Per capire la Strage di Vienna occorre guardare alla guerra siriana

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Per capire la Strage di Vienna occorre guardare alla guerra siriana


di Piccole Note
 

Il cuore di tenebra colpisce il cuore d’Europa: quattro morti nell’attacco di Vienna, dove un commandos dell’Isis ha sparato sulla gente.
 

I media riferiscono che uno degli obiettivi fosse una sinagoga, prossima a uno degli agguati, ma il fatto che si sia colpito in diverse zone, e magari vicino a luoghi di culto di altre religioni, diluisce l’ipotesi.


La nuova ondata di terrore, dopo la Francia, colpisce l’Austria. Di fatto è un attacco all’Europa, con possibili reiterazioni.




Vienna: spari nel mucchio


Hanno colpito a caso, come la notte del Bataclan. I lettori del nostro sito non dovrebbero stupirsi del curriculum dell’attentatore ucciso dalla sicurezza.


Il Krönen Zeitung riporta che era “stato condannato a 22 mesi di prigione perché voleva recarsi in Siria per unirsi alle milizie terroristiche dello Stato Islamico (ISIS). È stato rilasciato con la condizionale all’inizio di dicembre 2019”.


Quando nella nota precedente (“Il Terrore“) avevamo accennato che per capire quanto sta accadendo occorre guardare alla guerra siriana, non l’avevamo scritto a caso… inutile aggiungere, se non registrare la mancata attenzione dei servizi segreti su un soggetto tanto a rischio. Ma anche qui, siamo all’interno di dinamiche usuali.


“Secondo le informazioni di ‘Kröne’, Kujtim F. [l’attentatore, ndr.] ha prestato giuramento di fedeltà al nuovo capo della milizia terroristica ISIS, Abu Ibrahim al-Hashimi al-Quraishi poco prima dell’attentato”.

 

Il Califfato di Idlib


Sulla tempistica siamo scettici: un attentato, anche quello che ai nostri occhi appare di facile realizzazione, cioè un uomo armato che spara sulla folla, non si prepara in due ore.


Né si manda allo sbaraglio un novellino, che potrebbe avere ripensamenti o potrebbe non saper usare l’arma, che peraltro deve pervenirgli attraverso vie tortuose e ben studiate, che impediscano agli investigatori di aggredire la rete di connivenze usata dalle Agenzie del Terrore.
 

Ma al di là della tempistica fallace (1), si può dare un suggerimento agli inquirenti, dove cioè andare a cercare il Califfo. Non è difficile, come il suo predecessore, l’imprendibile al Baghdadi, è più che probabile che si trovi nel suo Califfato, cioè a Idlib, regione della Siria oggi sotto il controllo di al Qaeda, rivale-alleata dell’Isis.


Quel Califfato di Idlib che l’Occidente ha più volte appoggiato e salvato dai tentativi di liberarlo ad opera dei siriani e dei russi…


Oppure, e in alternativa, nell’area della Siria controllata dai curdi per conto degli americani, dove ancora vagano cellule dell’Isis, use a colpire i civili siriani (nelle aree controllate da Assad il cancro è stato estirpato).



Liberare i mostri

 

In un impeto umanitario, gli Usa hanno addirittura chiesto ai curdi di rilasciare i miliziani dell’Isis detenuti nelle loro prigioni. Quelli di “basso livello”, cioè i soldati, come l’attentatore di Vienna.


Così il 20 ottobre scorso Voanews dava notizia del compiacimento degli americani per la liberazione di 631 soldati dell’Isis, gente che aveva sparso sangue in Siria nelle modalità più brutali.


È storia vecchia: nel 2019, quando Erdogan attaccò proditoriamente i curdi siriani, molti furono i detenuti dell’Isis rilasciati dalle stesse carceri. Tanto che alcuni senatori Usa, sia democratici che repubblicani, chiesero conto di quanto avvenuto e di sapere quanti fossero.


Anche perché, rilevavano i senatori, ‘molti di questi sono terroristi irriducibili, con grande esperienza’, inclusa la capacità di fabbricare di bombe” (ABC news). Così nell’interrogazione presentata. Insomma, ai miliziani dell’Isis è accordata un’inspiegabile indulgenza.


Non solo in Siria, anche in Yemen, dove l’Isis lotta insieme a sauditi e americani contro i ribelli Houti, come documentato da un’inchiesta dell’autorevole Associated Press che non ha avuto alcuna conseguenza.


Così invano i media legati agli Houti continuano a ripetere che i loro combattenti devono fare i conti con l’esercito saudita e le milizie del Terrore ai quali è alleato (qui un filmato).



I terroristi del Nagorno-Karabakh


Peraltro, miliziani del Califfato di Idilb sono ora intruppati sotto la bandiera azera nella guerra per la riconquista del Nagorno-Karabakh, come denunciato da Francia, Russia e Armenia, quest’ultima scesa in campo a difendere la regione aggredita.


Una guerra che nessuno sta cercando veramente di fermare (anzi), perché pone criticità tra russi, alleati dell’Armenia, e turchi, alleanti degli azeri, oltre a mettere a rischio il confine settentrionale dell’Iran. Due sviluppi particolarmente graditi ai falchi di Washington.


Nessuna meraviglia, dunque, che un’organizzazione che può contare su tali connivenze, che le assicurano libertà di movimento, armi e impunità, possa compiere attentati come quello di Vienna.



11 settembre 2001-11 marzo 2020


Le Agenzie del Terrore hanno evitato attentati durante la prima ondata della pandemia. Strategia sofisticata: avrebbero infatti sviato l’attenzione dal nuovo Terrore globale del Covid-19.


Ora che tale Terrore è entrato nel quotidiano possono invece tornare all’usata macelleria, dato che le loro efferatezze non hanno più tale effetto, ma aggiungono Terrore al Terrore.


Da qui il rimando segreto tra la Paura terrorista dell’11 settembre 2001 e il Terrore pandemico dell’11 marzo 2020 (data dell’annuncio ufficiale della pandemia da parte dell’Oms).


Ieri era il giorno dedicato ai defunti: giorno ideale per un sacrificio rituale come quello compiuto a Vienna.

 

(1) Peraltro, l’attentatore era ben equipaggiato, come si vede nella foto. Oltre ad associarsi all’Isis, doveva ricevere da questa il “necessario”. Non si spedisce quell’armamentario in un giorno.

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