“La Russia non ha intenzione di attaccare l'Europa” Intervista esclusiva de l'AntiDiplomatico al generale Marco Bertolini
Proponiamo il testo della nostra intervista al Generale Marco Bertolini, sulla situazione in Ucraina, sul complicato processo di tregua in corso di attuazione, con il dialogo aperto tra la Casa Bianca e il Cremlino e sul ruolo dell'UE. Il Generale Bertolini interviene anche sulla situazione a Gaza e sui possibili sviluppi in Medioriente.
La versione video è uscita in eslusiva per i nostri abbonati il 30 maggio.
Trascrizione ed adattamento a cura della redazione de l'AntiDiplomatico
Generale, come si può descrivere la situazione sul fronte ucraino nello scontro tra Russia e NATO?
La situazione può essere vista da due punti di vista: uno tattico e uno strategico, limitandoci alla sfera militare. Da un punto di vista tattico, indubbiamente la Russia è in vantaggio. La Russia ha occupato un'importante fetta di territorio ucraino e ha continuato a premere. Dopo la controffensiva ucraina del settembre 2022, in cui gli ucraini hanno rioccupato una larga parte di territorio precedentemente preso dai russi, inclusi l'oblast di Kharkov e l'area a sud vicino alla foce del Dnepr a Kherson sulla riva destra, non ci sono stati grandi successi ucraini. L'anno successivo c'è stata l'offensiva estiva ucraina, più volte annunciata, che ha portato a recuperare altri piccoli tratti di territorio dai russi. Tuttavia, in questa controffensiva estiva, gli ucraini si sono scontrati con difese molto ben predisposte dal generale Surovikin, al comando di tutte le operazioni dopo la controffensiva ucraina del settembre 2022. Da allora, alcuni hanno definito la situazione come di stallo, ma in realtà lo stallo non c'è mai stato. I combattimenti sono continuati con grandi perdite da entrambe le parti, e sembra che soprattutto gli ucraini abbiano subito perdite significative, anche se su questo punto gli ucraini e gli occidentali sostengono il contrario, sovrastimando, a mio avviso, le perdite russe. Entrambi hanno perso molti uomini e forze, ma non c'è stato uno stallo. Attualmente, ci troviamo in una fase in cui i russi, da un punto di vista tattico, continuano a premere nel settore centrale di Donetsk. Hanno creato delle sacche a Pokrovsk, Kostyantynovka e Siversk, tre aree in cui potrebbe verificarsi l'aggiramento di considerevoli forze ucraine, aumentando la crisi dell'esercito ucraino. Il tentativo ucraino a Kursk è stato praticamente eliminato dai russi.
Ad agosto dell'anno scorso, c'è stata un'invasione del territorio russo da parte degli ucraini. Avevano occupato un'area abbastanza importante, ma quest'area è stata poi persa nuovamente dagli ucraini. Attualmente, i russi sono entrati anche in quel settore verso il territorio ucraino e stanno puntando verso Sumy, che era il punto di snodo dei rifornimenti tattici e logistici verso quest'area di Kursk. Da un punto di vista tattico, le operazioni stanno procedendo più velocemente rispetto a un paio di mesi fa, quando la pressione era continua ma abbastanza lenta. Ora da parte dei russi ci sono progressioni verso ovest molto più significative. Kostantinovka è ormai chiusa ai collegamenti che possono arrivare da ovest, da Pokrovsk, e può ricevere rifornimenti solo da nord. Ci sono alcuni punti in cui gli ucraini stanno continuando a resistere valorosamente, come Chasi Yar e Torez, due località molto importanti.
Da un punto di vista strategico, la situazione per la Russia è più complessa. Deve fronteggiare una guerra in Ucraina e possibili altre fonti di tensione in altre aree, come nel Baltico. Kaliningrad è una piccola porzione di territorio russo con la flotta russa del Mar Baltico, in un mare dove gli stati rivieraschi, con l'ingresso della Svezia e della Finlandia, appartengono tutti alla NATO. Questo è un problema significativo per la Russia. La Russia ha cinque flotte: una nel Mar Caspio, una nel Mar Nero a Sebastopoli in Crimea, una nel Mar Baltico, una nel circolo polare Artico e una a Vladivostok nel Pacifico. Il fatto che anche la flotta del Baltico e del Mar Nero debbano sgomitare per avere spazio di manovra è un problema strategico importante per la Russia.
Ci sono anche tensioni in altre aree, come nel Caucaso, in Georgia, dove il nuovo presidente ha dovuto affrontare un braccio di ferro con il suo predecessore. In Romania, l'insediamento di un presidente pro-europeo ha visto l'intervento della magistratura rumena, con il sostegno dell'Unione Europea, per eliminare il suo competitor. In Serbia permangono alcune problematiche, essendo questa parte dell'ex Jugoslavia ancora legata alla Russia per motivi culturali e religiosi. La stessa situazione si riscontra nella Repubblica Srpska di Bosnia. Dal punto di vista strategico, i problemi per la Russia restano significativi: oltre al conflitto in Ucraina, deve vigilare sugli sviluppi nelle aree limitrofe e affrontare questioni politiche rilevanti. Questo è un periodo molto importante: rispetto al suo predecessore, Trump ha adottato un approccio diverso nei confronti della Russia, dimostrando apertura verso una visione multipolare delle relazioni internazionali. Ha più volte espresso la volontà di raggiungere una soluzione per la guerra in Ucraina, auspicando un miglioramento delle relazioni con Mosca. Questo interesse è probabilmente influenzato anche da considerazioni economiche e commerciali. Tuttavia, la ripresa di un dialogo con la Russia si scontra con l'opposizione dell'Unione Europea o, più precisamente, di alcuni paesi europei come il Regno Unito, nonostante non faccia più parte dell'UE, la Francia, la Germania, la Polonia e altri. Questi stati mostrano infatti una forte rigidità nei confronti di Mosca, cosa che rischia di alimentare tensioni pericolose e potenziali escalation. In sintesi, sul piano tattico, la Russia si trova in una posizione di vantaggio sul campo ed è in fase offensiva. Sul fronte strategico, però, deve prestare attenzione per evitare l'apertura di nuovi fronti che potrebbero metterla in difficoltà. Politicamente, il futuro dei negoziati dipenderà dall'approccio che Trump deciderà di intraprendere nei prossimi mesi.
I fautori del riarmo avvertono che se dovesse cadere l'Ucraina poi toccherà agli altri stati europei. A suo avviso è così? 12,51
Io sono un militare di estrazione, direi anche di vocazione. Ho fatto il soldato di mestiere per 44 anni, percorrendo un po' tutta la catena gerarchica e so benissimo che le forze armate italiane hanno avuto dallo stato italiano molto meno di quello di cui avrebbero avuto bisogno in termini di risorse, di attenzione e anche di affetto.
Le forze armate sono un simbolo ed un presidio della sovranità. Un paese senza forze armate non è un paese sovrano per definizione e non lo può essere. Quindi un provvedimento finalizzato a dare strumenti adeguati agli uomini delle forze armate lo vedrei come uno strumento volto a rinforzare la nostra sovranità: la sovranità dello stato e la libertà dell'individuo. Ciò detto, non stiamo parlando di rinforzare l'esercito italiano o gli eserciti nazionali. Con questo piano di riarmo si sta pensando infatti di riarmo NATO in funzione di una minaccia russa che sarebbe incombente.
A mio avviso questa minaccia non è incombente come viene detto. La Russia è un paese di 146-150 milioni di abitanti, un paese con molti dei difetti che abbiamo noi, ad esempio un tasso di crescita della popolazione decisamente basso. L'Unione Europea ha più o meno il triplo della popolazione della Russia: quest'ultima sta già impegnando moltissime risorse in Ucraina per risolvere un problema strategico fondamentale, cioè il possibile passaggio dell'Ucraina al campo NATO. Se ciò avvenisse, la Russia sarebbe completamente tagliata fuori dall'Europa e dal Mar Nero.
Escluderei quindi che la Russia, già pesantemente impegnata in Ucraina, vada a cercare grane in Europa. Credo anche che questa consapevolezza ce l'abbiano molti capi di stato europei, i quali puntano su questa riluttanza della Russia a reagire all'escalation verbale.
Leone XIV ha detto che bisogna disarmare le parole, parole che invece vengono armate continuamente mentre si prendono provvedimenti odiosi come quelli di opporsi alle manifestazioni sportive e culturali che coinvolgano atleti o uomini di cultura russi.
Il rischio di escalation vera esiste, ma l'Unione Europea punta sul fatto che la Russia non prenderà dei provvedimenti che possano metterla a repentaglio. Ritengo che questo sia un calcolo sbagliato: c'è sempre un punto di rottura a cui si può arrivare soprattutto con i toni che vengono utilizzati adesso, le minacce di nuove sanzioni, la minaccia di utilizzare i missili Taurus per colpire il territorio russo. Secondo il mio punto di vista, tutti questi provvedimenti si basano sull'idea che Putin non sia abbastanza sicuro o incline ad attaccare direttamente la NATO. E anche io condivido questa convinzione. Putin non sembra avere tale interesse, ma lo stesso vale per la NATO, e in particolare per l'Unione Europea. Quest'ultima appartiene al medesimo continente della Russia e finora questa guerra ha portato soltanto svantaggi: non ci sono più le forniture economiche e stabili di gas che garantivano un approvvigionamento energetico fondamentale per l'industria europea. Questo problema si riflette in modo incisivo sull'economia, generando conseguenze molto pesanti. In sintesi, non credo che la Russia cerchi grane andando ad attaccare, ad esempio, la Polonia o i Paesi baltici. Questi ultimi sono i più contrariati, probabilmente perché, oltre a fare parte dell'Unione Sovietica, erano più integrati rispetto ai soli paesi del Patto di Varsavia, come è stato il caso per l'Ucraina. Certamente, l'attivismo dei paesi baltici nel controllo delle navi e di quelle cosiddette "flotte ombra", che si dice facilitino traffici di petrolio russo verso occidente, infastidisce la Russia. Eppure, non penso che Mosca abbia interesse a intervenire in maniera diretta. Piuttosto, penso che cerchi di creare spazi per negoziati una volta risolta la questione dell'Ucraina e la possibilità che diventi un paese membro della NATO. Detto ciò, permane una certa paura legata a un intervento russo. Questa paura però sembra attingere timori profondi e ancestrali che risalgono al periodo della Guerra Fredda. Tuttavia, bisogna riconoscere che il contesto attuale è completamente diverso rispetto a quello di quel tempo storico.
Non si tratta semplicemente di una contrapposizione tra Russia e il resto del mondo. Da un lato c'era il Patto di Varsavia e dall'altro la NATO, blocchi che coinvolgevano anche i Paesi dell'Europa orientale di oggi. Tuttavia, la paura di un'espansione russa si è insinuata nelle coscienze di molti, alimentata da narrazioni che possono essere facilmente riesumate. Nonostante ciò, questa idea appare lontana dalla realtà. La Russia non dispone delle risorse umane necessarie per tentare un'invasione militare dell'Europa. Possiede certamente strumenti devastanti, tra cui un arsenale nucleare imponente e in grado di distruggere molto di più del solo continente europeo, ma non ha le capacità operative necessarie per controllare militarmente l’Europa. Si tratta dunque di una paura irrazionale che non dovrebbe essere troppo enfatizzata, perché rischia di portare a tensioni inutili. Fino a oggi le reazioni della Russia alle azioni occidentali – che spesso includono supporto attraverso armi e intelligence – sono state relativamente contenute per evitare l'ampliamento del conflitto oltre i confini ucraini. La Russia, sotto la guida di Putin, sembra voler mantenere tale approccio prudente anche in futuro, considerando che Putin è tra i leader russi più moderati degli ultimi tempi. Tuttavia, basterebbe una leadership meno moderata per rendere questi equilibri ancora più precari. Anche l'Europa appare poco incline a uno scontro frontale con Mosca, non avendo mezzi sufficienti per sostenere un conflitto diretto contro una potenza nucleare come la Russia. Ciò che sembra emergere è l'interesse europeo a sostenere una guerra di lunga durata in Ucraina che indebolisca progressivamente la Russia, permettendo all'Europa di affermare la superiorità delle sue tecnologie e delle sue ideologie democratiche rispetto all'autoritarismo russo. Questo investimento retorico e materiale sarebbe gravemente compromesso da una vittoria schiacciante della Russia in Ucraina, il che spiega perché l'Occidente cerchi di fornire armamenti, pur senza alterare significativamente l'equilibrio delle forze sul campo. L'obiettivo europeo è dunque quello di prevenire un collasso militare ucraino che potrebbe verificarsi qualora Kiev fosse abbandonata a sé stessa. Tuttavia, per realizzare ciò, i paesi europei hanno bisogno del continuo sostegno degli Stati Uniti, sia dal punto di vista operativo sia politico. La leadership europea considera essenziale questa alleanza per mantenere il fragile equilibrio geopolitico della regione e portare avanti la propria strategia.
Gli Stati Uniti continuano a rappresentare un elemento imprescindibile nello scacchiere internazionale. Senza di loro, risulterebbe difficile immaginare una possibilità di prevalere nelle dinamiche globali. L'uso di un deterrente statunitense contro la Russia assume un'importanza centrale. Certo, i deterrenti di altri paesi, come quello francese, sono rilevanti ma più per il loro valore simbolico. Ciò che risulta veramente decisivo è però il ruolo degli Stati Uniti. Il mantenimento di questa tensione può essere interpretato anche come strategia per favorire alcune dinamiche interne all’Europa. L’Unione Europea fatica a trovare un’identità comune e stabile, nonostante l’obiettivo dichiarato di coesione. La mancanza di una politica estera condivisa è una delle principali criticità, ma ancor di più manca una percezione unitaria degli interessi e delle minacce tra i vari paesi membri. Ogni Stato europeo è fortemente radicato nella propria visione: l'Italia, per esempio, guarda al Mediterraneo e alle questioni migratorie; la Francia mantiene uno sguardo verso l'Africa; la Gran Bretagna si percepisce ancora come attore globale, nonché alleato privilegiato degli USA; la Germania è consapevole del suo peso economico e industriale—e potenzialmente anche militare—nel continente. Al contrario, Paesi come la Polonia e gli Stati baltici sentono più pressanti le minacce provenienti da Est, in particolare dalla Russia, percepita come un nemico storico sempre presente. Questa diversità di priorità alimenta frammentazioni nelle strategie politiche europee. Tuttavia, situazioni critiche permettono spesso di rafforzare narrativamente un senso d'unità contro un nemico comune. Tale approccio consente anche di silenziare le voci dissonanti all’interno dell'Unione, come quelle dell'Ungheria o della Slovacchia, che creano non pochi imbarazzi nel contesto europeo. Rigenerare i legami collettivi attraverso l'identificazione di un nemico esterno rappresenta una strategia efficace, ma rischiosa. Infatti, pur alimentando l’unità temporanea, produce tensioni esacerbate che potrebbero rivelarsi controproducenti. Ad ogni modo, alimentare lo scenario di uno scontro diretto o attribuire a certi paesi intenzioni espansionistiche gravemente minacciose - come la presunta volontà della Russia di arrivare fino alle porte dell’Europa occidentale - appare poco realistico. Perseguire questa narrativa basata su ipotesi teoriche e non imminenti rischia di accrescere i conflitti invece di mitigarli. Sarebbe opportuno utilizzare toni più moderati per cercare soluzioni diplomatiche alla tensione corrente, evitando comportamenti che sfocino in provocazioni inutili. Le opinioni pubbliche nei diversi paesi europei non appaiono omogenee rispetto a queste tematiche. È evidente una crescente prudenza e diversificazione delle risposte politiche nel contesto internazionale. Anche nel caso dell'Europa occidentale, spesso descritta come “virtuosa”, emergono segnali di attenzione nel cercare di contenere chi si discosta dalla linea dominante.
Rispetto alla situazione in Palestina lei ritiene che l'IDF stia effettuando una pulizia etnica?
E con quale reputazione esce l'UE da questa contraddizione di doppio standard su Ucraina e Palestina?
Il Medio Oriente rappresenta un’altra area cruciale con una complessità notevole. Gli attori coinvolti, dagli Stati Uniti alla Russia, si muovono con estrema cautela nei loro rapporti con Israele, un Paese strategico e dai legami particolari sia con Washington sia con Mosca. In quest’ultimo caso, non bisogna dimenticare che molti cittadini israeliani hanno origini russe e ucraine, retaggio di migrazioni avvenute nel dopoguerra. Il Medio Oriente rimane un nodo estremamente sensibile per le grandi potenze globali. Nella regione va sottolineato anche il ruolo della Russia, che in Siria ha difeso Assad fino all'ultimo. La somma di queste dinamiche rende la situazione a Gaza e in tutta la regione sempre più intricata e fragile. Mi può dire se parliamo di una guerra o di un genocidio, di una pulizia etnica? Guardi, quel che posso affermare è che non si tratta di una guerra come quella che abbiamo visto in Ucraina. In Ucraina assistiamo a un conflitto simmetrico, tra due forze regolari, entrambe dotate di armamenti moderni e strutturate per combattere sul campo con centinaia di migliaia di soldati. A Gaza la situazione è diversa. Qui abbiamo da un lato un esercito altamente organizzato e ben equipaggiato, quello israeliano, e dall’altro formazioni armate che non possiedono una capacità militare comparabile, incapaci di affrontare l’esercito israeliano in campo aperto. Nonostante ciò, il conflitto prosegue da due anni senza risultati significativi. Le operazioni continuano a Gaza, ma non solo lì: lo stesso problema, seppur con intensità minore, si osserva in Cisgiordania. E perché anche in Cisgiordania, che non è controllata da Hamas? Nonostante la gestione sia diversa, anche lì la popolazione palestinese subisce condizioni molto difficili. Non credo si possa parlare di una guerra contro Hamas; ciò che appare è un tentativo di ottenere il controllo totale del territorio, riducendo drasticamente la presenza palestinese. Questa è la realtà dei fatti. È doloroso vedere scene sconvolgenti come quelle che accadono a Gaza e altrove senza che ci sia una reazione adeguata. L’Europa e l’Occidente restano in gran parte in silenzio o limitano la risposta a qualche richiamo debole alla pace o alla moderazione nelle operazioni. Nel frattempo, migliaia di persone muoiono, tra cui molti bambini. Questo è un fatto che nessuno può negare. Trovo che ciò metta in evidenza un doppio standard europeo. Israele viene percepito come un’entità vicina per ragioni culturali e storiche; buona parte della sua popolazione non è originaria della regione, il che alimenta una solidarietà implicita nei suoi confronti. Questo porta molti a chiudere gli occhi su ciò che accade. Ma i fatti restano gravi. Non si spara ai bambini, non si colpiscono gli anziani, e non si bombardano ospedali e scuole. Tuttavia, quando episodi del genere si verificano in Ucraina, tutti reagiscono; quando accadono quotidianamente a Gaza, spesso vengono relegati alle seconde o terze pagine dei giornali o ai titoli minori nei telegiornali. È un doppio standard ipocrita, ma anche legato a interessi strategici: Israele è l’alleato principale degli Stati Uniti, che a loro volta sono anche il nostro alleato di riferimento. È triste, davvero triste. Forse non se ne può fare a meno, ma è molto triste.