La trappola del Recovery Fund spiegata facile (da un magistrale Guido Salerno Aletta)

La trappola del Recovery Fund spiegata facile (da un magistrale Guido Salerno Aletta)

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di Guido Salerno Aletta*
 

 

Il sogno europeo si è trasformato in un incubo: la robotizzazione dell'Unione procede inarrestabile, tra vincoli, condizioni, obiettivi e rendiconti. Con il Recovery Fund si prepara un nuovo manicomio burocratico che ci farà impazzire.

E' più di una camicia di forza, un vero e proprio letto di contenzione. Il calcolo astruso dell'output gap o del NAWRU, previsti per rientrare nei parametri del Fiscal Compact, era solo un gioco da ragazzi.

Da Bruxelles si completa giornalmente il quadro delle regole per l'utilizzo delle risorse previste dal Recovery Fund, scritte apposta per inchiodare gli Stati al tavolo di un gioco di potere che ne limita ulteriormente la sovranità.

Più soldi si chiedono e più sarà alto il grado di interferenza di Bruxelles: altro che vincolo esterno, stavolta ci entrano fin dentro casa.

Ma ci sono ancora tanti illusi, che si fanno abbindolare dal luccichio dei denari!

In Italia c'è infatti chi ancora festeggia, da fine luglio ininterrottamente, perché non ha mai letto neppure uno dei tanti documenti che si accatastano per gestire il Recovery Fund: gongolano, perché pensano di spendere comodamente intanto i 65,4 miliardi di euro di "grant". Sono "sovvenzioni", somme da non restituire in quanto saranno finanziate con il contributo degli Stati membri.

Pensano, ingenui che non sono altro, di poter incassare tutto subito, e poi di spendere liberamente.

Vediamo invece come si snoda il percorso.

L'Italia intanto verserà annualmente il proprio contributo per finanziare questo Fondo Straordinario della Unione, in proporzione al proprio PIL registrato nel 2019; ma in cambio riceverà assai di più, per tenere conto della gravità della crisi sanitaria ed economica che l'ha colpita: questo è il successo politico che ci si vanta di aver raggiunto.

In questo caso, si dice, l'Italia non sarà più un contributore netto al bilancio dell'Unione: sarebbe un percettore netto, anche se nessuno finora ha tirato giù i saldi complessivi, del dare e dell'avere tra il Piano straordinario Next Generation Ue ed il prossimo Quadro finanziario settennale 2021-2027. Si fanno i conti senza l'oste.

In ogni caso, il totale di queste "sovvenzioni" previste per il Recovery Fund a favore dei 27 Paesi dell'Ue è di 312,5 miliardi; di questi, il 70% va impegnato tra il 2021 ed il 2022, ed il restante 30% entro il 2023. I pagamenti saranno comunque scaglionati nel tempo, e già questo fa venire i sudori freddi.

Per accelerare gli interventi, visto che il macchinone di Bruxelles ha la lentezza di un elefante, si è deciso che il 10% degli importi assegnati a ciascuno Stato potrà essere concesso a titolo di prefinanziamento entro il 2021. Come vedremo più avanti, è meno di un piatto di lenticchie, ma di questi tempi non si butta via nulla.

A parte, rispetto alle sovvenzioni, verranno poi calcolati i prestiti, che ammonteranno a 360 miliardi di euro, concedibili nel limite del 6,8% del PIL di ciascun Paese, a meno che non ci siano circostanze eccezionali. Per l'Italia ci sarebbero teoricamente 119 miliardi di euro. Ma si tratta di un meccanismo ancora tutto da mettere in piedi.

In totale, dunque, il Programma Next Generation Ue vale 672,5 miliardi di euro. Ci sono altri progetti minori che portano alla cifra tonda di 750 miliardi.

Più che una cuccagna, Bruxelles ha preparato un vero e proprio percorso ad ostacoli, con tempi, scadenze e condizioni di enorme complessità tecnica, amministrativa e politica.

Vediamo: a partire dal 15 ottobre prossimo, in pratica tra una ventina di giorni, i singoli Stati possono cominciare a presentare alla Commissione i primi Piani Nazionali per la Ripresa e la Resilienza (PNRR), con la scadenza ultima fissata a fine aprile 2021. In pratica, ci si allinea con i tempi della procedura standard del Braccio Preventivo del Programma di Stabilità e Crescita (PSG).

I Piani nazionali saranno valutati dalla Commissione europea entro due mesi dalla presentazione, tenendo conto della loro coerenza con le raccomandazioni specifiche che sono state elaborate per ciascun Paese: da fine aprile 2021 si arriva così a fine giugno.

Per l'Italia, il PNRR sarà valutato tenendo conto soprattutto delle raccomandazioni relative al 2019 (Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma - 10165/19): è un elenco sterminato di "prediche" e di richieste di riforme strutturali, che vanno dalla lotta all'evasione fiscale alla riduzione della spesa per le pensioni che è eccessiva. Finora erano sostanzialmente prediche inutili, perché poi il governo faceva ciò che voleva: bastava rientrare nei limiti del deficit ed avvicinarsi al pareggio strutturale. D'ora in poi, invece, queste raccomandazioni avranno valore cogente, perché se non seguiamo questi Comandamenti non ci approveranno i PNRR: ahi! Ecco che cominciano i dolori!

Ulteriori criteri di valutazione per approvare i Piani sono il rafforzamento del potenziale di crescita, la creazione di posti di lavoro e la resilienza: non sono chiacchiere, perché il raggiungimento di questi obiettivi condizionerà il pagamento da parte della Unione delle somme che avremo speso. Questa è seconda la tagliola.

Praticamente, ci consegneremo legati mani e piedi, visto che nella valutazione del PNRR il punteggio più alto deriverà in primo luogo dalla sua coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese.

Solo successivamente si considerano il rafforzamento del potenziale di crescita, la creazione di posti di lavoro e la resilienza sociale ed economica dello Stato membro. Il contributo recato alla transizione verde e digitale è addirittura una precondizione ai fini di una valutazione positiva: altro che scrivere sotto dettatura!


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