Fulvio Scaglione - Le purghe saudite sono contro "la corruzione". Un bluff: Ecco le prove
di Fulvio Scaglione* - Occhidellaguerra
Nella purga con cui il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman si è liberato degli ultimi ostacoli nell’ascesa al trono del padre Salman, sono rimasti impigliati i due uomini più ricchi dell’Arabia Saudita. Il primo è il principe (i principi, laggiù, sono numerosi) Al-Waleed bin Talal, industriale, finanziere, titolare della Kingdom holding Company e nel 2017 classificato 50esimo uomo più ricco al mondo. Il secondo è un personaggio invece assai meno noto ma del quale merita parlare. Si tratta di Mohammed Hussein Al-Amoudi, ovviamente multimiliardario, costruttore edile, petroliere e produttore agricolo su vasta scala grazie soprattutto al mezzo milione di ettari di terreno fertile che possiede in Etiopia.
Sì, perché Al-Amoudi (e questo è il suo primo tratto particolare) è nato a Woldia, in Etiopia, ed è cittadino etiope oltre che saudita. Come etiope è ovviamente l’uomo più ricco del Paese, ma non solo: è anche l’uomo più importante per l’andamento dell’economia di una nazione che conta 105 milioni di abitanti. Secondo gli ultimi dati disponibili, che con ogni probabilità sono sottostimati, Al-Amoudi ha fatto in Etiopia investimenti per 3,5 miliardi di dollari, una somma pari a quasi il 5% del Prodotto interno lordo nazionale. E le sue aziende danno lavoro a più di 100 mila persone, pari al 14% di tutti gli occupati nel settore privato. Non a caso, quando è stata diffusa la notizia del suo arresto in Arabia Saudita, Hailemariam Desalegn, primo ministro dell’Etiopia, ha convocato in tutta fretta una conferenza stampa per garantire che l’economia etiope è salda e non subirà scossoni. Segno evidente che è lui il primo a temerlo.
Secondo capitolo della saga Al-Amoudi. Nel 2005 l’uomo d’affari fu tirato in ballo da Jean-Charles Brisard, studioso francese assai noto per le sue ricerche sul finanziamento del terrorismo islamico, che lo accusò di essere uno dei sostenitori di Al Qaeda. Al-Amoudi fece causa e uscì dal processo assolto da ogni sospetto e forte delle scuse ufficiali di Brisard.
Terzo capitolo. In Arabia Saudita il miliardario opera con due holding, Corral Petroleum e Midroc, che danno lavoro a più di 70 mila persone. Attraverso Midroc, Al-Amoudi ha comprato un’acciaieria saudita nel 2000 e ha impegnato ingenti somme nella realizzazione di alcuni progetti cari al regime: 275 milioni per costruire lo stabilimento da cui deve uscire la prima automobile interamente “made in Saudi Arabia”, la Gazal-1; 1,1 miliardi di dollari per due impianti chimici per la lavorazione di fosfati e sulfuri; 30 miliardi di dollari per la costruzione di una serie di impianti per lo stoccaggio del petrolio.
Per concludere, Al-Amoudi possiede anche raffineria in Svezia e in Marocco e l’hotel Sheraton di Addis Abeba, oltre a palazzi e tenute a Londra e nel resto del Regno Unito.
Ora, in che modo Al-Amoudi può essere finito in quella che il regime saudita ha definito un’operazione “anti corruzione”? Con che cosa si può corrompere un multi-miliardario? È credibile che un uomo d’affari coinvolto in alcuni progetti decisivi per l’economia saudita e che in essi ha investito somme enormi, cosa che non avviene se non si gode della fiducia e della protezione della casa reale, possa di colpo essersi trasformato in un traditore della patria?
Insomma, più passa il tempo e più diventa credibile il sospetto che già circola. E cioè che la purga sia servita al principe Mohammed bin Salman da un lato per eliminare i residui oppositori o “antipatizzanti” annidati tra i familiari e gli alti gradi militari, dall’altro né più né meno per ricattare gli uomini più ricchi del regno. La libertà per i miliardi, insomma. In modo da racimolare un gruzzolo che permetta alla sfinita economia saudita di resistere in attesa che il patto siglato con la Russia per un contenimento della produzione di greggio e quel minimo di ripresa economica mondiale diano i loro frutti e facciano risalire il prezzo del petrolio, unica vera risorsa di un regno dove pochi lavorano, nessuno paga le tasse e i 7 mila membri della casa reale sperperano a più non posso. Non a caso il principe Mutain bin Abdullah, ex capo della Guardia nazionale saudita ed ex principe ereditario, si è piegato a versare un miliardo di dollari per tornare in libertà. Quanto pagheranno Al Waleed bin Talal, l’uomo più ricco del regno, e Al Amoudi, il secondo in graduatoria?
*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore