Effetto euro. In Italia un giovane lavoratore guadagna 11 mila euro in meno di uno tedesco

Effetto euro. In Italia un giovane lavoratore guadagna 11 mila euro in meno di uno tedesco

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di Stefano Porcari*


In Germania un giovane lavoratore guadagna 11mila euro in più di uno italiano. Non è una novità ma la forbice è cresciuta in modo particolare proprio tra i lavoratori più giovani.

Nel nostro paese le retribuzioni sotto ai 1.500 euro lordi sono oltre 1,4 milioni sui 4 milioni di contratti stipulati a tempo determinato nel 2017 (da contratti di qualche giorno a quelli di qualche mese), praticamente più di una su tre.
 

Le retribuzioni dei giovani, però, appaiono ancora più penalizzate distanti sia dalla media delle altre fasce anagrafiche e soprattutto, rispetto alle attese dei coetanei assunti in Francia e Germania.La società di ricerca JobPricing, ha evidenziato che la Ral (retribuzione annua lorda) per il 2017 nella fascia 25-34 anni viaggia sui 25.632 euro lordi, contro i 29.238 euro lordi della platea complessiva di lavoratori dai 15 ai 55 anni. E il dato però appare più elevato di quello rilevatoinvece dall’Istat per la fascia che va dai 16 ai 29 anni nel 2015, anno di debutto del Jobs Act: 13.553 euro lordi, in discesa dai 13.667 euro del 2014. Potrebbe essere ovvio che la retribuzione cresca con l’esperienza, consentendo a un lavoratore over 50 di guadagnare di più di un 26enne ai primi contratti.





Ma l’anomalia italiana sta nel fatto che la curva delle retribuzioni segue un ritmo assai più “rallentato” rispetto alla media Ue: nel resto dell’Unione Europea le remunerazioni salgono già dai primi anni e raggiungono l’apice a 40 anni. Diciamo che i “picchi di carriera” italiani si raggiungano a 55 anni. Nel resto d’Europa 15 anni prima, sfociando in un divario tra stipendi dei lavoratori under 30 che si allarga fino a 10mila-15mila euro. Siamo ormai in presenza di una differenzazione retributiva su scala europea che configura delle vere e proprie gabbie salariali su scala continentale, con i paesi euromediterranei ridotti a snodi delle filiere produttive delle aziende e delle multinazionali del nucleo duro europeo.


Subfornitura, bassi salari, sviluppo asimmetrico tra le regioni integrate in queste filiere e tutte le altre, emigrazione/spoliazione del capitale umano più formato: sembra essere questo il ruolo assegnato al nostro paese nella divisione europea del lavoro. Non è certo una prospettiva allettante. Prima si rompe con questa gabbia meglio sarà per i lavoratori e i giovani, nel nostro e negli altri paesi “periferici”.


*Articolo esce in contemporanea su Contropiano e AntiDiplomatico

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