Attentato a Nizza, quando i media alimentano il mito dell’Isis

Attentato a Nizza, quando i media alimentano il mito dell’Isis

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Con il passare delle ore, scompaiono i membri del commando terrorista che sparava sulla folla, mentre il camion investiva gente, scompaiono quelle armi pesanti “ritrovate” nel furgone. Rimane un unico uomo, uno squilibrato su cui pesa l’intera responsabilità della strage. 
 
Si tratta di un franco tunisino, con i problemi che potrebbe avere chiunque, ma nonostante ciò la narrazione collettiva dell’attentato di Nizza non seguirà certo regole diverse da eventi precedenti. 
 
Lo abbiamo visto troppe volte: più grande è la tragedia, più una spiegazione fuori dalla realtà prende il sopravvento, giustificando fantasiose ricostruzioni funzionali ad interessi che con la religione hanno poco a che fare. 
 
Partiamo da un’osservazione logica:
 
l’Isis è un vero e proprio esercito di decine di migliaia di uomini,  è anche un’organizzazione para statale e un’impresa che commercia ingenti quantitativi di petrolio, armi, viveri, munizioni e quanto necessario alla guerra in Siria e in Iraq. Combatte più eserciti contemporaneamente, e compie attentati terroristici. Si tratta di un’organizzazione che per le sue necessità ha bisogno di un enorme flusso di denaro che non può certo passare inosservato.
 
Qualunque investigatore si porrebbe subito la domanda: “chi alimenta economicamente questa follia?”
 
Sui media però questo aspetto viene totalmente trascurato, in favore di una narrazione che vuole l’Isis come un’organizzazione basata solo sul credo religioso e autonoma rispetto ai centri di potere statali. Gran parte della comunicazione generalista punta a evidenziare i particolari di stragi raccapriccianti, riportando notizie secondarie e spesso non verificate.

Ben poche invece le domande sul perché o su chi finanzia chi compie questi massacri.
 
La narrazione dei media sembra suggerire due risposte concrete alla paura del pubblico: supportare l’instaurazione di uno Stato di Polizia e amplificare le differenze culturali e religiose, fino al punto di rottura. Le prime vittime sono ovviamente i diritti civili conquistati in anni di lotte, asfaltati dall’emergenza sicurezza e dalla paura verso “l’altro”.
 
Se la spiegazione al terrorismo rimane confinata nella narrazione su una lotta di religione, scenario medievale per i colti abitanti dell’Occidente, quale miglior soluzione che un intervento delle nazioni laiche, che in questa narrazione non possono mai risultare sobillatrici del terrorismo, quanto piuttosto i più acerrimi nemici?
 
Secondo molti analisti, l’Isis è in difficoltà, perde terreno in Siria e in Iraq, dunque attacca ovunque nel mondo, con qualsiasi mezzo i Paesi liberi e democratici. 

Lo stato del conflitto iracheno e siriano sembrano confermare questo ragionamento, ma nel tentativo di giustificare il “terrorismo a regia globale”, si mettono insieme capre e cavoli, denunciando la responsabilità dell’isis, anche dove di isis non c’è traccia.
 
Non a caso il Califfato rivendica sempre qualsiasi attacco alle metropoli mondiali, godendo di una sorta di pubblicità gratuita, da Dacca a Parigi, perché ciò ne aumenta la forza, il mito dell’invincibilità, distogliendo dalle continue sconfitte per mano di altri arabi, i siriani e gli iracheni, ma iraniani e libanesi che vanno a morire a centinaia per difendere un’altra idea di Islam e di società, dal terrore che vuole imporre l’Isis.
 
Strano che gli specialisti dell’informazione non si siano accorti di fare un favore all’ISIS, eppure dovrebbero conoscere le regole del loro lavoro.
 
Nel caso di attentati terroristici a cui viene affidata una diretta responsabilità al Califfato, per capire se è davvero un’azione preordinata o un semplice gesto di emulazione, bisogna guardare in primo luogo a chi ha realizzato l’atto terroristico. Avremo quindi almeno 4 categorie: 
 
I Gruppi organizzati in Siria e Iraq

Ovvero squadre dell’Isis o di gruppi affiliati, composte da più elementi, che pianificano e metto in atto un attentato terrorista. Sono molto attivi in Siria e in Iraq. A differenza delle azioni di guerra, queste si concentrano sulla popolazione civile, compiendo stragi in aree molto frequentate, con l’obiettivo di causare quante più vittime civili possibile. Seppur in un contesto di conflitto aperto, queste azioni sono a tutti gli effetti terroristiche.
 
 
Lupi solitari

Il lupo solitario agisce in ogni parte del mondo, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha alcun legame concreto con i vertici o con cellule dell’Isis, ma a loro si richiama, per scelta ideologica o per emulazione. 
In questo caso si parla di un effetto propaganda che spinge persone isolate ad attaccare obiettivi civili e militari nel Paese nel quale vivono. 

Si tratta di una forma spesso spontanea, la più pericolosa perché meno prevedibile, che non ha provati legami con organizzazioni terroriste. 
 
Quello dei lupi solitari è un fenomeno variegato, da sempre presente nella storia di tutte le società. Nel caso specifico conta molto il lavoro di propaganda dell’Isis, ma anche l’effetto spettacolarizzazione che i media hanno dato dell’Organizzazione, funge da cassa di risonanza alla propaganda del Califfato, soprattutto tra quei soggetti deboli e confusi, spesso isolati dal resto del contesto sociale. 

La spettacolarizzazione dell’omicida, del criminale, del fanatico viene troppo spesso esaltata dai media, provocando gesti di emulazione da parte di soggetti psicologicamente instabili e isolati, soprattutto nei contesti sociali europei.
 
 
I foreign fighters
 
Per questa particolare categoria, ovvero coloro che hanno combattuto in Siria o in Iraq o in Libia, inquadrati in una formazione di matrice islamica, anche non direttamente affiliata all’Isis, è necessaria una riflessione a parte. 
Si tratta di soggetti che hanno combattuto, spesso insieme, in un teatro di guerra. 
 
Hanno combattuto contro eserciti regolari, ucciso civili, compiuto massacri contro la popolazione, organizzato attentati terroristici, acquistando  dimestichezza nell’uso di tattiche di guerriglia urbane. 
 
Al loro ritorno dai contesti di guerra rimangono in contatto tra loro. Nulla può escludere la presenza squadre infiltrate con missioni assegnate in Europa. Quando questi gruppi entrano in azione sono capaci di scatenare scenari apocalittici.

 
Gruppi islamici non affiliati all’Isis
 
Ci sono poi casi di gruppi islamici diversi dall’Isis, che operano in Paesi asiatici o africani, che non hanno una vera e propria organicità con il Califfato, ma che con esso condividono una visione di islamizzazione estremista del mondo. In questo caso si ricorre mediaticamente all’Isis come parafulmine per indicare un’area troppo complessa da spiegare allo spettatore. 
 
 
Dalla pista religiosa al fiume di soldi che alimenta il terrorismo
 
Ciò che invece i media non raccontano è dell’enorme mole di prove a carico dei Governi che a parole “combattono il terrorismo”, nel foraggiare un esercito di islamici pronti ad utilizzare qualsiasi tattica, anche il terrorismo e il massacro sistematico dei civili, pur di raggiungere l’obiettivo strategico dell’eliminazione dei propri nemici arabi dalla scena mediorientale, in Siria, in Libano, in Iran.
 
Attraverso il motto “il nemico del mio nemico è mio amico”, si è favorito il prolificare di sigle e organizzazioni combattenti estremiste, interessate più all’enorme flusso di denaro che alimenta la guerra in Siria e Iraq, che dai precetti religiosi, finendo per utilizzare i richiami religiosi come forma identitaria generica.
 
Questi uomini ricevono supporto, addestramento, armi, viveri, biglietti a/r dai loro Paesi, vengono pagati profumatamente per compiere atti di guerra. Non c’è fede migliore dei soldi per sposare una causa. 

Così mentre schiere infinite di esperti si dedicano alla microfisica delle sette musulmane, migliaia di terroristi che combattono dentro le città siriane e irachene, non sanno che farsene di quei precetti religiosi, spesso non li conoscono nemmeno e quotidianamente li violano. Sanno solo che se sopravviveranno, verranno pagati profumatamente e poi si sa, in guerra con un mitra in mano, non c’è freno al senso di onnipotenza.  
 
Il vero problema è interrompere le vie di finanziamento, stroncare i centri che supportano economicamente i terroristi. 
Non ci sono alternative a questa azione. 
 
Anche militarizzando ogni centimetro delle nostre vite, non potremo mai metterci completamente al sicuro da questi atti. L’idea di una sicurezza totale è l’unica via che i nostri governi vogliono percorrere, ovviamente assicura il vantaggio del controllo assoluto sulla società, la scomparsa dei conflitti interni, la totale assuefazione della popolazione alle ragioni della propaganda. 

La Redazione de l'AntiDiplomatico

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