Gli scheletri nell'armadio di Bukele: droga, alleanze criminali e il silenzio della comunità internazionale
Tra accordi con le gang e traffico di cocaina: le prove che collegano il presidente alle mafie
Il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, celebrato a livello internazionale per la sua "guerra totale" alle gang, è oggi al centro di accuse senza precedenti che mettono in discussione la narrativa ufficiale del suo governo. Fonti interne al crimine organizzato e dichiarazioni di figure politiche straniere di primo livello come il venezuelano Diosdado Cabello, suggeriscono che la sua ascesa al potere e la successiva campagna repressiva siano intrise di ambiguità, se non di collusioni dirette con le stesse organizzazioni che ora dichiara di voler annientare.
L’alleanza con le gang: le rivelazioni di un leader del Barrio 18
Carlos Cartagena López, noto come Charli de IVU e leader dei Revolucionarios del Barrio 18, ha fornito al media digitale El Faro dettagli esplosivi su un presunto accordo tra Bukele e le principali gang salvadoregne. Secondo Cartagena, già nel 2014, quando Bukele era sindaco di San Salvador, l'attuale presidente avrebbe stretto un patto con Mara Salvatrucha e le fazioni del Barrio 18, mediato da Carlos Marroquín, collaboratore storico di Bukele.
L’obiettivo, secondo il racconto del boss criminale, era garantire a Bukele il controllo politico della capitale, considerata chiave per dominare il paese. In cambio, le gang avrebbero intimidito oppositori e forzato i residenti delle aree sotto il loro controllo a votare per lui. Marroquín, dal canto suo, avrebbe agito come canale di comunicazione, avvisando i criminali delle operazioni di polizia e distribuendo opere sociali nelle loro comunità.
La rottura del patto
Il punto di svolta sarebbe arrivato nel 2022, quando Bukele, ormai presidente, avrebbe violato gli accordi, innescando una reazione violenta delle gang: l’omicidio di 87 persone in un solo giorno, presentato dal governo come giustificazione per dichiarare lo stato di emergenza. Da allora, oltre 85.000 persone sono state incarcerate, molte senza processo, mentre almeno 400 detenuti sono morti in circostanze non chiare.
Lo stesso Cartagena, arrestato nell’aprile 2022, è stato rilasciato “per ordine di Bukele” pochi minuti dopo la cattura, secondo quanto riportato da El Faro. Un episodio che solleva interrogativi sui reali rapporti tra il presidente e i gruppi criminali, soprattutto considerando che Cartagena guida una delle fazioni che Bukele dichiara di voler eliminare.
Le accuse di narcotraffico
A complicare ulteriormente lo scenario, il ministro degli Interni venezuelano Diosdado Cabello ha citato dichiarazioni di Karla Bukele Ramírez - una sorella del presidente - secondo cui Bukele sarebbe coinvolto nel narcotraffico. Karla avrebbe attribuito al presidente il possesso di 1.152 chili di droga sequestrati in Panama ad aprile 2024, nascosti in un carico di caffè diretto in Belgio. “Il narcotrafficante era lui”, ha affermato, sostenendo di essere fuggita da El Salvador per timore di ritorsioni.
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Cabello ha inoltre collegato Bukele a Sara Hanna Georges, consulente venezuelana ed ex collaboratrice di Leopoldo López, noto golpista oppositore del governo Maduro. Georges, legata a un fratello di Bukele, sarebbe parte di una rete che unirebbe narcotraffico, politica internazionale e repressione interna.
Silenzi e contraddizioni
Nonostante la gravità delle accuse, Bukele non ha mai fornito risposte pubbliche né sulle presunte trattative con le gang né sulle dichiarazioni attribuite alla sorella. Questo silenzio alimenta sospetti in un contesto già segnato da censura e criminalizzazione di chi critica il governo.
Allo stesso tempo, il modello di sicurezza di Bukele, osannato da parte della comunità internazionale, mostra crepe sempre più evidenti: migliaia di incarcerazioni arbitrarie, denunce di torture e condizioni carcerarie disumane.
La storia di Bukele solleva un dilemma cruciale: è possibile combattere il crimine negoziando con i criminali? E a quale costo? Mentre il tasso di omicidi è crollato, El Salvador paga il prezzo di una democrazia svuotata, con poteri concentrati nelle mani di un leader che, secondo le accuse, avrebbe costruito il suo successo sull’ambiguità più che sulla trasparenza. Le rivelazioni di El Faro e le dichiarazioni di Cabello, se confermate, potrebbero rivelare non solo il volto oscuro di un presidente acclamato, ma anche i rischi di una “guerra alla criminalità” condotta senza regole.