La Germania vuole governare la Ue con il bilancio europeo

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di Federico Bosco
 

La settimana scorsa i leader dei 27 paesi membri dell’Unione Europea hanno dato il via ai negoziati per il bilancio comunitario, il Multiannual Financial Framework (MFF) previsto per il periodo 2021-2027 di cui abbiamo parlato in passato (qui e qui). Quella del MFF sarà il principale terreno di scontro tra paesi che hanno visioni sempre più diverse dell’integrazione europea. I negoziati per la scorsa programmazione sono durati due anni e non ci sono motivi per pensare che stavolta durino di meno, la discussione sarà più spinosa che mai visto che a fronte della necessità di stanziare maggiori risorse per progetti comunitari ambiziosi su temi come la difesa e l’immigrazione ci sarà il pesantissimo ammanco dei circa 13 miliardi di euro all’anno dell’uscente Regno Unito. Per colmare il vuoto lasciato dalla Brexit, l’idea è riuscire a trovare un accordo per andare oltre l’1% della somma dei redditi nazionali lordi degli Stati membri da destinare al MFF ma già è emersa una spaccatura tra i paesi contrari all’aumento della dotazione finanziaria (Austria, Danimarca, Olanda e Svezia) e quelli favorevoli (Germania, Francia, Italia e paesi dell’Est).

 

In Germania la CDU/CSU e la SPD hanno inserito questo impegno nell’accordo di Grosse Koalition (GroKo). Ancora non sappiamo se la GroKo si farà e se Angela Merkel sarà confermata per altri 5 anni, ma Berlino ha già le idee chiare su come utilizzare il MFF per governare l’Unione Europea a suo vantaggio. Secondo quanto riportato dal Financial Times, la Germania ha presentato un position paper con la proposta su come ricalibrare la distribuzione dei fondi strutturali tenendo conto non più esclusivamente delle necessità economiche dei Paesi membri ma anche del comportamento dei governi nell’applicazione dei valori fondanti dell’Unione come la divisione dei poteri, il rispetto dello stato di diritto e l’accoglienza e integrazione dei migranti. Allo stato attuale, senza un riposizionamento completo, questa mossa sottrarrebbe fondi ai paesi beneficiari come la Polonia, l’Ungheria e gli altri paesi del Gruppo di Visegrad (V4). La proposta tedesca mostra chiaramente la frustrazione nei confronti dei paesi ribelli che rifiutano il piano di ricollocazione proposto dalla Ue pur essendo i principali beneficiari dei fondi di Bruxelles.

 

Nel documento presentato dal governo tedesco per illustrare la proposta viene detto chiaramente che i fondi strutturali per gli investimenti regionali devono supportare i governi che “si sono assunti la responsabilità di accogliere e integrare i migranti che hanno ottenuto la protezione internazionale”. Questo approccio ridurrebbe l’attenzione nei confronti delle necessità economiche dei paesi beneficiari, rompendo l’attuale schema del sostanziale trasferimento di fondi dai paesi ricchi a quelli poveri, rischiando addirittura addirittura di spostare fondi che dovrebbero essere destinati allo sviluppo dei paesi più poveri a quelli più ricchi ma che hanno accolto migranti come ha fatto la Germania durante il 2015 dando asilo a oltre un milione di migranti. Le voci di spesa che giustificherebbero il trasferimento di questi fondi sono facilmente immaginabili: alloggi, trasporti, corsi di lingua, corsi di avviamento professionale ecc. Tutte cose di cui la Germania ha bisogno per integrare quel milione di immigrati che ha “accolto” ma non riesce a inserire nel suo sistema industriale realizzando il vero obiettivo di tutta l’operazione: dare manodopera a basso costo al suo sistema produttivo sempre più affamato a causa di un surplus eccessivo e una demografia dalle prospettive negative.

 

Un approccio del genere sarebbe deleterio anche per l’Italia perché aprirebbe una “caccia al tesoro” ancora più grande da parte delle cooperative e degli altri gruppi privati coinvolti in quell’industria dell’accoglienza sempre più squallida e fuori controllo. Varsavia, Budapest e gli altri paesi del V4 sono nel mirino della vecchia Europa, una frattura che si sta allargando e arriverà fino al punto di mettere in discussione l’esistenza stessa dell’Unione Europea come la conosciamo oggi. Qualche giorno fa Jean-Claude Juncker si è detto preoccupato per l’esito delle elezioni italiane, ma le nubi che si stanno addensando sul futuro dell’Unione Europea sono più numerose e molto più minacciose di quella che arriva dalla tutto sommato mite e ubbidiente Repubblica Italiana, che alla fine si piegherà alla volontà di Bruxelles come ha sempre fatto.

 

La tempesta sta arrivando.

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