Fulvio Grimaldi - Cisgiordania, Libano, Siria, Kashmir. Da manuale Gaza a Libro di testo del colonialismo
di Fulvio Grimaldi
Che siano palestinesi, curdi o alawiti o drusi o musulmani di India e Kashmir, l’essenziale per gli imperialisti è trovare un’entità da utilizzare, o come intralcio da eliminare, o come alibi tattico per giustificare un proposito strategico. E pare proprio che Narendra Modi abbia imparato una lezione seguendo la quale Israele prova a costruire un’egemonia, da interpretare come Grande Israele.
L’attacco dell’India al Pakistan iniziato il 6 maggio, e al quale Islamabad ha risposto duramente, tra l’altro abbattendo ben 5 jet indiani, era stato debolmente giustificato con l’attentato del 22 aprile a turisti indiani a Pahalgam, nella parte del Kashmir diviso e conteso amministrata da New Delhi. Lascito velenoso del divide et impera britannico. L’attentato venne dal premier indiano, immediatamente e senza la minima indagine, attribuito a un’opaca organizzazione in lotta contro il colonialismo indiano nel paese a stragrande maggioranza islamica. Formazione che ha poi smentito, mentre Islamabad insiste per un’inchiesta internazionale indipendente, facendo assumere all’operazione un forte odore di False Flag.
La vicenda, sviluppatasi poi in uno scambio di cannoneggiamenti, stormi di droni e scontri aerei, lungo la linea divisoria detta di Controllo, con obiettivi rigorosamente militari, a detta di New Delhi, cioè donne e bambini a decine, rischia di preludere all’ennesimo conflitto tra Pakistan e India, due potenze atomiche, dopo quelli succedutisi sul finire del secolo scorso. E turba un malfermo equilibrio nell’indopacifico, con coinvolgimento dei rispettivi riferimenti geopolitici: la Cina della Via della Seta per il Pakistan, che però ha forti legami anche con l’apparato militare e di intelligence USA e l’anglosfera per l’India. Al momento si parla di tregua negoziata con la mediazione della nuova amministrazione statunitense e della cui violazione entrambe le parti si vanno accusando.
Sullo sfondo di questa escalation bellica mi pare potersi intravvedere la complice ignavia internazionale di fronte al genocidio di Gaza che ora si va estendo in Cisgiordania e procede a fare le prove in Libano e Yemen. Constatato che nessuna concreta attività della comunità internazionale si prova a incrinare la totale impunità di un’aggressione senza remore e con violazione anche dei minimi standard legali e morali, ecco che Modi potrebbe aver contato su un’analoga via libera per una resa dei conti anch’essa, guarda caso, di pulizia etnica antimusulmana.
Il fanatico governante induista, già pratico di razzismo esclusivista alimentato dal similsionismo dell’ideologia hindutva (dottrina politica di stampo nazionalista, nativista e islamofobica), avrebbe colto lo Zeitgeist che spira dall’incontrastato sodalizio USA-UE- Israele per intensificare l’aggressione in Kashmir al fine di resa dei conti con i musulmani della regione
I precedenti non sono solo le guerre e guerricciole con il Pakistan, condotte fin dai tempi dell’indipendenza strappata ai britannici e della divisione della regione tra India, Pakistan e Bangladesh, ma l’addirittura più sanguinaria persecuzione della comunità musulmana nella stessa India. Una persecuzione che nei tempi di Modi ha assunto, in certi Stati dell’Unione, addirittura il carattere di pulizia etnica nei confronti dei 180 milioni di musulmani, il 12% della popolazione indiana, numericamente la terza comunità mondiale, oltre a essere un pilastro costitutivo della storia e della cultura di quella nazione multietnica e multireligiosa.
L’intolleranza nei confronti di componenti sociali diverse da una vera o vantata maggioranza, o “superiore civiltà”, sembra essere una fenomenologia che, già strumento di dominio del colonialismo europeo a partire dal XV secolo, avrebbe avuto il suo ignominioso epilogo nei lager nazifascisti della prima metà del secolo scorso.
Quanto è iniziato ad accadere in Medioriente a partire dall’installazione di un’entità aliena su territori altrui e che ora si è evoluto in vero e proprio diritto, rivendicato e praticato, di eliminare dalla faccia della Terra un’intera comunità nazionale per il solo motivo di essersi opposta alla propria eliminazione, pare suscitare risonanze con possibili esiti uguali. Una realizzazione di obiettivi di potere e conquista che cammina sulle gambe, anzi sui cingoli, di un preteso diritto emanazione di una propria, esclusiva divinità.
La solidarietà di intenti e sentimenti tra sionismo e l’ideologia che con Modi governa la società, sostiene apertamente la supremazia del popolo indù e mira a abrogare la condizione di entità laica e istituire l'induismo di Stato. Rifiuta inoltre la diversità come valore sociale, cercando invece una forma estrema di omologazione. Non vi ricorda lo “Stato degli ebrei”, sancito per legge nella Palestina occupata?
E’ una solidarietà non solo metaforica. L’India è divenuta negli ultimi anni il terzo o quarto acquirente di armamenti israeliani. I droni che in questi giorni colpiscono i musulmani del Kashmir pakistano sono gli stessi che hanno polverizzato o ferito centinaia di migliaia di palestinesi. I sistemi di sorveglianza e spionaggio, perfezionati in Cisgiordania, con la fattiva collaborazione dell’Autorità palestinese di Abu Mazen, pervadono ora i quartieri del Kashmir e monitorano chi si oppone alla sopraffazione indiana.
Una colonizzazione feroce che si avvale della fine della limitata autonomia concessa a Jammur e Kashmir, zona sotto gestione indiana, dall’Articolo 370 degli accordi di spartizione a Jammu e Kashmir, area sotto amministrazione indiana. Fine decretata da Modi nel 2019, funzionale a fornire le basi legali per uno stravolgimento demografico della regione. Anche qui c’è un modello: la Cisgiordania. E anche qui, la definizione delle vittime musulmane è imprescindibile: terroristi.
Per la precisione, qui non si tratta di parteggiare per il Pakistan islamico contro l’India indù. Soprattutto non per il Pakistan, i cui servizi hanno collaborato con gli USA nei vent’anni di spietate guerra e occupazione USA e NATO. Tanto più che nelle carceri di questo paese langue l’ex-premier Imran Khan, condannato a 14 anni da un tribunale obbediente allo storico establishment delle due grandi dinastie del potere pakistano, i Bhutto e gli Sharif.
La colpa di questa popolarissimo premier, ex-campione di cricket, ampio vincitore delle elezioni, al pari dell’altro bubbone eterodosso, nella democrazia rumena, Calin Georgescu: aver tentato di sottrarre l’apparato militare del paese alla consanguineità con CIA e Pentagono, contrastandone le indicazioni di intervento imperialista e di riduzione degli spazi di autodeterminazione democratica.
I paralleli non solo sono tra Modi e Bibi. In ognuna delle rivoluzioni colorate che, con meccanismo stereotipato, seguono ogni elezione iraniana nella quale risulti vincitore quello “sbagliato”. Che è colui il quale, per perversione morale dei cittadini, vince costantemente dal 1979, rivoluzione khomeinista. Regime change intitolato alla “difesa delle minoranze”, vuoi politiche, vuoi etnico-religiose, che però poi vengono, con colpo di mano mediatico, promosse a maggioranza di opposizione al regime. In Iran volge un ruolo di forte fiancheggiamento ai manifestanti colorati la minoranza beluchi, di solito armata, come lo è quella curda, con i suoi rifornimenti da Erbil, protettorato NATO in Iraq.
Mentre quest’ultima viene foraggiata e istruita dal vicino Kurdistan iracheno sotto protettorato USA-NATO (ci sono anche i nostri carabinieri), quella beluchi ha il suo retroterra in Pakistan, che con l’Iran si divide una parte del Beluchistan. Dal tempo in cui Shebaz Sharif ha potuto sostituire Imran Khan alla guida del Pakistan le attività eversive antiraniane si sono moltiplicate. Uno Stato le cui fila geopolitiche sono mosse storicamente dai servizi statunitensi (in cambio della tolleranza per i rapporti infrastrutturali con la Cina), non può sottrarsi al ruolo di mandatario per le destabilizzazioni del paese antimperialista vicino.
Eccellenza nella strumentalizzazione di minoranze a fini di destabilizzazioni stabilizzanti (vedi le stragi del terrorismo mafio-statale italiano), stavolta per conto proprio, è, nella fase in atto, di nuovo lo Stato sionista di Netaniahu e relativa banda fascio-razzista, alacremente all’opera nella Siria affidata pro tempore ai terroristi di Al Qaida-Isis. Se contro il competitore per la maggiore fetta dell’ex-cuore della nazione araba, il neo-ottomano Erdogan, a Israele serve sostenere, armare, promuovere i curdi, attuali facilitatori delle rapine USA di petrolio e prodotti agricoli siriani, per contenere i jihadisti sunniti di Al Jolani-Al Sharaa servono i drusi, fratelli di quelli già addomesticati nella Palestina occupata.
Minoranza drusa che ultimamente la cupola terrorista insediatasi a Damasco è andata perseguitando, come va facendo, in nome della supremazia sunnita di stampo fondamentalista, con tutte le componenti minoritarie dell’ex-nazione, a partire, con massacri, sequestri, stupri, da quella alauita, settore più evoluto socialmente e politicamente del paese, irriducibile al nuovo ordine e già in rivolta organizzata.
Mappa dei Drusi in Siria
Concludendo, le tecniche di rimozione fisica e politica degli ostacoli alla propria espansione territoriale utilizzate, senza remore e senza recriminazioni esterne, dallo Stato sionista, sui territori storicamente occupati e su quelli da sottomettere e annettere in Libano, Siria, ovunque, forniscono manuali operativi per chi nutre propositi analoghi.
Bibi - Mowafaq Tarif, leader druso
Riproporre in tale contesto per la Palestina la vieta e logora formula dei due Stati, uno colonialista e uno colonizzato e castrato, come fa a tal proposito quel ministro degli esteri che, come ci ricorda un mio ex-collega a Paese Sera, l’indimenticabile Fortebraccio, quando scende dal taxi, non ne è sceso nessuno, significa non aver detto niente. Niente che possa turbare i sogni e le mire dei sionisti.
Quella del nostro ministro degli esteri come di tutti quelli che, complici di Israele, ripetono a disco rotto la formuletta con cui a Oslo, prima, e poi a Beirut e a Tunisi, i magliari sionisti incaprettarono Yasser Arafat, vorrebbe essere una rassicurazione per i deprivati e avviati alla scomparsa Un po’ come lo è quella della resurrezione dei corpi per chi ne vive il decadimento.
Dal che si capisce perché Hamas e perché DAL FIUME AL MARE.
E perché Israele, ontologicamente invasore e aggressore, non ha il “diritto di difendersi”.