La censura di Facebook colpisce Contropiano. Solidarietà alla redazione da parte de l'AntiDiplomatico

La censura di Facebook colpisce Contropiano. Solidarietà alla redazione da parte de l'AntiDiplomatico

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La censura mediatica decisa da Facebook contro le voci libere continua a mietere vittime. A cadere sotto i colpi della mannaia censoria questa volta è Contropiano. Alla redazione della storica rivista comunista la solidarietà de l’AntiDiplomatico. 


da Contropiano

 

Un algoritmo ammazza l’intelligenza. O, se volete, l’intelligenza artificiale è politicamente un potente idiota. Che lavora per chi dice di voler combattere.


La pagina Facebook di Contropiano è stata nascosta, al pari di decine di altre che in questi giorni ha scritto o postato contenuti filo-curdi e contro Erdogan.


La motivazione, come sempre, non c’è. La frase che “giustificherebbe” questa decisione è di singolare stupidità: “Sembra che un’attività recente sulla tua Pagina non rispetti le Condizioni delle Pagine Facebook”. In pratica avrebbero dovuto scrivere: “non sappiamo neanche noi perché la tua pagina sia stata bloccata, perché abbiamo creato degli algoritmi ciechi che scattano automaticamente quando incontrano certe parole o foto”. Ma avrebbero fatto una pessima figura…


L’intenzione dichiarata di Facebook è combattere “l’odio”, che naturalmente è come dire che vuoi combattere l’aria. Non è infatti possibile alcuna definizione universalmente condivisa dell’”odio”, così come non lo è del “terrorismo”, perché in un mondo pieno di conflitti chiunque combatta – per ragioni sacrosante oppure ignobili – ha (e dà) un’idea ottima di sé e totalmente negativa dell’avversario. Per combattere, insomma, bisogna amare sé stessi (la propria parte, il proprio popolo, la propria causa) e odiare il nemico.


Chi è estraneo da un particolare conflitto può giudicare assurdo o disdicevole che quel conflitto ci sia, e che si manifesti informe aspre come una guerra, una guerriglia, ecc. Ma non può mai, sul piano logico e “ontologico”, dare di quel conflitto una defizione accettabile per tutti.


Per questo, qualsiasi cosa si faccia dentro un conflitto, non si è mai “al di sopra delle parti” ma sempre al fianco di una delle parti. Come nella Resistenza, l’”area grigia” della popolazione è stata di fatto al fianco dei nazifscisti finché questi sono stati dominanti, per poi riversarsi in un’istante dal lato degli americani una volta finita la guerra.


Ma Facebook, Instagram e gli altri social che in questi giorni stanno oscurando migliaia di pagine solidali con il popolo curdo sotto l’attacco di Erdogan sono qualcosa di molto peggio. Costituiscono infatti il tentativo di creare un campo delle opinioni ammissibili a livello mondiale che prescinde dalle ragioni dei conflitti in atto.


Per somma vergogna, questo tentativo non è fatto attraverso la definizione di scelte politiche ufficialmente rivendicate – e dunque contestabili come ogni altra – ma sulla base di un politically correct arbitrariamente definito dai vertici delle varie società e affidato alla gestione di algoritmi. I quali, per loro natura, rispondono a seconda di come sono stati scritti.


E una “morale universale”, oltre a non esistere in un mondo conflittuale, è anche impossibile da tradurre in linee di codice. E’ come scrivere le istruzioni di un navigatore e non prevedere che un viadotto possa crollare o una strada sparire per frane o terremoto.


Facebook aveva ricevuto diversi consensi quando aveva deciso la chiusura delle pagine di CasaPound e Forza Nuova. Noi, da antifascisti militanti, avevamo visto l’assurdità di un “antifascismo” affidato ad una società informatica di dimensione globale. Quegli stessi algoritmi, infatti, “punivano” sia i siti fascisti che quanti scrivono per condannare e combattere il fascismo.


L’algoritmo cieco, paradossalmente, è incapace di distinguere tra like unlike (e infatto Zuckerberg aveva dovuto mettere il famoso “bottone”, che ogni umano clicca o no, secondo criteri umani e non algoritmici).


La strage di pagine filo-curde è ovviamente un appoggio esplicito a Erdogan. Voglia o non voglia Facebook, Instagram e simili.


Probabilmente, in qualche riga dell’algoritmo, scatta l’allarme rosso alla parola “curdi” che, secondo la logica politica di Erdogan, è sinonimo di “terrorismo”.


In queste ore hanno subito la nostra stessa sorte persone e collettivi ampiamente conosciuti per il loro impegno umano e/o politico. Ad esempio Instagram ha bloccato il reporter Michele Lapini, per una foto scattata durante il corteo in solidarietà con il popolo curdo svoltosi a Bologna mercoledí 9 ottobre. Nell’immagine, si vedeva infatti uno striscione con su scritto «Erdogan assassino». Alla protesta del reporter il social ha risposto nel solito modo: «viola gli standard in materia di persone e organizzazioni pericolose».


Nelle stesse ore e con identica motivazione, Facebook ha oscurato la pagina Binxet – Sotto il Confine, con un documentario di Luigi D’Alife che racconta la resistenza del Rojava e le responsabilità dell’Europa nelle atrocità del confine
turco-siriano. Con la voce narrante di Elio Germano, il video aveva già superato il mezzo milione di visualizzazioni.


Chiuse anche molte pagine della Rete Kurdistan, del centro culturale Ararat. Nei mesi scorsi erano inciampati nella censura “articialmente intelligente” anche la campagna Rojava Calling. Facebook, qualche giorno dopo, bloccò una vignetta di Zerocalcare con la scritta Cizira-Botan Resiste, per denunciare il massacro di Cizre dell’esercito turco contro uomini, donne e bambini (28 morti ed oltre 100 feriti).


Stessa sorte per il profilo di Davide Grasso, autore di Hevalen, di ritorno dal fronte in Rojava contro l’Isis.

Ma anche nel resto del mondo non si contano le censure a pagine di supporto alla lotta dei curdi contro l’Isis (nel 2015 il sito francese Streetpress denunciò la censura della campagna Fuck Daesh, support PKK).


La stupidità degli “algoritmi intelligenti” è nota anche ai vertici dei social network, che hanno reclutato nel mondo centinaia di “pulitori umani” delle pagine dubbie. Il problema è che si tratta di precari che lavorano dieci ore al giorno, pagati spesso a cottimo (più pagine “pulisci”, più guadagni), reclutati senza alcuna selezione politically correct. E che dunque rispondono da un lato alle assurde “condizioni delle pagine” (Facebook o Instagram, ecc), dall’altra ai propri convincimenti.


E quindi ti puoi tranquillamente trovare una “squadretta turca” che fa tabula rasa dei filo-curdi (molto più difficile assumere una “squadretta curda” che operi in senso contrario, vista la situazione), così come fanno le “squadrette israeliane”  con chi appoggia la lotta dei palestinesi…


 

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