Ecuador, i popoli indigeni raggiungono l’obiettivo dopo 12 giorni di sciopero generale: revocato il decreto 883

Ecuador, i popoli indigeni raggiungono l’obiettivo dopo 12 giorni di sciopero generale: revocato il decreto 883

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di Davide Matrone
 

Nella giornata del 13 ottobre e alla presenza di Arnaud Peral - Coordinatore dell'ONU in Ecuador - si e’ realizzato il dialogo di pace all’interno dell’istituto SPELLMAN di Quito.


Il Presidente della Repubblica Moreno, nel suo intervento inaugurale, ha chiesto l'istituzione di una commissione di dialogo con le parti sociali per riscrivere il Decreto 883. Sulla stessa linea governativa si son trovati anche Richard Martínez (Ministro dell'Economia), Christian Cruz (Presidente del Consiglio di Partecipazione cittadina e Controllo Sociale) e Pablo Celi (Presidente della Corte dei Conti).


Gli interventi dei rappresentanti del settore indigeno sono stati coerenti, decisi ed unanimi. Jaime Vargas (Presidente della CONAIE), Eustaquio Toala (Presidente del Feine), Leonidas Iza (Dirigente indigeno della Regione del Cotopaxi), Abelardo Granda (Presidente della Fenocin) e Miriam Cisneros (Dirigente dell’Amazzonia) hanno avanzato le stesse richieste: a) revoca del decreto 883 (la stangata), b) le dimissioni dei due ministri Jarrín (Ministro della Difesa) e María Paula Romo (Ministro degli Interni), c) libertà per tutti i detenuti, d) la libertà di protesta come sancito nella Costituzione.


Dopo circa un’ora e mezza di trattative a porte chiuse si e´ annunciato – in diretta tv e alla nazione - quanto segue: revoca del decreto 883 e l’istituzione di una commissione per la stesura di un altro nuovo decreto in presenza di ONU, Governo, Organizzazioni indigene e CEE (Conferenza Episcopale Indigena).


Fin qui la cronaca.


Analizzando i fatti avvenuti evidenzierei alcuni punti.


1) la indigenizzazione della protesta che ha ridimensionato le altre questioni riguardanti il mondo del lavoro. Nel tavolo di pace non si sono affrontati assolutamente problemi come: le riforme del lavoro che hanno provocato un aumento della precarizzazione, precarietà lavorativa, i licenziamenti di massa (oltre 220.000 negli ultimi 2 anni), i processi di esternalizzazione e la riduzione dei salari con maggior livello di sfruttamento.


Non sono state trattate le problematiche del mondo della scuola e dell’Universita’ come i tagli all’istruzione che si registrano negli ultimi due anni.


L’assenza dei dirigenti sindacali e dei rappresentanti degli studenti (superiori e universitari) hanno evidenziato la delegittimazione di questi attori che – non dimentichiamo - hanno svolto un
ruolo fondamentale nella protesta di piazza. In questi 12 giorni di lotta, i lavoratori e le lavoratrici, i precari e le migliaia e migliaia di studenti hanno dato man forte alla protesta indigena.


2) il salvataggio in extremis del Presidente della Repubblica Moreno che viene leggitimato - nel dialogo di pace - come interlocutore diretto dai lider del movimento indigena e quindi ritorna in auge, seppur con una delegittimazione popolare enorme. La figura politica Moreno é ormai impresentabile per qualsiasi altra disputa elettorale.


3) il maldestro tenativo del governo attuale di smarcare tutti gli attori indigeni dal Correismo. Nella dichiarazione di Vargas si e’ compreso benissimo che non tutto il male attuale è riconducibile al regime anteriore. Posizione avallata e ripresa dal dirigente indigeno della Provincia del Cotopaxi, Leonidas Isa.


4) la determinazione a lottare dei popoli indigeni del paese. Dal 1990, anno della prima sollevazione nazionale indigena in Ecuador, l’intera nazione ha compreso la forza e la determinazione delle nazionalitá indigene del paese. Una volta ancora hanno fatto capire, a chi di dovere, che con loro non si scherza. Il movimento indigeno unito e in lotta - da queste parti – pesa e fa male (in tutti i sensi).


Infine, dobbiamo ribadire nuovamente una cosa importante. La lotta paga. Senza i dodici giorni di lotta e resistenza del popolo dell’Ecuador, il decreto 883 sarebbe giá in vigore e la stangata giá in atto.


Personalmente vorrei fare un applauso sincero e interminabile a una serie di categorie che son stati protagonisti di questi estenuanti giorni di lotta e che ho incontrato nel mio cammino: ai lavoratori e lavoratrici dei media alternativi e comunitari che hanno raccontato dal posto e in situazioni di pericolo quello che realmente stesse accadendo. Ai volontari di pace, ai giovani incontrati in strada che davano acqua e viveri ai manifestanti. Alle brigate di primo soccorso, ai medici, ai para – medici che soccorrevano i feriti anche rischiando la vita. Alle centinaia di persone che hanno collaborato creando cucine comunitarie, centri di accoglienza di cibo, viveri, medicinali e tutto quello che servisse alle migliaia di manifestanti. Alle universitá della cittá di Quito che hanno collaborato con forza, amore ed energia in questi 12 giorni interminabili aiutando donne e bambini e assaporato tristemente la repressione brutale nelle proprie istituzioni dichiarate di pace: L’Universita´ Politecnica Salesiana di Quito, L’Universitá Pontificia Cattolica, L’Universitá Centrale dell’Ecuador e l’Universitá Andina Simón Bolivar.


Questi dodici giorni del famoso ottobre ecuadoriano fanno giá parte della storia. Ora tocca agli analisti, agli scrittori, agli amanti della foto e dell’arte, agli storici plasmare questi 12 giorni di lotta e resistenza con le proprie opere. Gli slogan ripetuti son sempre gli stessi da sempre. Evergreen per i popoli oppressi della terra:


¡¡El pueblo unido jamás será vencido!! e ¡¡Hasta la victoria siempre!!

 

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