IL CENTRO MONDIALE COMMERCIALE E MICHELE SINDONA – Parte I

IL CENTRO MONDIALE COMMERCIALE E MICHELE SINDONA – Parte I

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di Michele Metta*
 

Come già messo in rilievo in un altro dei precedenti articoli riguardanti la mia inchiesta sul Centro Mondiale Commerciale, Edgardo Pellegrini ha il merito d’essere stato pioniere nel rendersi conto degl’intrecci tra Strategia della tensione e Permindex-CMC. Un primato sicuramente legato al suo essere uno dei perni del Collettivo di Sinistra da cui trae vita quella pietra miliare dello smascheramento dei segreti della Guerra non ortodossa contro il comunismo che è il volume intitolato La Strage di Stato. Proprio nel tornare alla genesi di quel libro, Pellegrini aveva così scritto:
 
Non so, sulla base della dritta che avevo fornito sulla Permindex, chi dopo ci abbia lavorato sopra, nell’équipe di Strage di Stato. Era cosi?, per motivi di sicurezza. […]. Ma qualcuno, a partire dal rapporto Permindex-Sindona, scopri? la Continental Illinois Bank di Cicero, i suoi rapporti con lo Ior vaticano e con monsignor Marcinkus, con David Kennedy e l’amministrazione Usa.
 
La morte di Pellegrini, nonché di tanti altri protagonisti di quel Collettivo, aveva fin oggi impedito di poter comprendere direttamente cosa intendesse. Ma la costanza investigativa è un esercizio di pazienza che dà sempre frutti, ed oggi sono in grado di mostrare il contenuto di documenti che danno per intero ragione a questo nobilissimo apripista.

Partiamo senz’altro da una data. È quella del 5 ottobre 1981, allorquando la magistratura milanese interroga l’avvocato Rodolfo Guzzi, già legale di Sindona. Interrogatorio dovuto a connivenze del Guzzi in pesanti azioni intimidatorie decise proprio da Sindona.



Azioni successive al crollo finanziario di Sindona che, sul finire della prima metà dei Settanta, in un implacabile effetto slavina, aveva perso uno dietro l’altro quelli che, fino ad appena il giorno prima, erano additati come fiori all’occhiello della sua spregiudicatezza imprenditoriale: parliamo della Banca Privata Italiana, istituto di credito posto il 27 settembre 1974 in liquidazione coatta sotto la supervisione di Giorgio Ambrosoli; parliamo della banca che Sindona aveva conquistato negli Stati Uniti, la Franklin National, presa in pugno quand’era ventesima per importanza mondiale, ed invece fallita ad inizio ottobre del 1974.

Fallimenti che, a ben riflettere, sono innanzitutto causati – è importante chiarirlo, prima di passare in dettaglio al verbale di Guzzi – dalla rovinosissima caduta, sfociata in inevitabili dimissioni il 9 agosto 1974, del massimo protettore di Sindona: Richard Nixon, colpito dallo Scandalo Watergate. Non a caso, uno dei maggiori complici delle scalate sindoniane era stato, infatti, David Kennedy, già Segretario al Tesoro di tale Presidente.

Sempre non a caso, una delle ultimissime azioni svolte da Nixon prima del suo già detto abbandono obbligato della Casa Bianca, era stata la convocazione d’una riunione d’emergenza dei membri chiave della branca economica del proprio Gabinetto, allo scopo di svolgere un tentativo in extremis di salvare Sindona. Troppo tardi: tra il 4 ed il 14 ottobre 1974, ben tre mandati di cattura erano caduti sul capo del bancarottiere, appunto emessi dalla magistratura meneghina.

Disperato per il capovolgersi delle proprie fortune, Sindona era così fuggito negli Stati Uniti. Ed è a quel punto che, nel tentativo di rimettersi in piedi a tutti costi, s’era dato a comportamenti la cui incidenza di scrupolo morale è pari a zero.

Infatti, pur di bloccare la possibilità d’estradizione in Italia, Sindona aveva iniziato ad inviare missive allusive, dirette al suo più forte sodale in Patria: Andreotti.

Le allusioni erano ai cospicui esborsi da Sindona segretamente dati alla Destra DC in generale, e proprio ad Andreotti in particolare. Andreotti, mangiata la foglia, s’era attivato eccome, tant’è che, ad ormai 1977 finito, Sindona era ancora lungi dalle nostre galere.

Anche il secondo obiettivo prefisso da Sindona, e cioè il provare a riprendere possesso dell’ormai suo ex impero, aveva percorso modalità analoghe, se non peggiori.

Quali? Brutali azioni sul gotha finanziario italiano: in primis, contro Enrico Cuccia, il patron di Mediobanca, la cattedrale del denaro che conta. Minacciato d’un rapimento della propria prole, Cuccia, spaventatissimo, aveva ceduto. Ed è proprio qui l’entrata in gioco del Guzzi.

È infatti lui chi, ovviamente su incarico di Sindona, aveva consegnato 10 milioni di Lire a Walter Navarra, quale pattuito compenso per esser stato braccio operativo del ricatto a Cuccia.

In parallelo, Sindona aveva cercato in ogni modo d’addomesticare Ambrosoli, ma vista la sordità dell’integerrimo liquidatore a favorire, con dichiarazioni false, il ritorno in campo da Sindona agognato, anche contro Ambrosoli era stato sguinzagliato Navarra. Cosa di cui c’è macabra traccia nei diari dello stesso Ambrosoli, che l’11 maggio 1978, dopo esserselo visto, minaccioso, comparire davanti, così aveva annotato: «Viene Walter Navarra, ex-partigiano socialista espulso dal Psi, con memoriale di Michele Sindona. Follie!». Macabra perché, ad appena un anno da quella visita, Ambrosoli, poiché ancora impermeabile alle intimidazioni, era stato ucciso. Infine, Sindona aveva cercato l’aiuto d’un altro piduista importantissimo: Roberto Calvi. Ed è qui che le cose assumono clamorosamente i colori del Centro Mondiale Commerciale. Vediamo perché.

Sindona aveva creduto di poter contare sull’oggettivo dovere di riconoscenza di Calvi nei suoi confronti: la conquista della leadership del Banco Ambrosiano, era infatti grazie a Sindona che Calvi l’aveva ottenuta, tramite operazioni di Borsa passate anche per la Manic, Società-ponte con lo IOR, e così chiamata unendo alle prime due lettere dei nomi dei figli maschi di Sindona – Marco e Nino – la “C”, appunto, di Calvi. Calvi, però, in un cinico mors tua vita mea, aveva preferito sottrarsi all’invocato soccorso. Un Sindona furioso non aveva allora esitato a fare pressioni ricattatorie pure su Calvi; sempre tramite Navarra, ma pure – massima attenzione – tramite, appunto, un membro del CMC: Corrado Bonfantini. Troviamo, infatti, nelle dichiarazioni di Guzzi a verbale, la seguente frase:
 
Desidero precisare che prima dell’incontro con Cuccia del 23 marzo 1978 gli episodi che in qualche modo si riferiscono al Navarra sono esclusivamente due: uno la conversazione con l’avv. Ambrosoli che mi diceva di aver ricevuto una visita di un certo Navarra che sosteneva di perorare la causa di Sindona e che gli aveva consegnato anche delle copie di un giornale che se mal non ricordo si chiamava “Battaglie socialiste”; l’altro, con Gelli che mi comunicava in un colloquio che (e questo esattamente il 21/11/77) che Bonfantini e Navarra premevano su Calvi.
 
Il giorno dopo, nuovamente interrogato dalla stessa magistratura, Guzzi, ritornato al ricordo di tale colloquio con Gelli, aveva aggiunto che quest’ultimo gli aveva palesato il problema d’un Calvi divenuto gelido ed irato proprio per via delle minacce ricevute da Bonfantini. Un racconto, quello di Guzzi agl’inquirenti, proseguito con queste assai circostanziate parole:
 
Secondo quanto mi disse Gelli le pressioni di Navarra e Bonfantini consistevano in una campagna scandalistica di cui sarebbe stato vittima il Calvi quale ad esempio affissione di manifesti, non ricordo se proprio sotto il Banco Ambrosiano o per Milano, contro Calvi. Credo anche di ricordare che il Gelli mi disse che il Walter Navarra aveva addirittura apposto questi manifesti dentro la sede del Banco Ambrosiano se non addirittura nell’ufficio di Calvi.
Per quanto riguarda Bonfantini, che ho saputo dopo essere un ex partigiano socialista, Bonfantini era uno socio di Navarra in questa attività scandalistica […].

 
Bene. Se facciamo le dovute verifiche, la frase d’Ambrosoli su Navarra è totalmente corretta: era un ex partigiano delle Brigate Matteotti, la formazione armata del Partito socialista durante la Lotta di liberazione; formazione il cui comandante era esattamente Bonfantini. Bonfantini lui pure espulso dal Partito socialista poiché, come ripetutamente sottolineato da Sandro Pertini, s’era macchiato di posizioni di sempre maggiore e sempre più vile connivenza con la mussoliniana Repubblica Sociale. Espulsione cui era poco dopo seguìto l’ingresso del Bonfantini nel filo-atlantico Partito socialdemocratico, di cui era divenuto deputato. Proprio da un elemento costante negli Atti parlamentari a lui relativi, e cioè le numerosissime richieste d’Autorizzazione a procedere per l’accanita propensione del Bonfantini ad emettere assegni a vuoto per imponenti cifre, giungiamo ad un altro vitale tassello: non era questa la prima volta che Bonfantini commetteva bieche azioni affiancato da propri ex sottoposti. Infatti, appunto per cercare di coprire i propri ammanchi legati agli assegni, Bonfantini non aveva esitato, dietro le quinte, ad istigare al ladrocinio gli ex della Matteotti a lui più fedeli, come ad esempio testimoniato dalla staffetta partigiana Flavia Tosi, la quale conosceva Bonfantini assai bene. Ecco i dettagli:
 
Erasmo Tosi e altri partigiani matteottini legati alla Cooperativa “Mario Campagnoli” si erano appropriati di moltissime carte annonarie in un magazzino del Comune di Novara, vendendole in tutto il Novarese e Vercellese e venendo poi scoperti nel giugno 1947. Furono inoltre saccheggiati alcuni camion del trasportatore Avandero e la merce rapinata venne rivenduta. In queste vicende – i cui veri scopi e la regia di Bonfantini furono sempre taciuti dagli arrestati – finirà rovinata la reputazione di numerosi partigiani, a cominciare proprio da quella di Erasmo Tosi “Dino”, arrestato e condannato più volte in quegli anni e alla fine graziato.



 



Tornando all’interrogatorio di Guzzi del 6 ottobre 1981, occorre precisare che la pubblicazione di tali manifesti contro Calvi, avvenuta il 9 novembre 1977, s’innesta in un quadro a tessere le fila del quale c’è anche l’Agenzia A di Luigi Cavallo. Tale agenzia di stampa, aveva, sempre dietro impulso di Sindona, convogliato ad arte una serie di notizie, contenenti compromettenti dettagli sulle attività del Banco Ambrosiano, e dunque atte a mettere in pessima luce Calvi. Ecco perché, a nuova domanda degl’inquirenti protesa a meglio comprendere «la genesi ed il significato di fondo delle pressioni su Calvi tramite Navarra e Bonfantini», la risposta di Guzzi era stata:
 
Io ritengo […] con riferimento a quello che Gelli mi comunicò nell’incontro del 14/9/ sulla posizione di Calvi che il Sindona non credendo più né a Gelli né alla possibilità diciamo contrattuale di Gelli con Calvi, abbia tentato di seguire una strada diversa o se si vuole ricordare Cavallo, di riprendere quella strada che aveva intrapreso con l’agenzia A del Cavallo. Questo mio convincimento trova del resto riscontro in quello che accadrà successivamente in tutta la vicenda Sindona e cioè [che], mentre esisteva un piano che vorrei dire legale di trattativa per la composizione dei diversi problemi di Michele Sindona, lo stesso Michele Sindona […] perseguisse una sua strada che è quella delle minacce e dei ricatti.
 
Chiestogli, a quel punto, di sapere con la maggiore esattezza possibile cosa Gelli gli avesse detto a proposito dell’azione di Navarra e Bonfantini, Guzzi aveva ribadito:
 
Quello che ho già detto, che Navarra e Bonfantini stavano facendo una campagna diffamatoria contro Calvi e che erano andati ad affiggere i manifesti addirittura dentro il Banco Ambrosiano.

Che tale affissione di Navarra e Bonfantini fosse stata gemmazione dell’azione di Cavallo, Guzzi non aveva mancato d’indicarlo anche più avanti, laddove aveva affermato:
 
In quel periodo mi ricordo che Gelli mi parlò anche di una indagine che stava facendo su Cavallo, che egli avvicinava a Navarra. Ritengo che dagli accertamenti fatti da Gelli egli fosse venuto a conoscenza e dallo stesso Calvi e dal Cavallo che colui che aveva fatto le affissioni fosse il Navarra.
 
Ma chi è mai, più precisamente, il Cavallo? Si tratta d’un membro di punta di quella centrale anticomunista sotto egida CIA che fu Pace e Libertà, a dirigere la quale, ci sono Sogno ed il membro del CMC Pièche. Sogno un cui sodale di prima grandezza è proprio Bonfantini, visto che in veline dei nostri Servizi, affidatemi dall’Archivio Flamigni, che vivamente ringrazio, ritroviamo prova della sua partecipazione ai cosiddetti Comitati di Resistenza democratica con cui Sogno intendeva condurre in porto i propri intenti eversivi degli anni Settanta. Quanto violenti fossero tali piani, l’evinciamo con tutta chiarezza dalle parole di Sogno stesso in proposito. Queste:
 
negli anni ’70 c’erano persone pronte a sparare contro chi avesse deciso di governare con i comunisti […] oggi la D.C. si guarda bene dal dire queste cose perché ha paura. Ma noi prendemmo l’impegno di sparare contro coloro che avessero fatto il governo con i comunisti. Nei partiti di governo allora c’erano anche dei vigliacchi, dei traditori, pronti a governare con i comunisti […] nel maggio 1970 furono fondati i Comitati di Resistenza Democratica il cui obiettivo era impedire con ogni mezzo che il P.C.I. andasse al potere, anche attraverso libere elezioni […] non si poteva sottoporre ad alcuna regola, un duello all’ultimo sangue in cui non potevamo accettare regole e limiti di legalità e legittimità, sapendo che avremmo potuto contare sull’appoggio degli Stati Uniti e degli altri Paesi N.A.T.O.
 
Non solo: finanziatore dei Comitati di Resistenza democratica chi altri era, se non proprio lo stesso Sindona?

Non basta: se prendiamo in mano l’indagine dell’allora pretore Raffaele Guariniello, il quale aveva individuato un coinvolgimento del Cavallo in un’operazione di maxi schedatura, con finalità anticomuniste, dei dipendenti della FIAT, scopriamo che uno dei testimoni auditi, Vittorio Avallone, aveva così dichiarato:
 
Conosco il Cavallo; sono agente del Sid dal 1952. Conobbi il Cavallo al tempo del movimento Pace e Libertà. Eravamo diventati non proprio amici ma conoscenti ed egli mi diceva quello che faceva. Egli era al corrente che io lavoravo per il Sid. Fatto è che allora il Cavallo era in rapporti con il Rocca da cui io allora dipendevo [...]. A quel tempo il Rocca era a capo della sezione Rei (Reparto economico industriale del Sifar). Il Rocca appoggiava il Cavallo presso le industrie da cui Pace e Liberta veniva finanziato. Quindi, io quale dipendente del Rocca ne avevo ricevuto l’ordine di controllare che il Cavallo si conformasse ai compiti di sua spettanza.
 
Ebbene, l’epoca in cui era all’Ufficio REI, è esattamente la medesima in cui Rocca, oltre a farsi convinto assertore della necessità di fermare John Kennedy ad ogni costo, aveva anche mandato una lettera al proprio collega Allavena dove elencava nomi conformi ad una lotta anticomunista anche con l’uso del terrorismo; nomi tra i quali c’è anche quello del membro del CMC Crocco, che con quella dirigenza antimarxista della FIAT molto a che fare ce l’aveva, visto che, dentro tale industria, compariva suo cognato Giuseppe Gabrielli, progettista per gli Agnelli di velivoli bellici NATO. Rocca che, come rivelato dallo stesso Sogno, faceva lui pure parte del Pace e Libertà retto da Sogno e dal membro del CMC Pièche.

Insomma, da qualunque punto si vogliano guardare i fatti, giungiamo sempre al purtroppo usuale rincorrersi d’aderenti al Centro Mondiale Commerciale. Aderenti cui senza dubbio sommare Franco Micucci Cecchi. Il membro del CMC genero di Tambroni, infatti, incappa nelle maglie della magistratura per – che coincidenza – attività ricattatorie contro Calvi. Già. Ma raccontiamo le cose con la dovuta completezza. La data cardine, in questo caso, è l’ultimo scorcio di giugno del 1991. È allora che il magistrato Pier Luigi Dell’Osso, titolare dell’inchiesta sul Banco Ambrosiano, verificata la fondatezza di quanto denunciato da Clara Canetti, vedova di Calvi, aveva provveduto ad incriminare Roberto Bertuzzi, Lorenzo Jarach, Bruno Agazzi e, appunto, il Micucci Cecchi. L’8 luglio di due anni dopo, questi ultimi tre, messi a giudizio separato per via d’uno stralcio, erano stati condannati per estorsione dal Tribunale della III Sezione penale di Milano. Dato il totale accoglimento dell’impianto accusatorio di Dell’Osso, la loro pena era stata di cinque anni di reclusione e tre milioni di Lire di multa. S’erano infatti illecitamente arricchiti di denaro la cui parte più rilevante sono 678.000 dollari in contanti di provenienza dello IOR, la Banca vaticana, sborsati tra il febbraio del 1978 e l’aprile del 1981. Cosa che significa – riflettiamo – che l’intimidazione è pressoché coeva, come inizio, a quella di Bonfantini.



Ma significa pure, ove mai in qualcuno forse sorto il dubbio del contrario, che l’iniziativa di Bonfantini non fu autonoma, ma precisa strategia del CMC di schierarsi, in quella lotta tra Sindona e Calvi, dalla parte di Sindona. Sindona che, infatti, nelle vicende di tale struttura, si palesa anche altre volte. Ma questo è racconto che sarà oggetto della seconda parte di questo mio articolo.

Qui per leggere tutti gli articoli precedenti dell'inchiesta di Michele Metta su l'AntiDiplomatico 

*Le dichiarazioni e opinioni espresse nel presente articolo non necessariamente coincidono con quelle della redazione

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