I referendum invisibili. Le ragioni degli intellettuali di sinistra potrebbero allontanare dal voto i salariati

A poco più di un mese dal voto referendario gran parte degli italiani non conosce i quesiti e probabilmente non si recherà alle urne. A chi giova la disinformazione?

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I referendum invisibili. Le ragioni degli intellettuali di sinistra potrebbero allontanare dal voto i salariati

 

di Federico Giusti

Lo slogan non è dei migliori, la sua efficacia, specie in un contesto storico depoliticizzato, ha una presa fin troppo limitata sorretto com’è da un’etica di cui si è persa traccia da tempo, lontano anni luce dalla realtà odierna nella quale i diritti di cittadinanza sono calpestati e sconosciuti a buona parte della comunità.

“Vivere da cittadini, lavorare con dignità” inizia con queste parole un appello di intellettuali a favore del referendum dell’8-9 giugno, meritevoli iniziative con protagonisti i soliti marziani che si risvegliano qualche volta l’anno provando la discesa agli inferi della quotidianità.

L’appello avrà senza dubbio presa in ambienti intellettuali ristretti e sempre meno capaci di fare opinione, l’errore di fondo sta proprio nel rivolgersi essenzialmente a una élite da tempo non egemone, non militante, frammentata e nei fatti silente rispetto a innumerevoli scelti governative e politiche. È dal crollo del muro di Berlino che gli intellettuali nel nostro paese non svolgono un ruolo attivo, ci sono meritevoli eccezioni ma da lustri dovrebbero mettere in discussione la loro stessa funzione.

I più vecchi ricorderanno gli intellettuali ex comunisti cresciuti nei circoli marxisti che nel 1989 si dissolsero come neve al sole o gli odierni intellettuali in cattedra silenti negli anni delle controriforme delle università (quando c’era da far carriera il silenzio era raccomandato)

Il ruolo degli intellettuali in questo paese andrebbe ripensato integralmente, l’appello tuttavia conserva grande rilevanza anche per lo spessore dei suoi firmatari, molti dei quali da sempre attivi e critici verso lo status quo, non altrettanto potremo dire di numerosi colleghie docenti firmatari.

Ormai è proprio l’appello uno strumento obsoleto in tempi nei quali in Italia si vendono, e si leggono, meno giornali rispetto ad ogni altro paese europeo. Forse interrompere due giorni le lezioni, le attività accademiche e discutere dei quesiti referendari avrebbe un impatto ben maggiore, scatenerebbe la stampa e la televisione di destra, avrebbe l’effetto di provocare una discussione, anche divisiva, nel paese.

I meno giovani forse temono di ripiombare (il quieto vivere fa comodo soprattutto agli intellettuali) un clima da metà anni Ottanta quando venne sconfitto il referendum contro il taglio della scala mobile? Correva l’anno 1985, Cgil, Pci, Dp e Movimento sociale da soli contro tutti a tutela della scala mobile, sindacati come Cisl e Uil dalla parte dei padroni per ridurre prima, e cancellare poi, ogni automatico adeguamento dei salari al costo della vita. Vinse la reazione, eppure le percentuali dei votanti furono elevate (ed oggi sarebbero impensabili se pensiamo al 78% degli aventi diritto), 55 per cento contro il 45%, un paese spaccato a metà e da allora iniziò la parabola discendente del sindacato subalterno e della forza lavoro.

I referendum sono forse l’ultima fermata prima della discesa agli inferi, provano ad inceppare una macchina che da tempo va avanti imperterrita distruggendo diritti sociali, tutele reali potenziando il ruolo della finanza e dell’impresa.

Tale ruolo è divenuto egemone non solo per i processi di ristrutturazione capitalistica (consigliatissima, a tal riguardo, la lettura del libro di Volpi) ma perché da decenni il punto di vista sul lavoro è quello padronale e i sindacati restano in buona parte subalterni. Il richiamo alla Costituzione ci sembra ancora una volta inutile se pensiamo che la stessa sinistra ha finito con il distruggere la Carta a partire dalla riscrittura del titolo V e dal ridimensionamento dello Statuto dei lavoratori attraverso il jobs act.

Agli occhi della smemorata classe lavoratrice l’immagine della sinistra come artefice degli attacchi ai diritti collettivi è assai più forte di quella di una destra ostile alle istanze della forza lavoro, gli intellettuali non hanno mai voluto fare i conti con il renzismo e la sua storia ma anche con i decenni di arrendevolezza dei sindacati rispetto alle istanze padronali.

La nostra Repubblica, dalla svolta dell’Eur in poi, non è fondata sul lavoro ma sulla proprietà e sulla finanza, forse ce ne siamo resi conto troppo tardi ma sono stati proprio gli intellettuali a sonnecchiare per primi.

L’astensionismo, per far fallire i referendum, non è stata storicamente un’arma solo della destra, puntare sul senso di responsabilità civico e democratico necessiterebbe di una democrazia reale, di mobilitazioni efficaci e di presenze non sporadiche. I richiami degli intellettuali, in questo paese dominato dall’ignoranza, finiscono con il giocare a favore del nemico di classe, allontanano e non avvicinano settori popolari utilizzando termini e concetti fuori dal vocabolario quotidiano. E  basta pensare all’odio atavico delle masse popolari verso gli intellettuali alimentato dal sovranismo e razzismo delle destre, banalizzare il problema in questi termini significa non volere leggere i processi di cambiamento della nostra società.

I referendum vanno sostenuti con decisione ma bisogna spiegare in termini semplici la ragione per la quale andare alle urne e votarli e partiremmo dalla salute e dalla sicurezza sul lavoro, dalla responsabilità dei committenti negli appalti e nei subappalti e solo da ultimo arriveremmo a parlare di cittadinanza per gli stranieri residenti in Italia. Se non rafforziamo i diritti sociali per gli autoctoni difficilmente li renderemo consapevoli e coscienti della necessità di inclusione dei migranti, se i lavoratori italiani non riprendono a confliggere insieme ai colleghi stranieri difficilmente si conosceranno fraternizzando tra di loro e superando le differenze. I diritti sociali e di cittadinanza si tutelano e si ampliano non solo a chiacchere ma dentro una visione e una pratica sociale ben determinata che poi avviene all’insegna di quel conflitto che fa paura tanto agli intellettuali quanto ad ampi settori della sinistra politica e sindacale perché impone a noi tuttie un cambio radicale di paradigma

La mancata sicurezza sul lavoro arriva da tempi lontani, avremmo dovuto bloccare il paese davanti all’aumento degli infortuni e delle malattie professionali, al contrario i sindacati si sono limitati a qualche sciopericchio locale e la logica degli appalti e dei subappalti ha fatto il gioco della rappresentanza facendo passare dei contratti nazionali costruiti ad arte per ridurre il costo del lavoro e abbattere tutele e diritti.

Se vogliamo provare a vincere questi referendum non potremo ignorare l’operato dei sindacati negli ultimi 30 anni, se continui a presentarti in giro con sigle che osteggiano il referendum, come votarono contro la scala mobile nel lontano 1985, raccoglierai solo sconfitte.

I quesiti referendari da soli non saranno sufficienti se non accompagnati da una profonda revisione dell’operato sindacale e politico, urge trasmettere un reale cambiamento, dopo anni di jobs act bisogna invertire la tendenza, ad esempio, ostacolando non solo i licenziamenti e l’abuso dei contratti a tempo determinato ma anche l’utilizzo delle imprese degli sgravi e degli ammortizzatori sociali.

Se non si contrasta l’operato della Meloni, se accettiamo invece la bontà della contrattazione di secondo livello a discapito della difesa del salario di base, e del potere di acquisto e di contrattazione, i referendum saranno già persi in partenza

I referendum sui licenziamenti e sui contratti a termine, se approvati, avrebbero importanti ed efficaci novità per la forza lavoro delle piccole imprese (che poi sono la gran parte di quelle italiane), bisogna puntare alla reintegra d non all’indennizzo che poi ha solo rafforzato le prerogative datoriali rispetto a quelle dei salariati

Per concludere si tratta solo di porre fine a una lunga stagione regressiva che parte dal Pacchetto Treu e dalla Legge Maroni per approvare al Job Act, per farlo non basta il richiamo ad una Carta ormai svilita e privata dei suoi significati pregnanti. Serve invece andare al sodo delle questioni e rimettere al centro gli interessi dei salariati contro quelli padronali senza timore di agitare il conflitto di classe. Certe ataviche paure avevano già paralizzato i sindacati nella Prima guerra mondiale in occasione della celebrazione del 1° Maggio, la storia insegna che quei sindacati furono del tutto incapaci di reggere l’urto dei fascismi e dei nazionalismi. Con buona pace delle anime candide degli intellettuali.

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