga o se invece vende la illusione di avere accresciuto salari sostanzialmente fermi. E l'aggravante è rappresentata dai soldi sottratti al welfare per pagare, al posto delle imprese, gli pseudo aumenti sotto forma di tagli alle tasse. E potenziare sanità e welfare integrativi comporta il depotenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e del welfare universale.
 

La riduzione dell’aliquota sostitutiva applicata ai premi di risultato dal 5% all’1% è uno dei pilastri sui quali si regge la Legge di Bilancio 2026 , Ma sono ormai 10 anni che la tassazione agevolata sui premi di risultato è stata introdotta con il sostegno della stessa Cgil. Vogliamo chiederci a cosa sia servita? A rafforzare il secondo livello di contrattazione, il sistema delle deroghe al contratto nazionale, lo scambio diseguale tra porzioni di salario e bonus che poi favoriscono il welfare aziendale.

La tassazione agevolata sui premi di risultato dal  10%  venne ridotta al 5% per il 2023, confermata per il 2024  fino ai giorni nostri, oggi il Governo vuole ridurla all'1 per cento per i prossimi due anni alzando il limite massimo agevolabile da 3.000 a 5.000 euro. Quanti sono i benefici reali in busta paga e quali sarebbero i vantaggi derivanti da un aumento dei salari adeguandoli al costo della vita? E per raggiungere quest'ultimo obiettivo quali sarebbero i percorsi necessari? Siamo certi che elevando la conflittualità sindacale e sociale potremmo raggiungere questo risultato? Noi siamo certi che i tagli alle tassazioni non siano una conquista ma una gentil concessione che presto si tramuterà in tagli al welfare. E poi di quale cifre stiamo parlando? Di poche decine di euro, meno di 40 in busta paga con la riduzione dell'aliquota sostitutiva ricordando che il beneficio, irrisorio, riguarda il dipendente e non il datore e per questo arrivano critiche dalle associazioni padronali.

Le critiche di parte sindacale (sigle rappresentative)  invece riguardano le difficoltà di convertire in welfare il premio di risultato, il premio di risultato in denaro è soggetto a contributi sociali, mentre il corrispondente importo convertito in welfare ne è esente.

Il Governo dovrà mettere d'accordo padroni e sindacati solidali con il centro destra e direttamente coinvolti nel welfare aziendale, l'intervento fiscale rischia di pregiudicare la conversione del premio in welfare ma  resta fuori invece l'argomento dirimente: come si tutela il potere di acquisto dei salari? E in questi anni il welfare aziendale non ha rappresentato un pilastro sui cui costruire la miseria salariale?Siamo aperti al dibattito.

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